giovedì 4 giugno 2009

Evviva il vino dell'amicizia!



“(…) bere vino ad un convito, ovvero partecipare all’unione e alla festa dei convitati, unico luogo dove si può parlare ‘in vino, e nessun’altra verità deve essere sentita che quella che è ‘in vino’, quando il vino è una difesa della verità, e la verità una difesa del vino’. In questo caso, il con-vito, il con-vivio ritorna ad essere ciò che è, il vivere insieme, il simbolo dell’unione che nasce dal mangiare e dal bere in comune”.

Francesca Rigotti, La filosofia in cucina



Rivalutazione del piacere di vivere lento, del wine bar, contro lo stile di vita frenetico, la pratica e i luoghi dello sballo, questo l’obiettivo della sezione speciale IL VINO DELL’AMICIZIA, al secondo anno di vita nell’ambito del concorso letterario di Villa Petriolo terza edizione S'IO FOSSI...VINO.

Oggi più che mai ci è parso di fondamentale importanza tentare il rilancio fra i più giovani di un modello alternativo a quello dei luoghi d’incontro frastornanti e, troppo spesso, forieri di drammatiche conseguenze. Il vino di qualità, con la sua ritualità ritmata da un tempo che scorre dolcemente - è essenziale per coglierne profumi e sapori - rappresenta un efficace antidoto all’abuso di alcol. Uno stimolo all’educazione ad un uso corretto di una bevanda naturale che, in dosi moderate, ha valenze positive. Una cultura della moderazione da recuperare sin dalla scuola: un approccio amicale al vino e una corretta educazione alimentare non possono che giovare alla formazione del pubblico giovanile, insegnando come questa bevanda sia una componente fondamentale della nostra cultura, e di quella del nostro territorio in modo particolare, dove da sempre un buon bicchiere di vino accompagna il pasto quotidiano.

Una “cultura da bere”, in cui il vino si pone come la bevanda dell’amicizia per antonomasia, dell’ accoglienza e dell’ospitalità, della voglia di stare insieme con semplicità, ha dunque ispirato tutti i nostri giovani autori, che ringraziamo ancora una volta e i cui racconti saranno a breve on line.

Molte grazie anche ai professori che ne hanno coordinato l’impegno, rendendo possibile questo sviluppo così entusiasmate: il professor Giacomo D’Agostino, Preside dell’Istituto Enriques di Castelfiorentino (Firenze), con il professor Marco Nebbiai, e i professori Edoardo Govi e Stefano Cappelli dell’Istituto Alberghiero F. Martini di Montecatini Terme (Pistoia), che organizzeranno anche il servizio di sala e sommellerie, ad opera degli studenti delle due prestigiose scuole, durante la cerimonia di premiazione del 25 giugno.
Determinante il supporto degli Enti patrocinatori Circondario Empolese-Valdelsa e Strada dell'olio e del vino del Montalbano per la buona riuscita di tutta l'iniziativa.


Ed ora…i racconti vincitori, tanti complimenti a Francesco e Cassandra!



PER LA SCUOLA F. ENRIQUES DI CASTELFIORENTINO

Racconto SE NON FOSSI VINO di Francesco Innocenti


Ero un vino giovane quando entrai in quella piccola cantina improvvisata nel garage di un dentista a cui ero stato regalato da un cliente.
“Dottore, un pensiero per ringraziarla, è un Chianti del 2007, molto buono.”
“Grazie signor Renzi, non importava, davvero.”Grazie. Facile ringraziare il signor Renzi che oltre ai tremila euro per l'apparecchio della bambina ti regala anche una bottiglia di Chianti.
La cantinetta era situata sotto a dei pensili contenenti attrezzi da giardinaggio e bricolage, era fatta da dei listelli di legno disposti trasversalmente su due tavole, cinque piani, in ogni piano entravano dieci bottiglie. In tutto vi saranno state una trentina di bottiglie, in pratica era vuota. Il dentista mi posò in uno dei posti del terzo piano, accanto ad una bottiglia polverosa di cui non riuscii a leggere l'etichetta. Non era un vino D.O.C. o D.O.C.G. , non aveva il collare rosa.
Il dentista chiuse la serranda dall'interno, attraversò il garage e aprì un porta che dava nell'interno della casa. Non si vedeva nient'altro che un attaccapanni di noce con due impermeabili e uno spolverino appesi, un'ombrelliera, con all'interno tre ombrelli di colori scuri, tutti con il manico elegante e uno specchio in una cornice di legno scuro. Sicuramente si trattava dell'ingresso della casa e, a giudicare dalla mobilia, il dentista aveva una gran bella casa.
“Novecentoventotto.” Una voce rauca ruppe il silenzio e mi distrasse dal guardare quello squarcio di lusso tanto vicino quanto lontano. Era il vino nella bottiglia polverosa che avevo di fianco.
“Come, scusa?” Gli chiesi, ma non ebbi risposta. Intanto la porta si chiuse alle spalle del dentista. Nel garage regnavano il buio e il silenzio. “Cosa stavi dicendo?”
Ancora silenzio. Un vino al piano di sopra si fece sentire “Sto cercando di riposarmi, se non ti dispiace. E lascia perdere quel vecchio, il tempo gli ha fatto perdere la testa.” Riuscii a malapena a sentirlo, ma il messaggio mi arrivò chiaro.
Riposare era l'unica cosa che un vino poteva fare nella cantinetta. Il tempo era come rallentato e sembrava non passare mai. Io da vino giovane non ero abituato a tanta staticità ed ero molto irrequieto.
“Ci dovrai fare l'abitudine, giovanotto.” Di nuovo quell'inconfondibile voce rauca.
“ Ah. Sei tu. A cosa mi dovrei abituare?” Chiesi seccato.
“Al tempo, all'attesa. Non puoi sapere quando verrà a prenderti per aprirti. Possono passare giorni, mesi, o addirittura anni.”
“Lo vedo, non ti si legge più l'etichetta dalla polvere che ti ricopre. Da quanto è che aspetti?”
“Non saprei dire..” La malinconia si insinuò nelle parole del vecchio vino. “Sicuramente da molto tempo.”
Silenzio. Fissavo la polvere sulla bottiglia del mio vicino. Mi dava da pensare. Quel vecchietto cominciava a farmi pena.
“Sai, gli altri vini dicono che sei pazzo.”
Non ebbi risposta, probabilmente per il mio poco tatto. Mi riabbandonai al vuoto e cercai di farmi entrare il buio del garage nella mente. Naturalmente non ci riuscii. Un pensiero mi turbava. E' questa la vita dei vini, aspettare? Non è che possiamo fare altrimenti, stiamo fermi su degli scaffali di consorzi, supermercati, o sdraiati nelle cantine. E' questo il nostro compito, aspettare che qualcuno ci beva, o di diventare aceto sotto una coperta di polvere. L'idea di fare la fine del mio vicino mi logorava dentro. Un Chianti come me che finisce ricoperto di polvere nella cantinetta di un dentista. Semplicemente uno scempio.
La porta del garage si aprì. Entrò il dentista, l'impermeabile tra i manici della sua borsa di pelle. Montò in macchina e uscì dal garage.
“Novecentoventinove.” Ancora il vecchio.
“Mi dici cos'è che conti?!” Dissi con tono furioso.
“Conto le volte che viene aperta la porta.”
“Tu sei davvero pazzo!” Stavo perdendo le staffe.
“Pazzo? Può darsi.” Nelle sue parole c'era una calma incomprensibile. “Tu non puoi capire. Sei ancora troppo giovane.”
“Capire cosa?”
“Vedi, io sono un S. Giovese del 2004. Un regalo di poco gusto di un cugino del dentista. Prima di arrivare qui ero sullo scaffale di un supermercato, tra le offerte speciali. Non sono un buon vino come te e probabilmente non verrò mai bevuto. Fino a qualche tempo fa l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era il giorno in cui avrei varcato quella porta, in cui il dentista mi avrebbe appoggiato su una bellissima tavola imbandita. Sai, quelle con le tovaglie a quadri stirate alla perfezione, sette o otto coperti, i tovaglioli di stoffa, i calici in cristallo, tanta luce, tanto calore, tanta gioia. Al mio momento li avrei stupiti con il migliore schiocco da tappo che avrebbero mai potuto sentire. Cosa non avrei dato per essere stappato e fare un signor schiocco, respirare della buona aria fresca inondare i sensi di chi mi avrebbe bevuto. Ma a quanto pare non è questo il mio destino, a quanto pare non ne sono all'altezza.”
Inutile dire che il discorso del vecchio vino mi aveva colpito molto e mi sentivo come un moscerino che viene schiacciato su un parabrezza. Naturalmente non sapevo nemmeno cosa dirgli. La mia giovinezza e la mia alta qualità mi avevano dato una consapevolezza immensa e non ero preparato ad un colpo del genere.

D'un tratto si aprì la serranda e i fari della station wagon del dentista illuminarono per qualche secondo il garage, dopodiché l'uomo scese e passò dalla porta che dava nella casa.
“Novecentotrenta.” Dicemmo in coro io e il vecchio S. Giovese.
Sapevo che quel povero vino aveva bisogno di compagnia, il tempo sembra passare più veloce se si è in compagnia. “Grazie.” Mi disse.
“Di niente. Cosa intendi fare adesso?”
“In che senso?”
“Intendi rassegnarti?” Non riuscivo ancora a capacitarmi della tranquillità di quel povero vecchio.
“Cos'altro potrei fare? Se non fossi vino scapperei, comincerei a correre come un dannato e cercherei di dare un senso alla mia vita. Ma purtroppo non è così, aspetto che il tempo faccia il suo corso e mi tramuti in aceto.”
Ero attonito, sconvolto. Non mi sarei mai sognato di poter sentire un discorso così pronunciato con una tale tranquillità. “E non hai paura?”
“Certo che ho paura. Ne ho molta... Novecentotrentuno!”
La porta si aprì, il dentista accese la luce si avvicinò alla cantinetta e si accucciò. Guardava all'altezza del piano dove eravamo io e il vecchio, guardava verso di me.
“Tocca a te giovanotto!” Notai nella voce del mio vicino un enorme pace e serenità.
“No, io non posso..”
“Inebriali.”
La grande mano del dentista mi afferrò e mi sollevò dai sostegni. Era il mio momento, non potevo farci nulla. Non fossi stato vino avrei abbracciato il mio nuovo vecchio amico e lo avrei stretto fortissimo per fargli capire che gli volevo bene, ma non era così.
“Ciao!” Gli dissi quasi senza voce.
“Addio.”
Il dentista mi passò sopra la mano per togliere un sottile strato di polvere, aprì la porta, spense la luce ed entrammo nella casa. Non sentii il “Novecentotrentadue” del mio amico ma lo pensai tra me e me. L'uomo mi portò nella sala da pranzo dove fui folgorato da ciò che vidi quando fui posato sul tavolo da pranzo.
Era tutto come mi aveva descritto il mio amico. La tovaglia a quadri, i tovaglioli di stoffa rossi, i sette coperti di piatti in porcellana decorata. Al centro della tavola c'era una composizione floreale dai toni caldi la luce che entrava dalle finestre si rifletteva sul cristallo dei bicchieri. L'odore del pane e di chissà quali altre pietanze riempivano la stanza. Dalle altre stanze arrivavano le risate di tre bambini che giocavano con i loro pupazzi. Le signore parlavano delle ultime notizie di gossip e i mariti dell'imminente partita di campionato. C'era una grande serenità nell'aria che infondeva sicurezza e pace, ma io non riuscivo a pensare ad altro che al vecchio S. Giovese.
Le due famiglie si sedettero al tavolo, i bambini agguantarono dei pezzi di schiacciata, le madri li ripresero. Il dentista mi afferrò. Stringeva in mano un cavatappi.
“Questo è un regalo di un cliente. E' un chianti, una prelibatezza.”
“POC!”

Cenni biografici FRANCESCO INNOCENTI
Nato nel 1991, abita a Montespertoli (FI). Diplomato nel 2008 con la qualifica di terza alberghiero e premiato quale migliore allievo per rendimento teoria-pratica rilasciato dall'Associazione Italiana Cuochi Senesi, ha lavorato come aiuto cuoco al ristorante La Cucina di Sant'Andrea di Empoli. Frequenta l’Istituto Statale Superiore F. Enriques di Castelfiorentino (FI).




PER LA SCUOLA F. MARTINI DI MONTECATINI TERME

Racconto IL VINO NOSTRO AMORE E FIGLIO di Cassandra Giuiani

Il vino è il nostro figlio, ma è anche padre, madre e amico; ha bisogno di carezze e attenzioni. Può diventare giallo come la terra e caldo come il sole, o nero e tenebroso come la notte. La sua storia ci appassiona e coinvolge, ci fa diventare amici; come una donna, la vite si lascia piantare in dolci colline, legare e tagliare i capelli lunghi, poi, come una madre, coccola suo figlio, aspetta che nasca e, quando è piccolo piccolo, lo protegge e aspetta che cresca. Poi, come una madre gelosa, ce lo lascia intravedere e noi iniziamo a gioire e visitarlo sempre più spesso, coccolandolo. Come una mamma premurosa, lascia che il grappolo si sfami e disseti dalla terra, poi lascia che il sole lo abbronzi e lo faccia diventar grande. Amorevolmente lo ripara con le sue verdi mani. Appena è grande, lo lascia tagliare dalla mano amica del visitatore che, con la precisione di un intagliatore, lo toglie e l’adagia nel carro e, con molto amore, lo porta nella sua nuova casa. Nelle cantine lo schiacciamo con grazia e lui ci dona il suo succo, che rinchiudiamo nei tini. Inizia nel vigore giovanile a scaldarsi e, in una lenta modifica, comincia a donarci tutte le coccole che ha ricevuto. Appena si è fatto adulto, smette di correre e inizia a pensare, pensare, pensare, fino al momento che diventa grande e forte. A quel punto noi lo mettiamo in una nuova casa in legno e lo lasciamo lì al buio e al freddo, ma lui no, non ci abbandona. Appena entriamo in quella gelida stanza dove sta riposando nelle botti, inizia ad abbracciarci. Sembra una dolce melodia o una lunga mano che ci circonda di calore nel freddo della cantina. Ci avvolge fin su ed entra, senza chieder permesso, nelle nostre narici e lì apre il suo scrigno di profumi, ci inebria e ci ricambia con quel suo amore inaspettato, ma unico e immenso come il suo profumo.
Ci sentiamo coccolati e ci verrebbe la voglia di ricambiar l’abbraccio, ma non vorremmo disturbarlo. In punta di piedi stiamo per andarcene. Non riusciamo e ci vien la voglia di toccar la sua casa, sbattiamo sopra le nocche delle mani come per chiedere permesso. Non risponde, sentiamo solo un rumore sordo. Vorremmo aprire per carezzarlo ma ancora no, dobbiamo aspettare, ancora non è pronto per donarci più amore ed aspettiamo, aspettiamo, e sappiamo che sarà lui a dirci quando possiamo visitarlo. Poi ci accorgiamo che il tempo è giunto e lassù la luna, come la Stella Cometa, si accende e ci indica il cammino. Ormai non stiamo più nella pelle e non vediamo l’ora di salutarlo: corriamo e apriamo quella fortezza in legno. Incuriositi, assaggiamo quel tesoro che scende in bocca, vigoroso come un fiume in piena, massaggiando dolcemente tutti i punti, anche i più nascosti, rilasciando profumi e sapori del padre e della madre. Questo nostro figlio vorremmo trattenerlo il più possibile per abbracciarlo come non abbiamo mai potuto fare e lui lo sa e, prima di saltare giù per l’ultima discesa, ci carezza la gola facendoci l’ultima ed affettuosa lusinga. Come si può voler male a questo nettare? Non possiamo usare questo prelibato prodotto contro di noi, non si deve abusare, ma lasciarsi solo coccolare. S’io fossi vino, mi potrei rappresentare come un vino rosso, amabile e tutto da scoprire, un vino da bere a tavola con gli amici, che accompagna una serata in allegria davanti ad una buona bistecca alla griglia, da vera toscana quale sono. Un vino che si beve per ricordare tutti i momenti belli e aiuta a superare i pensieri passati e presenti che ci hanno uniti e divisi. Sarei quel vino che con il suo gusto unico dona la gioia di stare insieme; un vino che si beve per degustarlo e non per danneggiare noi stessi e gli altri. Tra tutte le forme che il vino assume io sarei questo, un vino da amare, non da odiare!


Cenni biografici CASSANDRA GIULIANI
E' nata a Pescia (Pistoia) nel 1991. Frequenta la classe IV Turistico dell’Istituto Alberghiero F. Martini di Montecatini Terme. Ha partecipato alle olimpiadi di matematica per Istituti Superiori ed è stata selezionata a scuola per leggere poesie sul cibo nell’ambito del progetto "Invito a cena per lettura”.


Le foto del post sono di Alena Fialová

4 commenti:

Lisa Ergico ha detto...

ci tengo a fare i miei complimenti a francesco.ho trovato nel suo racconto un non so che di geniale.molto belli entrambi comunque.

silvia ha detto...

Grazie Lisa! Francesco e Cassandra saranno contenti di questo tuo apprezzamento, e anche villa petriolo! a presto.

Anonimo ha detto...

Tenerissimo e avvolgente il racconto al femminile di Cassandra, curioso e frizzante quello di Francesco. bravi tutti e due si leggono con piacere.

silvia ha detto...

E' importante che la cultura del vino abbia le parole di giovani che andranno ad occuparsene, certamente, anche per lavoro. Si sente che del vino hanno colto sia la complessità che la sua dimensione quotidiana, di cosa di tutti i giorni. Mi sembra davvero bello. Mi associo al bravi e lo estendo davvero a tutti i ragazzi delle scuole che hanno scritto di vino, lasciando ognuno una propria impronta, sempre originale.