martedì 27 dicembre 2011
“Come il vino nelle botti...anche noi nella vita” di Veronica Moi per WINE ON THE ROAD
Un bel racconto ancora per “Wine on the road”, quinto concorso letterario di Villa Petriolo.
Veronica Moi, di Gadoni (NU), studia al liceo classico; ha conseguito una media prossima al 10. Ha partecipato a vari concorsi di poesia in lingua sarda, classificandosi quasi sempre al primo posto. È volontaria O.F.T.A.L., ed è socia operativa della protezione civile. Scrive su un giornale. Ama studiare e scrivere.
Racconto “Come il vino nelle botti...anche noi nella vita” di Veronica Moi
Era un fresco sabato di ottobre, passeggiavo per un antico scorcio di Gadoni. Osservavo il Sole che faceva capolinea dietro le alte e maestose montagne Barbaricine, e nel suo tramonto dipingeva il cielo di un rosso vivo, dando alle querce, ai lecci, ai castagni un colore meraviglioso che valeva la pena di immortalare per conservarlo per sempre. Osservavo un falco in volo, che sfidava sicuro le poche nuvole, al suono dolce della campana coi rintocchi dell'ave Maria.
Si respirava intorno il profumo del pane fragrante appena sfornato, e si udiva il suono di un organetto lontano che accompagnava un'allegra danza.
Incontravo poche persone: il pastore che faceva ritorno dalla campagna dopo una lunga giornata trascorsa sui monti, alcuni anziani che,all'insegna dello scorrere dell'acqua fresca della fontana, ricordavano i vecchi tempi, quando l'attività mineraria di “Funtana Raminosa” era al culmine del suo sviluppo economico, quando d'estate si falciavano le messi, si andava a raccogliere le ciliegie e in autunno si vendemmiava tutti insieme. Tutto questo rende ancora oggi Gadoni un angolo di Eden.
Mi veniva in mente la mia infanzia... in particolare un'allegra vendemmia, quando era in vita il mio caro nonno.
In autunno, a casa sentivo spesso parlare di vendemmia. Il nonno radunava i compaesani con cui andava più d'accordo e i parenti; io, nonostante fossi piccola, volevo rendermi utile e sentirmi importante con in mano un paio di forbici per tagliare i grappoli.
Ero molto curiosa, così mio nonno mi prese dolcemente sulle sue gambe e mi raccontò che la vite era conosciuta anche ai tempi dell'antica Grecia, luogo in cui il clima permette la sua coltivazione su larga scala, ed era addirittura considerata sacra perché con il vino l'uomo si rivela nella sua dimensione più sincera; “il vino è spia dell'uomo”, diceva il poeta Alceo, in quanto l'ebbro parla senza controllo. Per i greci il vino non doveva mai mancare per gioire delle vittorie, per dimenticare le sconfitte, per stare insieme durante i simposi, che costituivano un'occasione di compagnia e condivisione, con i quali i giovani venivano istruiti sui valori del proprio ordine sociale, mentre gli uomini conoscevano i motivi per combattere in difesa dell'etica ad essi contemporanea.
Mio nonno mi raccontava che, come nella vita, anche in vigna non si finisce mai di imparare; negli anni della guerra, mentre lo si dava per disperso, era stato ospitato in Toscana da una famiglia di Anghiari e lì aveva potuto osservare differenti tecniche di coltivazione della vite, rispetto a quelle impiegate in Sardegna.
Sostanzialmente le fasi della cura della vite sono analoghe : dopo la vendemmia, nella stagione invernale, la pianta viene potata, e si supportano i nuovi tralci con delle aste in legno o ferro. Ricordo che in primavera ogni pianta veniva medicata con verderame, di cui Gadoni è ricca, o con zolfo, perché alcuni insetti, quali la peronospora non intaccassero il corretto sviluppo della vigna.
La vendemmia non iniziava molto presto, poiché la rugiada venisse asciugata dal calore del Sole. La mattina seguente ai suoi racconti, il nonno era diventato il mio maestro in vigna, tanto che mi illustrava passo per passo in che modo si dovesse procedere per tagliare i grappoli e porli al setaccio da acini guasti o foglie secche, che potevano alterare il sapore del vino.
Correvo tra i filari rallegrandomi nel vedere i sorrisi sui volti e di sentire la gioia dei canti, che accompagnavano il lavoro. Come avevo immaginato, quella vendemmia fu un'allegra festa in compagnia, e forse non ero cosciente della fatica e dei sacrifici che costarono a mio nonno per curarla.
Terminata la vendemmia, quanti avevamo prestato una mano d'aiuto ci riunivamo per il pranzo in campagna; infatti, dopo la fatica, una fetta di prosciutto, i ravioli caserecci, il pane fatto in casa, la carne del maiale allevato i modo naturale, il pecorino sardo, un po' di mirto o acquavite, gli amaretti di noci e un buon bicchiere di vino "vecchio" (così viene chiamato il vino della vendemmia precedente), erano proprio necessari a ritemprare le forze per il rientro e lo svolgimento delle fasi successive: il travaso e la pigiatura.
Mio nonno era molto amante delle tradizioni, perciò non utilizzava macchine pigiatrici, ma il peso di uomini e donne che calpestavano l'uva con i propri piedi. È ben comprensibile che i piedini di una bimba come me, non erano di grande aiuto, ma avevo tanto insistito perché mi si desse la possibilità di provare.
Dopo la pigiatura, il vino doveva fermentare. Una parte della cantina era interamente occupata da un enorme tino, in cui veniva lasciato il vino per alcuni giorni, prima di essere posto nelle botti.
Dopo una giornata tanto impegnativa, mio nonno mi cantò una ninna nanna in sardo: diceva di dormire senza aver paura perché mi sarei svegliata sentendo i racconti di nonno e nonna; mi avrebbe regalato un cavallo con una bella sella e freni d'oro, che se fossi passata in Gallura o in Logudoro tutti mi avrebbero invidiato. Mi avrebbe accompagnato fin sul Gennargentu, con un vestito colorato in una tanca tutta in fiore. Concludeva ricordandomi: “ti regalo una grandissima fortuna, affinché tu non abbia mai dolore nel corso della vita... Difendi la tua vita con onore”.
Il vigneto, ora rinnovato, segue sempre i criteri di selezione tramandati da mio nonno; quando passeggio tra i filari, sono felice di poter ancora assaporare la dolcezza del “Moscato”, del “Cannonau”, del “Bovale”.
Nella cantina fresca, le botti mi ricordano quel duro lavoro, che tuttavia non era l'unico in cui ci si impegnava: finita la vendemmia bisognava ungere il formaggio, pensare alla cura dei bachi da seta e sistemare il torchio, il quale serviva per la produzione di quel saporito vino di pere, che sgorgava di un bellissimo colore rosa e dal profumo molto dolce e invitante. Finite le stagioni umide e fredde, in primavera, controllava il lavoro delle api nei bugni, per poi estrarre il favo stillante di miele dorato.
Inoltre dal favo o dal mosto condensati, si ottiene un prodotto denso a cui è possibile conferire gli attributi di un liquore, la “sapa”, indispensabile per fare un particolare pane, composto di noci, nocciole e mandorle: il “pan di sapa”. Questo dolce, piuttosto rinomato nella Barbagia Mandrolisai, trae le sue origini in tempi antichissimi.
Chiudendo gli occhi riesco ancora a sentire il piacevole profumo del mosto e riesco a vedere i bei grappoli d’uva raccolti da parenti e amici di famiglia che ricordano tutt’ora gradevolmente quel momento di riunione e condivisione e non rifiutano mai un bicchiere di genuino vinello custodito nelle botti di colui che con tanto amore è stato il mio maestro di vita.
Il messaggio trasmesso e che tengo sempre a mente, è che, nonostante ci si senta travolti da ritmi quasi insostenibili, c'è sempre tempo per un bicchiere di vino con gli amici, magari davanti al fuoco, mentre ognuno racconta la sua storia. È importante fermarsi a pensare a ciò che siamo, progettando per il futuro sulla base degli insegnamenti ricevuti, presentando la nostra personalità, il desiderio di crescere. E come in tutte le storie che si rispettano, soprattutto i buoni sentimenti, devono prendere voce, essere raccontati a qualcuno che gioisce per quella vendemmia condivisa. Così, in compagnia di un salutare bicchiere di vino, si può fare un viaggio dentro noi stessi, si può pensare al cammino intrapreso, a ogni grande passo.
Dietro ogni bicchiere di vino è presente una grande ricchezza: il lavoro della vigna, la fatica, la costanza, una storia di tralci tagliati, di anni dedicati alla cura, che lo portano infine, a diventare momento di festa, con il dialogo, il confronto, perché si ottenga, nelle diverse annate, un prodotto sempre migliore. La nostra vita è la vigna, quel bicchiere di vino siamo noi.
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