domenica 17 agosto 2008

il giardino del vino e delle rose...


Oggi pubblichiamo il racconto di Niccolò Panozzo "Il giardino del vino e delle rose".

Niccolò Panozzo è nato a Verona e vive a Monza. Sta frequentando l’ultimo anno di liceo scientifico a Milano. La sua prima opera edita sarà pubblicata a fine agosto.



racconto

"IL GIARDINO DEL VINO E DELLE ROSE"

di Niccolò Panozzo



Gli occhi di quella bambina lo sconvolgevano. Non erano occhi particolari, e lei non era una bambina particolare; erano solo gli occhi di una bambina. Eppure in quella situazione, in quel luogo, negli odori che vi ristagnavano, nei colori che accendevano il paesaggio, c’era qualcosa che lo faceva sentire diverso da come si sentiva di solito. Non meglio né peggio, solo diverso.
I suoi capelli erano castani e le incorniciavano il volto da bambina. I suoi occhi svettavano e ardevano in quel volto. Nell’aria c’era un intenso profumo di rosa.
Il sole fendeva piano le fronde ondeggianti degli alberi, ondeggianti a una fresca brezza estiva. La luce ricordava nostalgia, e il pacato suono del vento che soffiava, dell’erba che cresceva, delle nuvole che si rincorrevano abbracciava con una musica la sua anima. Si lasciò guidare dalla musica e dalla bambina attraverso il suo passato, scostando con il solo battere delle ciglia gli impalpabili veli del tempo. Ogni passo lì rappresentava un momento della sua vita che se ne andava, e il tempo era libero di scorrere come preferiva, ora lento ora veloce, seguendo anch’esso la musica e il vento.
La bambina dagli occhi sconvolgenti tolse con naturalezza le scarpine bianche, e le sistemò una accanto all’altra, in una radura. Riprese a camminare.
Nell’aria c’era un intenso profumo di rosa.
Lui fece lo stesso, e riprese a camminare, nel silenzio della natura e nella musica dell’anima. Gli animali del bosco cominciarono a unirsi a loro in quel percorso di pace, attraverso il vento e la musica e l’anima e il tempo. Non erano spaventati e non lo era lui e non lo era la bambina. Il fiume di creature scorreva, ognuno come voleva, senza far rumore, respirando piano i profumi di quel luogo misterioso e tranquillo.
Sedette di fronte alla bambina. I suoi capelli erano castani e le incorniciavano il volto da bambina. Gli animali si dispersero pian piano e infine furono di nuovo soli. Soli tutti insieme. Gli alberi del tempo giocavano lì a chiamarlo e la musica dei loro rami accompagnava quella della sua anima. Una goccia densa e ambra di resina scivolò come lacrima di un ricordo dal grande tronco fermo d’un albero. La bambina la colse delicata con un dito e la baciò piano e la appese, goccia di rugiada color del sole, a un lieve filo d’erba.
Si accorse che il giardino era circondato da cespugli interi di rose bianche. Abbracciavano gli alberi e profumavano il bosco del loro candore. La musica del loro fiorire si poteva sentire nel cuore, in duetto con lo scorrere dolce del tempo. La bambina aveva un vestito bianco, un vestito di rose, e la sua pelle cantava la musica delle creature e rischiarava il giardino del suo candore.
C’era, fra quelle, una rosa. Una rosa rossa. Si alzò e la colse, col vento che gli parlava piano all’orecchio e la luce che lo scaldava un poco e il tempo che lo accompagnava lento. La bambina dagli occhi sconvolgenti lo guardò di nuovo, e spinse la rosa sulle sue labbra e la guardò. Quella si sciolse dolce nel suo sguardo caldo e lui ne bevve il nettare e l’essenza. Il vino.
Era completo e la terra rideva con lui e il tempo cantava la canzone delle rose e l’anima assaggiava la musica del vino. Ogni sorso era un momento della sua vita che se ne andava e il vento portava le sue memorie e le rose cantavano la sua gioia e il vino scorreva nella sua anima.
Il sole scese oltre i colli e i fiumi e le montagne, e ora, adesso, lì, anche lui bambino, guardava la bambina dagli occhi sconvolgenti e la sua pelle cantava la musica dell’anima e i suoi occhi bevevano il colore del tempo.
Nell’aria c’era un intenso profumo di rose. Un intenso profumo di rose e un denso sapore del loro vino.

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