giovedì 4 dicembre 2008

il vero te stesso


Fortunato Depero, Il bevitore di Anacapri, 1921-23



Pubblichiamo oggi il bel racconto di Stefano Amato per "I giorni del vino e delle rose".

Stefano Amato è nato nel 1977 a Siracusa, dove risiede.
Lauretao in Scienze Naturali, è supplente di "Scienze naturali e geografia" presso un Istituto privato per Geometri. Lavora part-time in una libreria. Stefano ha pubblicato diversi racconti su riviste e antologie e, nel 2006, è uscito il suo primo romanzo per la VerbaVolant Edizioni.


Racconto

"IL VERO TE STESSO"

di Stefano Amato


Bevi, ragazzo mio. Bevi. Bevi come se non ti importasse nulla del mondo e delle preoccupazioni che porta con sé. Bevi con parsimonia, anche, ma bevi. Un bicchiere, non di più. Ma assaporato come si deve. Donagli il tuo tempo, con calma, e lui ti donerà qualcosa a sua volta. Che cosa, dovrai scoprirlo da solo. Ogni bicchiere di vino, se è quello giusto, ed è sorbito in maniera corretta, porta con sé una piccola scoperta. Nessun uomo dotato di buon senso che si sia seduto davanti a un bicchiere di vino, quando si è alzato è mai stato lo stesso. Può sembrarti esagerato, puoi pensare che io sia un vecchio senza speranza, ma fidati di me. So quello che dico. E bevi. Bevi, ragazzo mio.
Ecco, bravo. Un piccolo carosello del bicchiere. Così si fa. Il vino è una gabbia, per gli aromi. Sta a te liberarli. Non avere paura che trabocchi. Ho qui uno straccio fatto apposta per asciugare questo vecchio bancone di legno. Preferisco che lo versi, piuttosto che buttarlo giù “intero”, se capisci cosa intendo. Basta così. Fermati. Ora ficcagli il naso dentro. No, dentro, ho detto. Non essere timido. Le tue narici devono sfiorare il vino. Come quando annusi una donna. Non dirmi che una donna la offendi in questo modo, mantenendoti a distanza di sicurezza. Così, bravissimo. Non avere fretta, però. Prenditi il tuo tempo. Nessuno ti sta correndo dietro. Li senti gli aromi? Goditeli fino in fondo. Fino a quando non ti stanno per stufare, almeno. Ma deve volerci del tempo. Perché appena ti sembra di averne colto uno, di aroma, eccone un altro che sgomita per farsi avanti. Gli aromi non sono altro che dei ragazzini desiderosi di attenzioni. E tu sei il genitore comprensivo: a ognuno di loro devi dedicare del tempo. Ma non troppo. Perché è arrivato il momento. Il momento di bere.
Bevi un sorso, ragazzo mio. Non lungo; non corto. Il giusto. E ora posa il bicchiere. Dimentica che ce n’è dell’altro, là dentro. Dedicati anima e corpo a quello che hai in bocca. Mi raccomando, non ingoiare subito. Anche qui, prenditi il tuo tempo. La tua bocca è piena di papille gustative, e ognuna vuole la sua parte. Accontentale. Non essere precipitoso. Questo è un consiglio che vale per tutto. Chissà perché, la gente sembra godersi fino in fondo solo i guai. I piaceri no. Con quelli è più sbrigativa. Gli piace sorbirseli in un secondo. Un po’ come nel sesso, no?
Ma io e tu siamo diversi. Sappiamo cose che gli altri ignorano. Conosciamo il segreto, noi due, dico bene? Sappiamo che i guai e le preoccupazioni vanno trattati come ospiti indesiderati. Qualcosa di cui liberarsi il prima possibile. Non c’è spazio, nelle nostre menti, per le preoccupazioni. E’ tutto occupato dai piaceri. I piaceri e la gioia. Per loro c’è tutto lo spazio del mondo, nelle nostre teste. Chi non capisce una cosa del genere, o è un pazzo, o è uno sconsiderato. E noi non siamo né l’uno né l’altro, esatto?
Bevi ancora, giovane. Ché se il vino è quello giusto -- e questo, te lo posso assicurare, lo è -- tende a ricambiare le attenzioni che gli rivolgi. Ti fa dono di qualcosa di molto prezioso. E raro. Tende a farti scoprire il tuo vero io. Quello che se ne sta nascosto chissà dove, magari acquattato dietro a una preoccupazione che in un modo o nell’altro è riuscita e entrarti dentro. E allora lui che fa? Innanzitutto si libera di quell’ospite indesiderato. Lo fa fuori. Poi comincia a fare pulizia. Dà una spazzata qui, una spolverata lì. E in men che non si dica, ecco che tutto risplende. Diventa più chiaro. Cristallino. Eccolo, il tuo vero io. Dove si era cacciato?, ti chiedi. Sapessi quante volte ho visto dipinta un’espressione del genere, nella faccia della gente. Uno strano luccichio negli occhi. Come la nebbia che si dirada. E’ uno spettacolo puro.
Dicono che un bicchiere di vino è quello che si beve in dieci sorsi. Sono d’accordo. Di solito è al terzo sorso, che succede quello che ho appena finito di descriverti. E dal terzo al decimo è tutto un turbinare di pensieri. Si fondono, e dividono, e rimbalzano nei tuoi lobi per il tempo che ci metti a finire il bicchiere. Puoi essere da solo o in compagnia. Poco importa. Puoi anche parlare per tutto il tempo, se vuoi, ma i pensieri non li fermi. Oh, no. Facci caso. Magari sei lì, che parli di ragazze, o di lavoro, o di quello che ti pare con un amico. E in quel momento ti esce un sospiro per qualcosa di completamente diverso. Qualcosa di cui tu sei consapevole solo relativamente. Perché nel frattempo la tua mente, anzi, il tuo vero io, sta facendo combriccola con il vino. Per questo io consiglio di bere da soli. Almeno il vino. La birra è un’altra cosa. Sembra nata proprio per stare in compagnia, la birra. Ma il vino? No, lui no. E’ vero, di solito tendiamo ad associarlo a grandi banchetti e compagnie -- hai presente i baccanali? -- ma io non sono d’accordo. La vera essenza del vino è la solitudine. Lo starsene da soli con un bicchiere di vino davanti è impagabile. Puoi anche farlo in compagnia, ma ripeto: faresti un torto al vero te stesso. Lo trascureresti, e in generale ti perderesti qualcosa. Secondo me è per questo che l’hanno inventato, da qualche parte nella notte dei tempi. Perché conoscere se stessi è la cosa più preziosa, il talento più utile che un uomo possa mai avere.
Bevi, ragazzo mio. Tu sì che sembri avere capito. Sei qui, da solo, con l’unico scopo evidente di portare a galla la tua vera essenza. Te lo leggo negli occhi. In quel particolare sguardo con cui fissi il vino contenuto nel tuo bicchiere. Quante cose potrei dirti. Un po’ te le ho dette, anche se non ho aperto bocca. Un po’ le ho tenute per me. Ma voglio lasciarti in pace. In silenzio. E’ così che si beve. Non sentirai una sola parola, uscire dalla mia bocca, te lo prometto. Bevi. Bevi, ragazzo mio.

Mamma, quel vino è generoso...Placido Domingo in "Cavalleria rusticana" di Pietro Mascagni

1 commento:

Anonimo ha detto...

Scrivi, ragazzo mio....

Grazie Stefano. Mi hai fatto ritrovare il bisogno di stare da sola e in silenzio. Il senso, di quei momenti ovattati. Il piacere, di percorrere a ritroso, da fuori a dentro, l'incontrare e, a monte ancora, il ri-conoscere noi stessi.
Michelle