lunedì 15 ottobre 2007

Voi non ci crederete..............

Lo so, voi non ci crederete, come al solito, ma io ve lo racconto ugualmente, sarebbe peggio se non lo facessi.
È mancata la pioggia in questi mesi da queste parti, e questa notte di acqua battente ha ridato energia al drago racchiuso nel monte, qualche fremito si è sentito, si sa i draghi hanno la coda potente e quando la sbattono tremolii e scricchioli si sentono meglio. Le nuvole hanno coperto lo sbuffo di fumo che esce dalla gola di fuoco del drago, e questo il monte non lo può sopportare a lungo. Per questo al mattino il vento scuoteva le piante perché era ora di liberare il cielo e far si che lo sbuffo risaltasse per bene .L’acqua nel frattempo aveva già preso la via sicura dell’Alcantara dove gorgoglia senza paura. I benefici dell’acqua e del vento si sono sentiti fino in basso, nei luoghi abitati da noi comuni mortali in questa terra più adatta ai draghi, ai giganti e al fuoco che diventa pietra.
A Rovittello, all’entrata di quel nido di pietre scure di lava, non appena attraverserete i binari stretti della ferrovia che sale ai paesi etnei, sinuosa e appoggiata ai fianchi del monte, quasi come fosse una cintura sulla vita di una femmina, si, proprio li, farete un incontro strano.
Maestoso e sensuale, un grande albero con le radici che, come una serpe, avvolgono i blocchi del muro di cinta del borgo, con i rami che volano verso il cielo a guardare i Nebrodi, vi apparirà il Millicucco. Si proprio il millicucco.
Come molti altri personaggi, nei quali vi imbatterete in questi luoghi il Millicucco è un gigante altero e ieratico, sa di essere importante e celo fa, educatamente, sapere. È lui la raffigurazione dell’unità di misura di questo posto che la gente chiama da sempre “I vigne di Fessina”. Qui l’unità di misura è il tempo, quello antico, unito a tutto ciò che sale verso il cielo, con pazienza.
Diceva Gino Veronelli, “ il vino è il canto della terra che sale verso il cielo”, con il misticismo anarchico e profondo del suo cuore.
Il millicucco è il custode del borgo, è quello che avvista l’arrivo degli stranieri, li guarda e li fa sentire piccoli, incute rispetto. Non dice nulla ma fa capire molto, induce a un comportamento serio.
Quasi tutto in questo luogo ti fa sentire finalmente piccolo e poco importante. L’immensità del monte e il senso di questo lavorio infinito e indefinibile che genera il nuovo ad ogni scadere di secondo. Queste forme imperfette e non perfettibili ma da accettare perchè mutanti e vive. Questa forza alla quale non si può mettere le mani perché brucia e bruciando da nuova vita, asciugando di polvere crea nuova linfa, paradosso semplice e oggettivamente certo.
A salire verso il cielo in questo piccolo ombelico verde, tra sciare nere che scendono dall’alto ci sono molte cose. La più appariscente è quel pennacchio di fumo che, si vede quando si alza lo sguardo, sale dal cappello da gnomo che sta in cima al monte. Non smette mai di sbuffare, da 500.000 anni e forse più e riversa cenere e lapilli che depositano e si distribuiscono nel fluire delle stagioni a volte accumulati , altre volte spazzati via dall’acqua. A volte rimescolati e coperti da lava fluente, nascosti al verde e alla coltivazione per centinaia di anni, fino a quando paziente la natura ricomincia il suo lavoro di conquista della roccia e ci regala, conche irregolari, piccoli vasi di terra che se coltivati per bene danno frutti meravigliosi. “ I vigne di fessina “ sono uno di questi vasi di terra particolare, ricca della sua povertà. Tra Linguaglossa e Randazzo sono molte queste forme che coccolano i vigneti come balie generose. Vigneti che per destino danno vini molto diversi generati da suoli e microambienti talmente particolari da renderli unici. Ma questa è una strada che va verso una comprensione scientifica e quindi di per se retorica, e non mi ci voglio infilare. In questo caso è bene sentire , capire è molto meno importante, è per addetti ai lavori, oggi, noi preferiamo emozionarci.
Torniamo a noi e ai giganti che sono appartati tra le rocce nere nei pochi ettari che fino a qualche giorno fa appartenevano al signor Musmeci. L’abbiamo incontrato , abbiamo camminato con lui sui suoi beni, è stato bello quasi un congedo dai suoi grappoli.



Si scende nel borgo, dove le case si chiudono in un cortile, su piani sfalsati, attorno ad un pozzo di fattura antica. Davanti al vecchio palmento, che racchiude un torchio che ha la chianca scolpita dal tronco di una quercia nata sicuramente più di 500 anni fa, un’ eucalipto ha fatto i suoi frutti e diffonde la freschezza dei profumi . Più in basso, scendendo la scala, la vecchia bottaia, con il pavimento di terra, è stata presa in affitto da una volpe, che sta allevando due cuccioli che fuggono al nostro arrivo, quando con Nino Farfaglia ci muoviamo a cercare l’uva per la nostra vendemmia.

C’è un senso di ordinata complessità, in tutto ciò che circonda il piccolo borgo di lava nera, molte piante, grandi castagni carichi di ricci gonfi di frutti, un noce dalla chioma tonda e ampia, a lato dei vigneti, uno ziggurat strano, un cumulo immenso di pietre frutto del lavoro millenario di pulizia e di preparazione dei campi da parte dei contadini, appoggiato a una lingua di lava rappresa di una colata di moltissimi anni fa. Mi ricorda molto le “Meurgire” dei pascoli valdostani, sopra il paese nel quale sono nato, risultato del lavoro infinito di strappare alla montagna la possibilità di crescere un filo d’erba per gli animali. Mille chilometri di distanza e lo stesso senso, profondo, nel tentativo di conquistare la sopravvivenza.
Siamo scesi nei vigneti, assieme a Marco De Grazia, il cui aiuto è stato prezioso, nel farci capire e apprezzare questi luoghi, assieme a Vincenzo Ceraulo e Salvo Foti. Gli appezzamenti sono divisi in piccoli settori che digradano nella valle, delimitati dai blocchi di lava in bassi muretti, come le scalinate dei templi aztechi, ci troviamo davanti a piante ottuagenarie, contorte dal tempo e dalle potature, autentiche sculture vive, dalle quali, nascosti tra il fogliame verde, fanno capolino i grappoli del Nerello Mascalese, del Carricante e della Minnella.
Vorremmo farci un vino, provarci quanto meno in questi vigneti tanto fitti da intimorire ad attraversarli. La vegetazione si chiude lasciando intravedere grappoli scuri di velluto. I tannini sono ancora duri, l’acidità è buona, lo zucchero si sta accumulando. Sarà a giorni che prenderemo la decisione, saranno bei giorni di attesa e di tensione, va colto l’attimo in cui la possibilità di fare bene diventa uno stato di fatto, l’acino maturo. Nell’attesa risaliamo al borgo, camminiamo sui muretti sfiorando gli olivi forti e i fichi d’india che arrossano al tramonto mentre il monte beffardo e solenne ci irride, granelli di polvere incerta ai suoi piedi, briciole di vita in pasto al tempo. Arrivati al cortile, l’occhio va al guardiano, il millicucco, che ha le fronde sfiorate dagli ultimi raggi di sole e sorride…………

Federico

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