giovedì 18 dicembre 2008

rosso dischiuso


Foto di Saverio Maggio tratta dalla mostra Scatti Divini



Tanti auguri di buon compleanno a Marco Taddei, autore del concorso letterario "I giorni del vino e delle rose" con il bel racconto Rosso dischiuso ...e grande animatore del dopo-concorso su DiVINando!


Marco Taddei nasce a Roma il 18 dicembre 1973. Laureato in Lettere, attualmente risiede a Fiumicino (RM).



Racconto

“ROSSO DISCHIUSO”

di Marco Taddei



Con calma, il silenzio della cantina finì di inghiottire il tonfo dello stappo.
Adagiato nella botte scoperchiata, il vino sostava in quieta attesa. Il suo robusto aroma aveva penetrato l’aria al primo incontro.
A un passo, accoccolata sui talloni, la Creatura respirava l’umida penombra. Le spalle rocciose incurvate, a sostenere la testa massiccia. Pupille antiche sprofondate nella pozza sanguigna.
Dita legnose saggiarono a lungo le rotondità del calice, poi ne impugnarono lo stelo e lo tuffarono nel liquido.

Era nata quel mattino, annunciata da un brivido nei piedi del colle fiorito.
Dal profondo, braccia possenti avevano spaccato il suolo. Gli occhi spalancati avevano assorbito l’aperto, mentre divaricava la fenditura, tra arbusti verdi e zolle, spingendo fuori il tronco, dandosi alla luce.
Per un lungo momento fu perduta, sferzata dal vorticare di sensazioni nuove.
Aveva arrampicato il colle, pigiando i piedi ruvidi, tenaci, fino ad un sentiero pietroso tra i filari della vigna. In mezzo ai lastroni, ciuffi d’erba clandestini svelavano recente incuria.
Si era fermata a studiare i viticci ingarbugliati e frondosi, orfani di potatura. Curiosa, aveva sfiorato la buccia scura di un chicco, aggrappato ad un giovane grappolo ancora privo del succo.


Il calice riemerse, appena bagnato di granato.
Lo sollevò incontro alla finestra. Nel guizzo di luce, una morbida rotazione del polso accese limpide onde rosseggianti. Le contemplò infrangersi contro le curve del vetro, in riflessi di cangianti tonalità.
Fu incantata dal colore, grazioso imbroglio dei corpi per fuggire la luce.
Svanita l’ebbrezza, i lucidi bordi piansero nel rosso di nuovo placido.

In cima al colle, un casale governava il podere. Guardinga, aveva varcato il portone.
Un lenzuolo di polvere ricopriva resti di perduta laboriosità. Tra le pareti, l’eco remoto d’operoso cicalare.
Aveva sceso le scale fino allo scantinato e, mossa da oscuro istinto, liberato il vino dall’austero soggiorno.


Portò la coppa al naso. Imparò l’odore, araldo di memoria. Suono tatuato sulla pelle, come le stagioni di una vita.
Il profumo del geranio arrivò per primo, impertinente. Sbuffo di bimba nel grembiule rosa.
Allargò le narici e aspirò, brusco e profondo, lo sprigionarsi di segrete essenze. Fiutò la polpa morbida della ciliegia accogliere l’audace sfioro di rabarbaro. Poco distante, la mandorla, salda nel maturo abbraccio del mallo.
Nel fondo, sottile ma incombente, l’esalare di foglie castane appassite nel tramonto.

(al principio), una molesta quiete l’aveva scossa dal suo torpore. Sulla sua crosta si era spento il consueto brulicare, vivace formicolio che era divenuto appagante presenza.
Lei, madre involontaria, poco si era curata dei figli, né li aveva protetti dal letale morbo.
Eppure, quella inattesa perdita le allargava un vuoto dentro.
Con stupore, aveva accolto la nostalgia per l’uomo, l’essere con cui labile era divenuto il legame, faticosa la comprensione.
Lo aveva percepito senza sosta affaccendato a creare, annientare, violare, conquistare, conoscere.
Imparare ad avvicinare il cielo, dimenticare lo stendersi sull’erba.


Affascinata, rigirò un sorso di vino in bocca, pesandone l’ampiezza, lasciandolo poi scivolare lungo la lingua. La punta ricevette una carezza rotonda, zuccherina. Nei fianchi un vago asprigno pizzicore. Generoso, il corpo si distese nel centro, fasciandolo di largo calore.
Esplorò tatto e gusto: ricalcarsi addosso l’impronta delle cose, leccarne i contorni, assaporarne il carattere.
Deglutì. Scaldato nell’umido tepore della gola, il vino svelò un aroma cupo, trattenuto. Fragranze di chiuso, severo contatto: il tostato del rovere e l’ombrosa liquirizia nei palmi induriti del bottaio.
Poi, fu solo impulso umano a placare la sete.

La mancanza era diventata assenza da ricucire, gola secca di malinconia. Urgenza di carpire il mistero di coloro per cui era Terra, decifrare l’inquietudine di quella parte di sé che era anche “altro”.
Poggiò la schiena al muro, le gambe nodose stese sul pavimento. Spossata dal piacere, da sensazioni fragili e prepotenti.
Le fu chiaro il dono, e la pena, del genere umano: forza del sentire ingabbiata in angusto limite.
Fermò lo sguardo nella coppa tra le mani, e riconobbe il demone inquieto dell’uomo forgiare l’anima di quella bevanda.
In essa fermentavano giorni faticati di schiena piegata, terreno dissodato e vite accudita. Il rituale del succo carpito, la linfa della terra da vivificare con spirito bruciante.
Nel vino era l’alleanza tra il dato e il fabbricato, tra sé e l’uomo. Liquida armonia da costruire, rinchiudere, e godere in esaltazione di sensi.

Aveva saputo ricrearne la forma, concentrare il suo smisurato essere in umana sembianza. Partorirsi dal proprio grembo tra i fiori di un colle.

Il liquore l’aveva resa calda e nebbiosa come una valle in mattino d’estate.
Riempì un ultimo calice e uscì. Ciarliera, confessò alla brezza la sua stordita pace.
Infine, si raccolse, estese la sua immensa diluita percezione, fino a comprendere ogni cosa. In un punto lontano, gocce d’acqua covavano un fremito, una primizia di vita.
Portò in alto la coppa, sentito augurio a quella vita novella. Serena, mandò giù un’ultima sorsata, poi si sdraiò e si riassorbì nel terreno.
Era il tempo dell’attesa, del decantare. Ci sarebbe stata un’altra generazione d’uomini, nuovo raccolto. Un’annata migliore.


Danza degli spiriti beati, Christoph Willibald Gluck (da "Orfeo e Euridice")

8 commenti:

Antonio ha detto...

Non sono esperto di musica classica, anzi..e non conoscevo questa melodia. Ancora una volta, grazie Silvia di ampliarmi gli orizzonti.
Questa "danza" è degli spiriti beati, ma rende anche gli spiriti beati..

silvia ha detto...

è una delizia, vero, caro antonio?
mi è sembrata un buon accompagnamento al bel racconto di marco. luce e ombra, gioia e melanconia, vita e morte. e di nuovo vita, luce, gioia.
grazie a te per la tua attenzione...pina baush, Orpheus and Eurydice, su you tube. arte totale. a presto.

Antonio ha detto...

L'orizzonte ancora un po' più in là..di nuovo..
Con te il verbo "diVINARE"diventa un'educazione sentimentale alla bellezza.

Ma poi, secondo te, cosa significa il mito di Orfeo?

silvia ha detto...

è apollo e dioniso insieme, l'artista nella sua massima espressione...ma credo, mi piace pensare qui ed ora, che sia il simbolo della morte e della vita ad un tempo, il cambiamento di stato, la trasformazione, l'abbandono dell'antico per il nuovo, la rigenerazione. Il ciclo dei passaggi. Un pò come nel vino...ps: che bella la definizione di diVINARE...grazie, antonio.

Antonio ha detto...

Mi piace..ed è bello pensare che già nella notte dei tempi natura e arte, ma soprattutto vino e bellezza fossero pensati così miracolosamente affini da poter essere sintetizzati in una stessa figura..
IO, qui ed ora come dici tu, ho pensato questo però: che l'artista lascia i frutti del suo genio agli altri ma ne paga in prima persona il "prezzo". Un benefattore che si addossa i "deliri" del suo troppo sentire...la bellezza è l'eredità per l'umanità e, come la sua testa che galleggia cantando, il costo è la perdita dell'artista

silvia ha detto...

purtroppo, questa è la contraddizione...penso all'amato Campana e a tutti gli "spostati" - leggasi: che non stanno al loro posto, per fortuna nostra - di cui l'arte abbonda. L'omaggio al loro sacrificio dovrebbe essere la raccolta della loro eredità. Peccato non sempre accada...

Antonio ha detto...

Hai presente Kubla Khan di Coleridge? In fondo l'artista è un profeta. Ciò che stilla dalla ferita della sua vita è il messaggio all'umanità. Spesso questo messaggio non è diretto, ha bisogno della mediazione di persone come te (ampliare gli orizzonti di cui sopra)..L'eredità è lasciata, ma non è obbligatoria..sta alla sensibilità delle persone. Ma il mondo sarebbe migliore, più bello e migliore..

silvia ha detto...

Proviamoci, antonio. Tante gocce insieme fanno un mare.
a presto!