martedì 24 febbraio 2009

N'ónbra e 'n sach de rose...


Mentre l'edizione 2009 del concorso letterario di Villa Petriolo "S'io fossi...vino" è in piena corsa, prosegue su DiVINando la raccolta dei racconti dell'edizione 2008 "I giorni del vino e delle rose".

Oggi si pubblica il racconto di Eliana Olivotto, "N'ónbra e 'n sach de rose". Buona lettura!

Eliana Olivotto è nata a Cremona ed abita a Belluno.
Scrive poesie e racconti brevi sia in italiano che in dialetto. Sono stati pubblicati suoi progetti didattici, fra cui una rivisitazione interdisciplinare del buzzatiano “Il segreto del Bosco Vecchio” (1997). Escono poi le raccolte di poesie “Fili” (2001), “Dentro” (2005), “Strambalerie per bambini di tutte le età” (2006), “Poesie d’amore” (2007), “Partir” (2007) in dialetto/italiano. Infine esce “Spillini ed altri racconti un poco strani” (2008). E’ presente in molte antologie ed opere. Numerosi i premi ricevuti, soprattutto per la poesia.


Racconto

"N'ónbra e 'n sach de rose (UN BICCHIERE DI VINO E TANTE ROSE)"

di Eliana Olivotto



Giovanni si avvicinò alla finestra, scostò la tendina e rimase immobile, lo sguardo immerso nella visione che gli si offriva. Fuori era tutto un'esplosione di fiori. Erano soprattutto le rose a far da padrone nel piccolo giardino di casa, ad arrampicarsi sulle reti del recinto e sui graticci, a incorniciare il vialetto, a ravvivare il prato con esuberanti cespugli fioriti... I rosai di nonna Teresa sembrava si fossero messi d'accordo per salutarlo, imprimendogli negli occhi immagini da fiaba. Ovunque si posasse lo sguardo, rose dal diverso colore si esibivano per lui, rose tea dal giallo delicato, rose rosse come un incendio, rose rosa in boccio come labbra in attesa d'essere colte, rose screziate... ma anche la semplicità delle roselline di macchia ingentiliva angoli di giardino con cascate di petali pallidi come ali di farfalla.
La valigia era pronta. Giovanni l'afferrò saldamente alla maniglia. Aprì la porta deciso. Occorreva berlo d'un fiato il calice amaro che la vita porgeva.
Occorreva asciugarlo, farlo coagulare il sangue provocato dalla spina di una rosa appena colta.
Non doveva indugiare oltre. Il treno non aspetta nessuno. Al fischio del capostazione se ne va...
Giovanni esitò un attimo, aprì l'anta della vecchia credenza, ne trasse un rozzo bicchiere di vetro robusto, di quelli spaiati che usava ogni giorno in cucina, lo riempì di vino rosso, un merlot della sua terra, e lo bevve avidamente come avesse voluto portarne con sé il sapore pieno ed asprigno. Ne ebbe un effetto sedativo quasi immediato ed insieme una spinta corroborante ad affrontare il difficile strappo della partenza.
Salutò con uno sguardo circolare che voleva essere un abbraccio le sue semplici cose, la sua casa... ed uscì quasi correndo, senza badare a quello strano umido bruciore che gli invadeva gli occhi.
In Germania, lo attendeva un lavoro di apprendista-gelataio, l'unico che avesse trovato in quel difficile momento occupazionale, nonostante gli anni di studio e il suo diploma di perito industriale. Comunque qualsiasi lavoro era meglio di niente. Tutto, fuorché rimanere con le mani in mano ad aspettare chissaché.
Il sapore del vino corposo sulla lingua lo accompagnò a lungo come un'impronta nella sua bocca, come un bacio di addio.
Rosy sarebbe andata a rassettargli la casa e ne avrebbe avuto cura durante i lunghi interminabili mesi della sua assenza. Al momento opportuno, avrebbe potato i rosai, e lui l'avrebbe pensata, rosa fra le rose, intenta all'impegnativa mansione di cui si era fatta carico. Il pensiero gli riscaldava il cuore come n'ónbra de vin bevuta insieme con gli amici.
L'adattamento alla vita in terra straniera non fu difficile come aveva immaginato. Impegno e buona volontà gli erano valido sostegno, ed il pensiero era preso nelle nuove attività, nell'apprendimento della nuova lingua, nel cercare di fare al meglio quanto gli veniva richiesto. Solo alla sera il pensiero volava alla sua casa, alle sue rose vinate, al suo vino rosato, alla sua Rosy.
I mesi rotolarono in un lampo lungo la china del tempo.
Con frenesia Giovanni predispose il ritorno, preparò le sue cose ben ordinate, cercò dei piccoli doni per le persone care, oggetti che dimostravano come nella lontananza avesse pensato a loro.
Il dondolio del treno e il suo ripetuto costante trantran sui binari ritmavano una ninnananna che ben presto gli fece chiudere gli occhi. Il ritmo di sottofondo lasciò presto spazio all'ipnotico movimento scrosciante di una marea che, nel sogno, ondeggiava fra spume rosate in una conca vetrosa di un enorme bicchiere. Il liquido dalle radici arcaiche, il vino dei padri, riemergeva oniricamente da una culla millenaria, dal cuore della terra, lo bagnava, lo dissetava, lo nutriva, diveniva sangue del suo sangue.
Giunto al paese, al primo impatto si sentì stranamente spaesato, straniero. I repentini cambiamenti d'ambiente lo scombussolavano, gli alteravano quel procedere della vita che avrebbe voluto tranquillo. Anch'egli, come gli antichi vitigni, aveva radici profonde abbarbicate alla terra e alle sue rocce, e alle sue radici si aggrappava con tutti i sensi accesi, con le mani del cuore.
Mentre camminava trascinando la nuova valigia con le ruote, pensava all'improvvisata che avrebbe regalato alla sua Rosy. Di proposito non le aveva comunicato il giorno e l'ora del suo arrivo: voleva condensare la gioia del ritrovarsi insieme in un momento unico, particolarmente felice, vestito di sorpresa, frizzante come una coppa di Champagne, quasi un prezioso distillato da gustare in due.
A questo pensava mentre camminava, quando fu distolto da un richiamo.
- Ciao, Nani, bentornà! - Era Bepi, il suo amico di sempre.
- Vién, cónteme, bevónse n'ónbra insieme! (Vieni, raccontami, beviamo un bicchiere insieme)
N'ónbra insieme. La formula magica, quasi sacrale, usata fra gli amici: era stare bene, parlare di sé di noi di tutti di tutto... mentre il vino, filtro misterioso dai grandi poteri, ondeggiava con movimento lento e carezzevole nella trasparenza del vetro trattenuta fra le dita che stringevano con delicatezza lo stelo del calice.
Al banco dell'osteria del paese, l'ónbra de vin fu il primo benvenuto. Ne annusò il profumo, assaporò il liquido prezioso... Sorseggiando timidamente il vino buono si sentì scorrere piacevolmente il sangue nelle vene, si sentì vivo, si sentì finalmente a casa...
Sì. A casa. Staccò una rosellina dal mazzo che faceva bella mostra di sé sul bancone e se l'infilò all'occhiello in uno spontaneo gesto di festa.
Sì, era ritornato a casa, e fischiettando si diresse al suo rifugio, dove Rosy, rosa fra le rose, certamente aspettava il richiamo di un impaziente campanello. Sopra il tavolo, due coppe per brindare. Sarebbe stato come essere immersi nel tepore di un liquido amniotico, nell'utero rosso della terra, pronti ad iniziare insieme una vita nuova.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Conosco e apprezzo molto le poesie di Eliana Olivotto. Anche in questo racconto non smentisce la sua originalità di far nascere poesia dagli avvenimenti di sempre.

Anonimo ha detto...

Eliana non delude mai: è sempre un piacere leggere le sue opere. Grazie per avermi dato l'occasione di leggere questo bel racconto inedito.