martedì 3 gennaio 2012

Il racconto “Due” di Daniele Aureli per WINE ON THE ROAD, concorso letterario 2011 di Villa Petriolo




Daniele Aureli è nato nel 1983 a Terni.
Diplomato all’accademia di recitazione Mumos, diretta da Marzia Ubaldi e Gastone Moschin; attore della The Kitchen company di Roma e della compagnia Occhisulmondo di Perugia.
Laureato in Scienze e tecnologie della produzione artistica, è autore dei libri “Andrò via” (Ibiskos editore) e “Sognai al di là della notte” (Aletti editore).
Dal 2011 scrive per Piacere Magazine.



Racconto “Due” di Daniele Aureli



Amo il suo rossetto
Odio le sue scarpe
Mi piacciono i suoi capelli
Sono buffi i suoi baffi
Sembra uscita da un cartone
Sembra uscito da un film
Alice nel paese delle meraviglie
Uno di quei film di una volta
Il suo naso è perfetto
Le sue mani sono calde
Vorrei spogliarla
Ha sempre lo stesso orecchino
Ha un orecchino nuovo
Mi piace
Non le dona
Sembro più alta di lui
Vorrei baciarla
Cosa aspetta a baciarmi
La sua mano è fredda
Sono passati dieci anni dall’ultima volta

Credo di amarlo
Questa volta non la farò andar via
L’ho pensato ogni giorno, ho aspettato questo momento ogni giorno
Questa volta no
Ed ora non sento più il corpo




Lui (Pensiero)

Un salto di circa mille lune passate per ricordare. Ricordare tutte le lune passate a ricordare quel momento.
Ricordo ogni cosa del nostro primo incontro. Dettagli, particolari e l’eco di voci sconosciute che nel fumo di sigarette si preparavano a salutare la notte.
Una notte lontana. Non più quanto noi.
Eccoci ancora insieme. Distante quella sera. Il primo saluto banale, i primi discorsi di rito e le timide parole che lasciavano spazio a silenzi molto più lunghi dei discorsi.
La nostra prima notte improvvisa come il nostro folle incontro.
Quel silenzio lungo che imbarazzava anche i nostri desideri e quel suo inaspettato:

Posso farti vedere questa città?
La mia è stata la risposta più banale, più idiota. La più adatta. Un sì.
Abbiamo iniziato a camminare… e camminare, senza ridere troppo.
Camminare.
Un fugace sguardo a un angolo di città uscito dalle pagine di un libro…
Poi io e lei riflessi in due calici mezzi pieni di un rosso ben graduato.
Un ricordo distante che vivo qui e ora. Come fosse ora. Come fosse qui.
Il primo brindisi è dedicato a noi due… il Secondo Anche.
Scorrono parole e i bicchieri ci vengono portati via ancora una volta… E lei:

Andiamo?
Ed io:


Un passo,
uno ancora
e altri a seguire ci guidano verso l’uscita e poi
un gesto: la mia mano stretta nella sua.
un momento eterno… (Fermate il tempo, io posso stare anche così per tutta la vita).
Sento il calore crescere nel mio corpo. Calore e paura.
Ho la sensazione dei primi baci. Quella sensazione che ogni volta mi coglie di sorpresa, anche se ogni volta faccio il possibile per rimanere impassibile. Per sembrare adulto.
Io non sono adulto, non lo sono mai stato. Neanche quando indosso una camicia.
Ed è così.
un rumore, le nostre labbra si sfiorano, si toccano, si posano.
Un po’ del suo rossetto colora la mia bocca.

Poi uno sguardo.
Uno sguardo che non ha bisogno di altro.

Rimaniamo a guardarci e
usciamo timidi tra la città.
Il vento sembra come chiederci di aspettare ancora un po’
così ci rifugiamo dentro un locale e ci lasciamo intrattenere da un buon vino servito in bicchieri di terracotta.
Le labbra si colorano, le tensioni si allentano, i pensieri si ubriacano.
Finiamo di bere e sfidiamo il vento. Questa volta non parla, ci indica la via.

Questa è casa mia, vieni.
Lei mi dice.
Saliamo le scale e siamo subito dentro.
La curiosità mi trascina tra le stanze e la mia passione si sofferma su alcune maschere appese.

Affascinanti.
Dico io.

E misteriose.
Aggiungo.
Lei mi sorride. Restiamo a guardarci.
Spegne le luci e accende due candele.
Due.
Un numero perfetto.
Mentre noi parliamo, le nostre ombre si corteggiano, si sfiorano, fino a confondersi.
Si spogliano e scivolano a terra i vestiti.
L’occhio vede quel poco che basta.
Il loro abbraccio come il nostro.
Divengono una sola cosa.
Siamo noi che precediamo i movimenti o sono loro che ci suggeriscono senza badare ai colori?
Siamo due corpi che si fondono e non si perdono.
Ed è musica, ed è poesia ed è un’ubriaca danza di piacere.

I nostri sguardi si cercano, le nostre labbra si rincorrono e i nostri corpi si abbandonano.

Le nostre voci fanno da eco al silenzio.

Ho voglia di sorridere e lo faccio.
Guardo il cielo, coperto dal soffitto della stanza… Ma ho voglia di guardarlo e lo sogno.
Il suo respiro è melodico.
Io mi lascio attraversare dal tempo. In modo lento.

Le candele accese si sono fatte piccole.

L’euforia del vino è diventata calma armonia.

Notte tarda, per lo più è ormai mattina.

La sua frase arriva inaspettata.

Ti va di camminare un po’?
Ora?
Chiedo una sciocca domanda, quasi a conferma di quello che ho sentito. Le sue parole mi fanno sorridere ancora… Lei conferma, io la copio cambiando intonazione.

Sì…
…sì
La ricerca dei vestiti perduti è un rituale comico.

La tua maglietta è a terra, sotto la sedia.
Ah, grazie.
Recupero i miei vestiti, sparsi ovunque; mi vesto e son pronto a uscire.
Due soffi e le ombre svaniscono. Rimane nella stanza il fumo di una notte vissuta e spogliata.
Attendo vicino alla porta: guardo riflesso il mio volto.
Prende la sua sciarpa, un giro, due giri intorno al collo e apre la porta.
Undici scalini e siamo al piano terra… Un'altra porta e ritorniamo alla realtà.
Di reale questa sera sembra esserci ben poco.
Un orologio, alto tra le mura di una chiesa ci suggerisce il tempo che è passato.

Tra un po’ devo andare.
Stavo pensando alla stessa cosa.
Mi risponde sottovoce, come se quella risposta non dovesse essere ascoltata da nessuno…
Il suo tono torna normale e ancora una volta mi sorprende.

Hai fame?
Sì.
Ci speravo.
Perché?
1: Non mi risponde
2: mi prende per mano.
3: inizia a correre…
il tempo di dire “dove stiamo andando… aspetta vai piano… non le conosco queste strade” ed eccoci arrivati.

Questo è il bar più vecchio di tutta la città… E fortunatamente apre prestissimo.
Cioè, tra quanto?
Più o meno… Ora.
Si accendono le luci del bar e lentamente si alza la saracinesca… quel movimento come un sipario di un tempo lontano ci introduce in uno spettacolo di sapori e colori.
I primi cornetti caldi, sfornati da pochissimo, secondo più secondo meno.
Lei ordina:

2 cappuccini e due cornetti per favore.
Ci sediamo con la nostra colazione… un meritato riposo dopo una notte lunga un giorno, attesa da un’eternità lunga qualche anno.
Il tempo, anche se scandito senza possibilità di errore, prende per noi valenze relative.
Passa in tutto qualche minuto, cornetto più cornetto meno.
Usciamo ancora fuori tra la realtà, senza capire cosa di questa sera sia reale.
Per noi non c’è più tempo.
Rimane l’attesa delle frasi più tristi.
Frasi che si allungano, che hanno bisogno di tempo.

Devo tornare a casa.
Anche io.
Prendo un taxi.
Io vado a piedi, ma l’aspetto con te.

Mentre rimaniamo fermi ad aspettare il taxi, il nostro abbraccio sembra non finire più.
Ci teniamo stretti, consapevoli che ci stiamo perdendo.
Passeranno giorni e notti, giorni e notti, giorni e notti prima di rivederci ancora chissà quando.
Ancora chissà dove.
Ci stringiamo ancora un po’ di più… e non ci diciamo quasi nulla.

Ci rivediamo presto.
Sì.
È una promessa?
È una speranza!
Non sarà un addio.
Vicino a noi si affianca una macchina bianca, con la scritta Taxi… proprio quello che stavamo aspettando… purtroppo.
Buffo aspettare qualcosa sperando che arrivi il più tardi possibile.
E lei mi dice:

Buona notte.
Anche a te.
Buon viaggio.
Grazie.
Un ultimo abbraccio conclude il nostro incontro.
5: Lei si avvicina al taxi.
4: Apre lo sportello.
3: Entra in macchina.
2: Le sue labbra scandiscono la sua destinazione.
1: L’auto parte e lei dal finestrino mi saluta.
Addio. A presto.
Io alzo la mano e sospiro.
Mi rifugio tra la mia sciarpa e nascondo le mani nelle tasche della giacca.
La mia mano sinistra ricorda ancora la serata tra scontrini e biglietti vari… Quella destra mi sorprende:
Il mio biglietto aereo.

Il viaggio del giorno dopo.
Un viaggio che doveva durare qualche giorno e che poi mi ha rapito per qualche anno.
E ora…
ancora qui. Dove finisce il ricordo, nasce il presente.
Io e lei. La mia mano stretta nella sua, come il gesto di un tempo passato.
Come fosse ancora qui quella notte.
Ho giocato con il fato una volta. Non potrò far passare altri dieci anni.
Qui. Ora. Ti prego. Me lo ripeto a me stesso.
Come può accadere che strade così vicine si perdono per tanto tempo, corrono parallele senza toccarsi mai.
Mentre poi il mai si cancella in un incrocio di sguardi.
La sua mano è fredda
E la sua pelle ha ancora quel profumo.



Lei (desiderio)

Amami. Solo questo.

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