lunedì 30 gennaio 2012

Il racconto “Bella vita” di Lucio Gava per WINE ON THE ROAD



Lucio Gava, di Pordenone, è laureato in Economia all’ Università “ Cà Foscari” (Ve). Dopo esperienze in ufficio tecnico, in magazzino e in fabbrica, lavora da tre anni come agricoltore vitivinicolo. Gioca a calcio nei dilettanti e ama leggere e scrivere. Ha pubblicato L’anticristo che ama. Trasumanza di intagli. Edizioni Il Filo, Roma 2007.
Per “Wine on the road”, concorso letterario 2011 di Villa Petriolo, ha scritto il racconto “Bella vita”.
Buona lettura!

Racconto “Bella vita” di Lucio Gava

In inverno col sole, con la nebbia, col freddo pungente mitigato da qualche tiepido raggio, mio nonno potava le sue viti. Una volta imparata è un’operazione semplice. Tanto che c’è un detto:a potar iè boni anca i mus (a potare sono capaci anche gli asini).
Ma non è sempre vero, perché potare è un’arte, quasi una scienza. Consiste nel dare la forma ad arco ai tralci nuovi, germogliati la primavera precedente. Il Sylvoz è la forma di allevamento che preferiva.
Asportava quelli nella parte inferiore e laterale del tronco. Mentre nella parte superiore ne lasciava quattro o cinque ( i capofrutti), a seconda di come voleva indirizzare la produzione e del tipo di uva.
Faceva fare al tralcio un arco con una curva di un raggio di una ventina di centimetri e una lunghezza totale di circa 40. Lo legava alla vite con un ramo di salice, che morbido e malleabile riusciva a essere utilizzato come un vero e proprio spago di nylon. Una chiusura particolare per serrarli al fusto e il gioco era fatto.
In una giornata riusciva a potare una ventina di piante. Era un piacere vedere al calare del sole il tratto di vigna potato in confronto al precedente disordine naturale.
Per le piante essere potate è come andare dal parrucchiere. Prima hanno tutti i capelli disordinati, come delle signore che si alzano la mattina dal letto con la chioma arruffata. Ciocche di tralci che stanno un po’ di qua e un po’ di là, che si ingarbugliano tra i ferri e i pali di sostegno, con le foglie del colore del fuoco e del sole che iniziano a cadere, e qualche pendaglio giallo e rosso, sfuggito alle attenzioni dei vendemmiatori e degli uccelli.
Sembrano assonnate, stanche. E lo sono. Hanno voglia di riposare dopo un anno di fatiche. Tra trattamenti, erba che cresce ai loro piedi, uva che devono far maturare, potature invernali e verdi arrivano verso fine anno veramente spossate. E più gli anni passano e più stanche sono:più invecchiano. Alcune si perdono prima per colpa delle malattie. Ma quelle che restano a vedere la nuova vendemmia che si apre, ancora e ancora, diventano sagge. Si piantano bene per terra, mettono radici, forti e profonde. Fanno una corteggia spessa, il tronco diventa solido, robusto. Iniziano ad avere qualche gobba, qualche ruga, qualche graffio che l’amico contadino gli ha lasciato per il loro bene. Le viti piangono una volta terminata la potatura, e ringraziano il contadino di averle fatte belle, di averle ancora, per un altro anno, fatte sentire utili, concesso loro di poter compiere la loro missione.
Verso marzo, terminato il lavoro, il nonno raccoglieva a mano i tralci recisi, lasciati cadere sul terreno. Faceva un piccolo fascio lungo mezzo metro legandoli tra loro e li portava a casa. La sera, li accorciava e li utilizzava per accendere il fuoco della stufa che poi avrebbe alimentato con la legna più grossa, tagliata in precedenza dagli alberi che erano lasciati crescere al delimitare della sua proprietà.
Poi, quando la primavera avanzava lasciando posto all’estate, faceva un altro tipo di potatura, la potatura verde. Accorciava i cavi, che vigorosi e forti oltrepassavano i sostegni metallici e ricadevano a coprire l’uva:cercava di lasciar più luce e aria possibile ai frutti e far si che la vite non sprecasse energie inutili. Tagliava l’erba attorno le viti e tra un filare e l’altro, le concimava con il letame della mucche che possedeva; infine trattava con il verderame la vegetazione per proteggerla da malattie e funghi.
Si era comprato un trattore. Con l’amico Deutz era tutto più facile. Lo attaccava ad un botte in vetroresina per mezzo della coda( vedi cardano) e del gancio a traino. Questa veniva riempita con acqua e verderame. Un sistema di tubi la pescava e la metteva in pressione, sparando il prodotto miscelato sulla vegetazione.
Ripeteva l’operazione quasi ogni settimana, tempo permettendo. Ma si ricordava che decenni prima dell’arrivo del Deutz, era tutto diverso.
Gli toccava prendere una vacca e la legava alla giogo in legno. Da questo faceva partire una corda che tirava una botte dello stesso materiale, carica sempre della medesima miscela. Seguiva una specie di monopattino con una leva lunga un metro circa che saliva in verticale dalla base. Questa, mossa a turno dalla forza della moglie e della cognata, avanti ed indietro, dava pressione all’acqua nella botte, dalla quale usciva una gomma con un ugello. Da questo ugello usciva a pressione, molto più ridotta e sudata di quella motrice, il composto liquido.
Rendersi conto momento per momento di quello che accade è un privilegio di pochi. Si è portati a vivere per andare avanti, verso la vita e verso la morte, senza fermarci. Spesso non si percepiscono i cambiamenti, le variazioni in noi, negli altri e in tutto ciò che ci circonda. Certe cose si vedono solo alla fine.
Mio nonno Bepi, si rendeva conto del passare del tempo, della crescita delle persone e delle loro scoperte che rendevano la vita meno faticosa, verrebbe da dire più semplice.
Prendeva a esempio questo semplice mestiere, quello di trattare le viti, e lo portava in un arco temporale che era la sua esistenza. Si ricordava che quando lui era bambino, suo padre trattava le viti a mano. Si metteva in spalla uno zaino in plastica con venti litri di composto e andava avanti e indietro per il vigneto, creando pressione nello zaino con una leva in metallo mossa dalla forza del suo braccio. Una volta che lo zaino si svuotava doveva riempirlo nuovamente ed il gioco ricominciava. “ Che fatica”, si diceva tra se.
Mio nonno non aveva studiato, ma sapeva fare un confronto e contare. Non era stupido, conosceva le parole lavorare e risparmiare, guadagnare e investire. Per una stessa superficie di vigneto suo padre impiegava una giornata e arrivava a casa con le braccia più allenate di prima, e la schiena malconcia.
Successivamente con la vacca da traino e due persone, in poche ore riusciva a trattare la stessa superficie. Ma non avrebbe mai pensato un giorno di potersi comprare un trattore, e di riuscire a svolgere in dieci minuti e da solo quell’operazione con metà della fatica e del tempo.
Adesso Bepi non c’è più e quindi non può vedere. Ma ora il nonno può attaccare al suo trattore la cimatrice, può appendere la spollonatrice, la prepotatrice, la botte per il diserbo. Può vendemmiare a macchina.
Da ottant’anni a questa parte molte cose sono cambiate e altre invece sono identiche. Le viti vanno sempre amate perché producano uva e buon vino, ma la tecnologia ha fatto passi da gigante in questo settore come in molti altri. C’è sicuramente un risparmio di tempo e di fatica, a discapito dell’occupazione del settore che si è spostata verso il terziario.
Mio nonno aveva tra i tanti amici due a cui era particolarmente affezionato. Il primo era un furgoncino mezzo scassato con il quale trasportava il suo vino in buona parte del Veneto e del Friuli:Merlot, Prosecco, Cabernet, Pinot. Il secondo, come avrete capito, era il suo Deutz, passato da una generazione all’altra come custode geloso e fedele del Tempo.
Oggi riesco a potare viti che hanno più di cinquant’anni. Hanno le forme più strane e sono robuste come un albero.
Quando vedo il Deutz mi ricordo di mio nonno. E di come a volte l’amicizia si paghi a caro prezzo. La coda del trattore, vanitoso come un pavone, è fondamentale ma pericolosa.
E fu la causa della rottura del loro rapporto. Non so dove mio nonno seppellì la gamba che perse, staccata e rovinata da quella coda fatale durante una delle loro quotidiane discussioni di lavoro. Ma mi piace pensare che sia diventata concime, senza prezzo, per queste antiche viti.
Le mie considerazioni, aggiunte a quello di mio nonno e di chi verrà dopo di me, rimangono piccoli appunti di un viaggio che si ripete per Tutti. Anno dopo anno, come il raccolto, come la compagnia di un calice di vino fatto col Cuore.
Tutto scorre. Dalla Terra nasce la Vita, la cultura, le tradizioni, il progresso. Siamo figli di contadini, siamo figli del Mondo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

per fortuna nessun commento !!