venerdì 30 settembre 2011

“TORNARE A CASA” di Sara Beinat, racconto "segnalato" al concorso letterario di Villa Petriolo 2011 "Wine on the road"




“Tornare a casa” è il bel racconto di Sara Beinat, segnalato al quinto concorso letterario di Villa Petriolo “Wine on the road”. Complimenti alla nostra autrice, vincitrice, nel 2010, del secondo premio del concorso “La gaia mensa”!

Sara Beinat nasce nel 1981 in Germania da una famiglia di gelatai emigranti e all’età di tre anni ritorna nell’originario Friuli. Laureata al Dams dell’Università di Udine, si è diplomata come allieva attrice presso l'Accademia teatrale Città di Trieste. Legge, scrive, gioca.


Racconto “TORNARE A CASA” di Sara Beinat

Volevo un caffè liscio, nell'ingarbugliata metropoli di asfalto e vetro.
Volevo bere un caffè e, quando lo ordinai, la donna dietro al banco esitò.
Chiese se venivo proprio dallo Stato che il mio accento suggeriva.
Sì, certo.
Anche lei.
Chiese il paese.
La risposta la emozionò: lo stesso della sua famiglia.
Portò il caffè e mi lasciò gustarlo in silenzio, rispettosa del rito.
Feci tintinnare le monete.
“Signorina,” disse, “mio padre è emigrato qui cinquant'anni fa, è anziano, malato... non potrebbe portargli un ricordo della sua terra?”
Quasi inghiottito dalla grossa poltrona su cui era accasciato, il vecchietto mi fissava speranzoso. Avevo accettato di incontrarlo, ma non sapevo cosa dirgli: il paese che doveva aver conosciuto era quello dei miei nonni, tante persone non c'erano più, tante abitazioni avevano fatto spazio a condomini, parcheggi, rotonde.
Non riuscivo ad aprire bocca.
Fu lui a indicarmi la strada: “Vorrei solo tornare a casa” e mi tese la mano ossuta.
Capii.
Gli presi la mano e insieme partimmo.
“Siamo davanti al panificio di Ettore. È stato infornato anche il pane per domani che è domenica, sente il profumo? Tra tutti i tipi di pane il mio preferito è il filone croccante, con tanta mollica per tirare su il sugo. Imbocchiamo via del Molino, i ciottoli levigati sono duri sotto le suole delle scarpe, qualche sassolino aguzzo si infila tra le dita mentre arriviamo nei pressi della fioreria. Un gatto grigio e grasso sonnecchia all'ombra dei vasi, i nostri passi non lo svegliano. Salutiamo Agnese, intenta a cambiare l'acqua ai geranei (guardi che bella camicetta rosa ha indosso oggi) e proseguiamo passando sotto una finestra da cui esce una sommessa ninna nanna: Teresa la sarta ha avuto un bimbo due mesi fa, lo sapeva? L'ha chiamato Martino, come il nonno da cui ha imparato il mestiere... ha vestito mezzo paese! Giriamo l'angolo con via del Mattino e sbuchiamo di fronte al negozio del barbiere (con in vetrina le teste di chi aspetta il turno) da cui è appena uscito il maestro Condotti: poverino, non riesce a fare due passi di seguito perché le madri degli alunni lo fermano per chiedere come si comportano i loro figlioli! Un'ombra improvvisa nasconde il sole dal nostro viso, oscurato dalle lenzuola fresche di bucato appese al filo sotto cui stiamo passando ora. Lenzuola bianche, di cotone grosso, con un semplice ricamo fatto a mano. Mia madre le aveva uguali e... oh! Stia attento! Un pallone di cuoio ci è appena sfrecciato davanti, seguito da un nugolo di bambini in calzoni corti, rapidi e sudati... guardi come corrono! Uno inciampa e gli altri ridono, lui si rialza eroico, il ginocchio sbucciato gli brucia ma finge di non sentirlo e riparte a correre, seminando gli amici. Il profumo di soffritto sfrigola da un balcone. Ancora qualche metro ed eccoci in piazza, ci danno il benvenuto gli undici rintocchi che riempiono l'aria dorata, pigramente solenni. Ah la piazza! Fermiamoci un attimo ad ammirarla in tutta la sua dignitosa semplicità, il municipio e la chiesa si fronteggiano e, tra loro, la fontana. Due passerotti zompettano tra gli schizzi d'acqua, incerti se accettare le briciole lanciate da un marmocchio ancora instabile sulle gambette. La madre lo tiene d'occhio seduta a un tavolino del bar e intanto ascolta le chiacchiere di un'amica davanti a un cappuccino infinito. All'altro tavolo, carte e un bicchiere di rosso per tre amici pensionati. Passiamo accanto a loro, vecchie colonne portanti della piazza: Tonino il calzolaio, Ernesto l'imbianchino e il dottor Corradi. Chiedono se vogliamo unirci per una briscola e un crostino di pane e salame. Scusate, siamo di fretta, magari torniamo più tardi. Gli occhi felini di Adele dell'edicola spiano divertiti suo figlio Giorgio ed Emilia, la primogenita sindaco, giovani e innamorati sulla panchina, talmente persi uno negli occhi dell'altra da non accorgersi che dai loro coni appiccicosi piovono grosse gocce di gelato alla fragola. Adesso prendiamo il Vicolo Storto e... ah, lo sapevo! Lo riconosce? È Tobia, il cane di tutti, sempre affamato e scodinzolante! Ovviamente fa la posta fuori dalla bottega, con uno sguardo da finto moribondo per impietosire le signore ed elemosinare l'ennesimo boccone. Sei un gran ruffiano, Tobia! No, no, non lo accarezzi, altrimenti inizierà a seguirci sperando in una mangiata. Andiamo, prima che si accorga di noi. Don Luigi ci supera in bicicletta e grida un saluto continuando a pedalare a tutta velocità sul selciato. Il rumore dei nostri passi via via sovrasta le risa della piazza, lontane, flebili, un ricordo. Passiamo sotto un terrazzo con grandi vasi di basilico e salvia ruvida, dalla finestra aperta una radio gracchia la pubblicità di una pasta dentifricia. Com'è piacevole il sole, qui. Ho sempre pensato che il sole splenda in modo diverso, nel nostro paese... non rida, ne sono assolutamente convinta! Le dirò di più, sono sicura di un'altra cosa: i raggi passano sui nostri campi, sopra la piazza e attraverso le finestre aperte, si caricano della morbidezza dei cespi di trifogli, raccolgono l'odore del legno bruciato, si intingono nelle botti, carezzano le campane e poi raggiungono quelli che hanno lasciato la propria terra per cercare fortuna lontano, tanti anni fa. Li trovano, dovunque siano finiti, e regalano loro la luce e la vita di casa.”
La mano dell'uomo si mosse tra le mie. “È quasi ora di pranzo” riuscì a sussurrare, gli occhietti umidi, brillanti. “Sa cosa facciamo, signorina? La invito nella fattoria appena fuori paese... zia Luisa fa i gnocchi, il sabato.”
Voleva continuare quel viaggio immaginario. “Ma sì, volentieri. Grazie” risposi commossa.
Sorrise soddisfatto.
Chiuse piano gli occhi.
In un raggio che entrò dalla finestra a illuminargli il viso, nell'abbraccio consolante di quel sole, tornò a Casa.

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