sabato 13 settembre 2008

primavera precoce...


La vendemmia, Paolo Minioni


Tempo permettendo, lunedì inizieremo a vendemmiare a Villa Petriolo...

...allora, per la raccolta on line di tutti i testi del concorso "I giorni del vino e delle rose", ecco il bel racconto di Giancarlo Scalabrelli "Primavera precoce".


Giancarlo Scalabrelli è nato ad Orbetello (GROSSETO) nel 1949 e risiede a San Giuliano Terme. Professore ordinario in Viticoltura all'Università di Pisa, è Vice-Presidente del Consiglio aggregato del CdL Viticoltura ed Enologia. Ordinario dell'Accademia della Vite e del Vino e Acc. di Analisi Sensoriale. Svolge attività di ricerca in viticoltura ed è autore di numerose pubblicazioni.


Racconto

"PRIMAVERA PRECOCE"

di Giancarlo Scalabrelli



Come lo sbocciar delle rose in primavera cresceva sotto la maglietta il seno che nascondevi con vestiti più larghi. Crescere così presto, a undici anni, quando giocare è ancora il più anelato divertimento, qualcosa di nuovo e di inatteso in te si sta modificando, il gonfiore che cresce piano, piano, bottoni rosa che arrecano fastidio al movimento, che danno un senso di prurito quando vengono sfiorati dagli abiti, come ad una ferita che sta per rimarginare. Un tenue dolore e un senso di disagio per ciò che sta cambiando dentro e fuori e di te. Ti domandi se potrai continuare ancora a giocare come prima, a saltare da un albero all’altro, senza che questi boccioli ti ostacolino nei movimenti.
Cosa è crescere, se non perdere il senso della spensieratezza e della libertà, controllare le proprie pulsioni, acquisire una nuova dimensione in cui non puoi passare inosservato, un nuovo rapporto tra esistere, essere e apparire. E’ questa una nuova primavera che non ti aspettavi. E’ arrivata troppo presto, quando non era ancora giunto il momento di indossare le maniche corte.
In primavera, tutto sboccia, tutto torna a nuova vita ma questa precocità della stagione ti tormenta perché avevi ancora voglia di coprirti con la morbidezza della lana, essere avvolta dal tempore del camino e dall’odore del fumo della legna che brucia. Temevi che una volta scoperte le braccia dovesse tornare d’improvviso la neve di aprile e il freddo delle gelate tardive, che brucia i germogli della nuova vita, procurando ansia ai coltivatori per il danno dei loro raccolti.
Vivi con disagio questo passaggio di stagione che in natura è del tutto normale, avendo il timore che questa precoce primavera turbi la tua quiete indugi a rimanere a letto lasciandoti accarezzare dalle morbide coperte.
Chiudere gli occhi per immaginare ciò che accade intorno, senza pensare se quello che senti è reale o è il frutto dell’immaginazione. Dare spazio alla fantasia, alle sensazioni come se fossero reali e se non lo fossero lo diventino.
Rose, che ai margini del vigneto foste messe a guardia del frutto portato in grembo, allietate la vista e l’olfatto, quanti pensieri evocate!
Messaggere di speranza e d’amore anche se non ricambiato, simbolo della natura che sboccia, fiorisce e poi appassisce, come inesorabilmente sono le fasi della nostra vita.
Petali che invitate le api a feconde visite, offrite la parziale dischiusa alla preziosa vista, per attrarre l’insetto o il passante, gelosi custodi del gineceo, avvolgenti vestiti di orientale fattura.
Percepire il profumo dei petali delle rose che sbocciano quando ti avvicini al filare, di colore rosso vivo, rosso vermiglio, rosa acceso, rosa tenue, giallo o bianco che sia, emanate un profumo fragrante che avvolge tutto intorno, quasi fosse impossibile stabilirne la sua provenienza.
E’ solo una anticipazione del frutto che coglierai più tardi, quando le foglie prenderanno un colore rossastro e i grappoli saranno turgidi, pieni di succo, di sapore e di invitante profumo. Gustare un acino per sentire se il grappolo è maturo, lo scrocchiare della polpa che cede alla pressione delle mascelle, ma non troppo, quasi a ripetere l’antico gesto dell’infante attaccato al muliebre seno. Il succo che riempie la bocca, un frammisto di dolce e di acido, un contrasto che invita ad assaggiarne ancora per provare una nuova sensazione.
Saper aspettare per decidere se i grappoli sono ancora da cogliere, sfidando il tempo, la probabilità che la pioggia rovini il raccolto, che una grandinata improvvisa, laceri la buccia di quei mirabili frutti e distrugga irrimediabilmente un anno di attese e di sogni.
Immaginare i profumi che sprigiona il vino nuovo, il suo colore, la sua effervescenza, la sua giovanile vitalità, prima di svegliarsi per il rumore dell’imminente temporale o del canto del gallo di una giornata serena.
Decidere se cogliere o non cogliere, eterno dilemma dell’incerto e della cautela del temperante, ma anche di chi non ha fretta e rischia per aspettare che il frutto sia maturo a dovere. Intanto dentro la bacca tutto si trasforma e si prepara al mirabile evento. Cosa sono i frutti se non il mezzo con cui si propaga la specie?
Non è forse per questo che devono essere il più possibile attraenti per il colore, il loro profumo e per la loro invitante complessità, da essere colti al momento giusto?
Ecco che il frutto acerbo viene scartato ed evitato dagli uccelli, lui non ha la possibilità di diffondere il proprio seme. Se le piante avessero una sensibilità, i frutti acerbi potrebbero offendersi per non essere stati prescelti?
Le piante sanno certamente che il frutto migliore sarà deputato alla disseminazione e non se ne fanno una colpa, ma danno il meglio di se per non fallire in questo obiettivo. Ma noi essere umani, siamo disposti ad accettare una simile preferenza? Spesso no, ma dovremmo farcene una ragione, perché diversamente dal frutto della vite abbiamo la possibilità di superare le stagioni e di vedere valorizzate le nostre qualità anche oltre l’acme della nostra maturità.
I grappoli raccolti, una volta pigiati sotto la pressione dei piedi, sprigionano un succo vermiglio, il cui profumo inonda la cantina e si trasforma in un mirabile nettare che potresti bere subito, fino ad ubriacarti, a sognare di toccare il cielo con il dito e le interminabili praterie.
Lui quando è giovane passa di recipiente in recipiente, migra da un piano all’altro della cantina con sicurezza, se è rosso ha subito bisogno di caldo per farsi più bello e invitante.
Vive ormai una esistenza autonoma, spogliato da ciò che la natura aveva disposto per la continuità della specie, il suo effimero profumo ci attrae, il desiderio di gustarlo sale sempre di più.
Nel bollire e ribollire sussurra dolci melodie, invocando rispetto e poco chiasso, lascia cadere con disinvoltura una parte del suo vestito senza arrossire, poi ci invita nell’alcova ad un infinito abbraccio, con l’irresistibile profumo che nessuno ha ancora disegnato.
Chi può resistere alla tentazione di un assaggio e di un così naturale amplesso?
Uno sguardo al bicchiere rivolto al cielo, aspirare il profumo dei petali e dei frutti che inonda le nari e un irrefrenabile istinto di assaporare il sorso divino, mentre intorno la natura riposa e i tralci scricchiolano sotto la mano sicura del potatore.
Mirabile combinazione degli ingredienti che accompagnano il seme della vite, evoluzione del frutto della madre, che ha donato tutto per garantire la continuità della vita. Ormai chiuso nella dimora paradisiaca della botte, riposa prima di compiere l’ultimo percorso, ignaro che fuori il ciclo si ripete e che al giungere della precoce primavera, stanno di nuovo per fiorire le rose.


Dal film Il profumo del mosto selvatico.

2 commenti:

Gianpaolo Paglia ha detto...

ma dai, non ce lo facevo il Prof. Scalabrelli come uno scrittore, e bravo poi.
Comunque, e ci tengo a dirlo perche' e' il mio paese natale, Orbetello e' in provincia di Grosseto ;-)

silvia ha detto...

Oddio, è vero Gianpaolo! Grosseto, Grosseto! Correggo subito!
bello, vero, il racconto del prof.
Scalabrelli?!
a presto.