domenica 17 giugno 2007

“Il Sapore del vino” di Roberta Andres

IL SAPORE DEL VINO

Quando ero bambina, mia nonna conservava un libro di cui
era gelosissima; non permetteva di toccarlo a nessuno di
noi nipoti. Lo teneva sul ripiano inferiore
dell’inginocchiatoio vicino al letto, un mobile antico, scuro
come la copertina del libro.
Mi sono chiesta spesso da bambina perché la nonna, che
era sempre così dolce coi nipoti e soprattutto con me,
diventasse così dura e severa quando si trattava del suo
libro. Non era bello a vedersi, la sua unica attrattiva era che
fosse proibito: la copertina di cartone, le pagine
lateralmente violacee un po’ attaccate tra di loro, tant’è che
la nonna faceva fatica a sfogliarlo, quando la sera si
stendeva a letto e cercava di leggerlo. Di questo mi ero
accorta quando i miei genitori uscivano e io dormivo in
camera con lei.
Fu una di queste sere, in cui ero un po’ triste, che mi
promise che quando sarei stata grande mi avrebbe
raccontato la storia per cui aveva così caro quel volume.
Ingenuamente le avevo chiesto angosciata:
- E se muori? - , come se l’unico dolore, in tal caso, fosse
non sapere quel segreto per adulti. La nonna aveva riso, mi
aveva rassicurato dicendomi che della storia era a
conoscenza di qualcuno che avrebbe provveduto a
raccontarmela comunque.
Era bella, mia nonna, anche da vecchia, sebbene io non me
ne accorgessi. Era stata bellissima da ragazza: una
Madonna selvaggia! I capelli mossi, castano miele, lunghi,
le incorniciavano un viso perfetto: la bocca rosa carnosa, il
naso delicato, gli occhi scuri inquieti in una fisionomia
altrimenti dolcissima. Dava l’idea, nelle foto che avevo
visto di lei, di un animale irrequieto racchiuso in un corpo
di statua.
Si chiamava Noemi. Erano passati decenni e decenni dalle
foto conservate tra le pagine del libro. Era cambiata,
sformata, invecchiata, ma ancora a tratti l’animale
irrequieto appariva quando nascondeva quel tesoro o lo
teneva tra le mani rugose.
Quando compii 16 anni la nonna era ancora viva. Ci
pensavo dalla mattina, appena sveglia, alla promessa che
mi aveva fatto anni prima. Aspettai tutto il giorno,
oltrepassai la presenza delle amiche, i regali dei genitori, la
torta e le candeline. La sera mi andai a sedere sul suo letto
perché mi raccontasse:
- Avevo l’età che compi oggi ed ero promessa sposa a
nonno Nino già da un anno. Passavo le giornate nella
trattoria della mia futura suocera, col grembiule bianco
allacciato alla vita, e non ero contenta di niente. C’era un
uomo, quell’anno, che venne tutte le sere a leggere e a bere
un bicchiere di vino ad un tavolo della trattoria. Cominciò
in estate, alla stessa ora ogni sera. Ordinava del pane o dei
taralli, qualcosa di secco da sgranocchiare, e del vino.
Cominciò con un bianco frizzante, ghiacciato: era estate,
faceva molto caldo al tramonto. Io gli portavo la caraffa ed
ero sudata, con i capelli alzati sulla nuca, le maniche
rimboccate, e lui mi fissava. Notai il suo sguardo dalla
prima sera, ma non volevo crederci; diventava evidente
dopo aver bevuto un po’, che guardava proprio me,
avidamente. Io non sapevo che fare o che dire, tranne che
portargli il vino e osservarlo quando ricominciava a
leggere. Continuò a venire anche oltre la fine dell’estate e
cominciò a chiedere del rosato. Io ero sempre più in
imbarazzo: nella trattoria avevano capito tutti perchè
l’uomo veniva ogni sera. Appena arrivava io mi precipitavo
a prendere l’ordine sbirciando il suo libro, le sue mani, il
suo corpo: cominciava a piacermi.
E così andammo avanti verso l’autunno: fu il periodo del
novello. Cominciai a bere un po’ anch’io in cucina, quando
gli preparavo la caraffa. Bevevo dal bicchiere che stavo per
portargli, sperando che le sue labbra si sarebbero posate
dove le mettevo io. Intanto avevo abbassato le maniche
della camicetta, rimesso le calze, sciolto i capelli sul collo.
Faceva già freddo. Arrivò l’inverno di colpo, quell’anno.
Lui cominciò a entrare intirizzito, accompagnato da una
ventata gelida che colpiva il tepore del locale e poi si
scioglieva nel rosso caldo del calice che posavo sul tavolo,
affianco al suo libro.
Una di quelle sere d’inverno accadde quello che gli impedì
di tornare. Mi ero avvicinata, come sempre, con la caraffa e
il bicchiere e il pane e il tovagliolo sul vassoio, quando lui,
che mi stava guardando da tempo, mi prese il polso e mi
attirò verso di sè per baciarmi. Avevo ancora in bocca il
sapore del vino rosso che avevo bevuto in cucina e che gli
stavo portando, credo di avergliene posato sulle labbra
qualche goccia e il sapore. La sorpresa e il piacere mi
fecero tremare le mani e perdere l’equilibrio, versai metà
della caraffa sul libro aperto sulla tavola. Nonno Nino non
disse nulla, ma scese il gradino del bancone minaccioso e
lui subito si alzò e se ne andò, dimenticando il volume. Era
rosso in volto: il desiderio, la rabbia, il disagio!
Presi il libro, feci asciugare le pagine che sono ancora
viola, lo conservai sperando che sarebbe tornato, ma non l’
ho più visto! -.

1 commento:

Fabrizio ha detto...

Cara Roby, complimenti a te...a Noemi...a Nino...e pure a quell'uomo, misterioso, solitario, maldestro e sensuale, che tanto mi assomiglia...eh, sì, anch'io, con te, ho pasticciato, mannaggia...tu invece sei stata bravabravissima! Ma ormai, come in "Sliding doors", le porte scorrevoli si sono richiuse e tu viaggi verso il tuo futuro. Auguri. Fabrizio :-*