lunedì 21 febbraio 2011

LA GAIA MENSA: il racconto di Patrizia Esposito “La cucina del generale”




Buon inizio settimana con il racconto di Patrizia Esposito “La cucina del generale”, scritto per il quarto concorso letterario di Villa Petriolo “La gaia mensa”.


Patrizia Esposito
, di Induno Olona (VA), è autrice del libro dal titolo IL SILENZIO DEI PENSIERI con IlFilo ed Roma.
Vincitrice del concorso Poetika 2006 con il racconto breve dal titolo U’ serbaggio; del concorso “Renato Fucini” 2007 con il racconto breve Con gli occhi del cuore ; del concorso di Haiku “La poesia del cibo” 2007 con il componimento Le bionde spighe. Premiata in altri concorsi sia di poesia che di narrativa.
3°al “Premio Guido Cornaglia 2008” con la poesia Sport e Handicap.
6° al concorso di Haiku Poeti del Lago Maggiore 2008 con una silloge di Hailu.



Racconto “La cucina del generale” di Patrizia Esposito

Il profumo colpisce violento le narici quasi a stordirmi. Non mi capitava da tempo di sentirlo e l’emozione mi ha fatto tremare le gambe.
Quella mattina la nonna si era messa di buzzo buono. Tutti in piedi presto pronti ad ubbidire ai suoi ordini, non per niente la chiamano “Il Generale”.
Vivevamo in una città meravigliosa affacciata sul golfo con il mare, per noi conforto a qualunque malinconia.
Eravamo bambini e non vedevamo l’ora di partire per le vacanze. Via sino alla fine di settembre, quando riprendeva la scuola. Non avremmo fatto altro che stare sulla spiaggia, nuotare, costruire fantastici castelli di sabbia e poi via in bicicletta o a giocare a nascondino,. Insomma tutti quei divertimenti che rendevano la nostra vita allegra e spensierata sotto l’occhio vigile e attento della nonna. Mamma e papà arrivavano solo il sabato mattina con il treno che li riportava a casa la sera successiva.
In quegli anni abbiamo scoperto i piaceri della natura, i profumi della campagna, i gusti indimenticabili dei prodotti freschi.
Nelle prime ore della mattina le contadine, che noi chiamavamo “le pacchiane dal culo rosso” per il costume che indossavano, passavano di casa in casa offrendo i loro prodotti ai cittadini in vacanza, portando le stadere nelle ceste con la frutta conservata tra le foglie di fico per mantenerla al fresco.
Il prezzo dichiarato veniva ridotto dalla nonna che lottava con foga e alla fine la spuntava sempre, così la frutta veniva via per pochi soldi.
Noi ragazzi non badavamo a queste che erano questioni da grandi. Ci limitavamo ad ascoltare incuriositi i dialoghi dai toni a volte concitati pieni di parole in dialetto o in italiano che davano forte l’impressione dell’incomunicabilità.
A noi competeva solo il consumo dei prodotti. Le colazioni erano stupende. Panini imbottiti di fichi dolci come e più di conserve, pesche bianche tagliate a pezzettini coperte da una montagna di zucchero, l’uovo crudo mandato giù con un po’ di marsala, unico alcolico concesso, al cui meraviglioso profumo non sapevamo rinunciare. Vapori di vino maturato al sole di Sicilia, isola sconosciuta che appariva lontana e misteriosa.
Poi via al mare, incuranti del tempo necessario alla digestione di colazioni così sostanziose. Bruciavamo nell’acqua tutta l’energia incamerata e, sempre sotto lo sguardo vigile del Generale, trascorrevamo a mollo l’intera mattinata.
Se le contadine ci portavano il cibo a poco prezzo, il mare ce l’offriva gratis.
La nonna, a dispetto della sua non più giovane età, indossava un costume simile a un vestito, quindi si immergeva con noi e mentre controllava come un capobranco tutti i suoi piccoli, setacciava la sabbia con le mani e raccoglieva le telline che portava in casa trattenendole nell’ampia gonna poi, mentre ci asciugavamo, cuoceva la pasta e la condiva con i frutti profumati di mare e di prezzemolo.
Come non ricordare il gusto di quelle forchettate di spaghetti! Una dopo l’altra ci riempivano il naso di vapori che sapevano di salsedine.
Profumi e sapori che il Generale riportava in città e che faceva rivivere anche a noi quando dava il via a giornate di lavori culinari.
Per noi ragazzi era un peso seguirla nei suoi disegni ma anche un gran divertimento che ci inorgogliva perché solo nostro e spesso invidiato dagli amici.
Ognuno aveva un compito deciso per età e per capacità manuali.
Il maggiore, delegato ai lavori che richiedevano più forza, girerà il tritacarne nel quale la nonna inserirà il misto di carni preparato per le salsicce.
Lo ricordo magro nei suoi pantaloni al ginocchio, un po’ più piccolo dei suoi coetanei ma con un’espressione furbesca che faceva già pensare ad una sua concreta supremazia. Di certo era riuscito a farsi promettere qualcosa dalla nonna in cambio del suo aiuto. Lo sapevamo tutti che era il suo preferito ma forse era gerarchicamente giusto così.
Il secondo, minore di poco, non godeva di egual attenzione e così gli veniva imposto di seguire la preparazione della sugna e dopo, al più, curare i ciccioli che di nascosto avremmo rubato gustandoli come caramelle proibite.
A lui di certo nessuna promessa ma non se ne dà pena. Gli bastano i biscotti che mamma ha comprato per saziare la sua fame di giustizia.
Io ero la più piccola, la femminuccia tanto desiderata, la principessina di casa, che per sopravvivere aveva dovuto imparare a giocare a calcio e fare alla guerra. L’unica cosa che mi rendeva felice e orgogliosa era l’infinito amore di mio padre che non mancava occasione di manifestarmi.
Ebbene anch’io avevo il mio incarico: curare la preparazione delle budella per insaccare le salsicce. Non è che ne fossi particolarmente felice, il viscido degli involucri mi provocava un forte senso di disgusto.
Indossato un bel grembiulino, legati i boccoli d’oro e tirato su le maniche , prendevo in mano la forma di metallo attorno alla quale far scorrere l’intestino dell’incolpevole animale.
Sembravamo tutti operai addetti ad una catena di montaggio, ognuno, pronto e impettito, in attesa degli ordini del Generale.
Aveva quindi inizio la recita diretta da quella regista sopraffina. Il mormorio della tensione lasciava lentamente il posto ad un parlare semplice e gioioso, mentre il profumo del cibo si impossessa della cucina senza possibilità di essere arginato.
Eravamo soldatini pronti agli ordini del nostro amato Generale che, mentre controllava l’operato dei suoi bambini, dava il via alla preparazione del ragù “alla napoletana” che dopo poco cominciava a sobollire nella pentola con un borbottio che faceva da colonna sonora al nostro lavoro.
Era una meravigliosa sinfonia di profumi e di sapori che si diffondevano nelle nostre narici per essere gustati ancor prima di arrivare al nostro palato conditi da quell’armonia che noi bambini vivevamo certamente senza averne piena contezza.
La cucina era il regno del Generale, ma era anche il luogo dove nel tempo abbiamo trascorso molte delle nostre giornate in compagnia della nonna che non ha perso occasione di fornirci altrettanto abbondanti porzioni di cultura: ce le serviva per ampliare le nostre conoscenze cui teneva certamente come e forse più di un pranzo ben riuscito.
Tra uno zabaglione e una brioche, un bel pezzo di pane riempito di zucchero e grandi scorpacciate di frutta, siamo cresciuti apprendendo i segreti della musica, della geografia, della storia e della poesia, ovviamente destinati al più grande ma carpiti anche da noi più piccoli.
Sul tavolo della cucina abbiamo scritto le letterine di Natale che poi riponevamo sotto il tovagliolo di papà in attesa di gustare la cena della Vigilia, rigorosamente a base di pesce, che la nonna aveva come sempre magistralmente preparato magari dopo aver inseguito il capitone che tentava di sfuggire alla rea sorte.
Poi l’arrivo di Babbo Natale, la recita necessaria per ottenere un regalo, un piatto di struffoli dolci e caramellosi guarniti da confettini colorati, felice rappresentazione della nostra gioia infinita, una carezza affettuosa del vecchio vestito di rosso e la corsa a giocare con i nuovi giochi mentre il tintinnio dei bicchieri si spegneva lentamente.
Adolescente, ho continuato a coccolare nel cuore immagini e profumi della mia fanciullezza, quei ricordi che ho ripreso dalla mia videoteca interiore quando all’improvviso mi sono trovata ad essere la donna di casa.
Non avevo mai usato un mestolo, non avevo mai cucinato nulla, ma il ricordo della nonna mi ha preso per mano e mettendo da parte quei piccoli dissapori generazionali che avevano creato un distacco tra noi negli ultimi anni della sua vita, mi ha guidato tra i fornelli facendomi risentire i profumi e i sapori di un tempo. Così chiudendo gli occhi ho rivisto ogni gesto, risentito ogni ordine, seguito con attenzione le sue disposizioni. Come per magia, ho ricreato l’indimenticabile cucina del Generale, quella cucina che il profumo di oggi ha fatto ricomparire nella memoria del mio cuore.

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