sabato 28 gennaio 2012
Il racconto “Conversione di un astemio” di Mauro Marconi per WINE ON THE ROAD
Mauro Marconi, residente a Recanati, ha una Laurea in Scienze Biologiche, l’ abilitazione all’esercizio della professione di Biologo, un Master in Progettazione didattica, Curricoli disciplinari e Ricerca educativa. Attualmente è docente a tempo indeterminato di Scienze naturali, Chimica e Geografia presso il Liceo Classico Giacomo Leopardi di Recanati. Principali interessi professionali e culturali: Evoluzione biologica e didattica dell’evoluzione; filosofia della Biologia; Ecologia; Bioetica.
Per “Wine on the road”, quinto concorso letterario di Villa Petriolo, ha scritto il racconto “Conversione di un astemio”.
Racconto “Conversione di un astemio” di Mauro Marconi
Venerdì 2 settembre – Ferie!
Le ultime due ore davanti al dannato pc sono state le peggiori - anche perché il direttore, sedicente ecologista, ha fatto disinstallare l’impianto dell’aria condizionata per ‘contenere le emissioni di ci-o-due’. Poi, finalmente, ho preso congedo dal luogo malsano per due settimane.
A proposito, dove avranno prenotato gli amici?
“Sorpresona...” - mi ha sussurrato ieri sera al telefono la carissima Marisa.
Sabato 3 settembre – Bella fregatura!
Trascinato nell’unico posto al mondo che avrei accuratamente evitato. Dovevano proprio portarmi in un’azienda agrituristica con cantine annesse? Begli amici! Anche Marisa, però... Lei lo sapeva che detesto la ‘spremuta d’uva andata a male’ quasi quanto il capoufficio.
Da queste parti, se scoprono che sei astemio, iniziano a guardarti male, come a volerti dire: Che diavolo ci sei venuto a fare?
“Dai, che ci divertiamo! Domani andiamo a vedere come si fa il ...” (non oso nemmeno nominarlo, quel veleno) - mi ripetono quelle simpatiche persone che mi hanno combinato lo scherzetto...
Domenica 4 settembre - L’inizio del calvario. Dolorose esperienze nel vigneto.
Io non volevo, stavo quasi per fare la valigia e andarmene al mare – dopo tutto, a settembre non c’è il carnaio tanto aborrito dagli spiriti quieti come il sottoscritto. Poi, sapete come vanno le cose... Una pacca sulla spalla da Vittorio, una battutina al vetriolo di Edoardo, lo sguardo complice e ammiccante di Marisa... Insomma, mi hanno costretto a seguirli in quel loro tour enologico destinato, ahimé, a non concludersi in giornata.
Così, dopo una mezz’oretta di cammino sotto il sole rovente, siamo finiti in mezzo a un vigneto. Accerchiati da grappoli neri e pesanti, il nostro accompagnatore - una sorta di Virgilio coronato di pampini in camicia a quadrettoni - ci ha spiegato nei dettagli come si selezionano e si impiantano i vitigni migliori. Mentre rosolavamo al fuoco implacabile dell’astro dorato, squadriglie di insetti in uniforme gialla e nera rombavano minacciosi sopra le nostre teste. “Niente paura,” - tentava di tranquillizzarci il nostro mentore - “significa che l’uva è al punto giusto di maturazione”.
Magnifica notizia...
Il sorriso di Marisa - mia unica consolazione.
“Ora vi porto a vedere come si pigia l’uva”. Ho accolto con sollievo l’inaspettato invito, sicuro che di lì a poco mi sarei dovuto arrendere ai dardi di Febo, o a quelli delle vespe.
Alle dodici in punto veniamo ricoverati all’interno di in uno stanzone semibuio. Un’aria umida e stagnante ci riempie i polmoni. Un effluvio dolciastro narcotizza l’olfatto.
Pavento un subitaneo collasso da crisi claustrofobica.
Ancora storditi dalla luce accecante, brancoliamo come spettri. Poi, quasi all’improvviso, le assuefatte pupille incontrano Sua Maestà il tino. Sulla superficie del liquido torbido e vischioso che lo riempie fin quasi all’orlo, un ribollire di schiuma rossiccia ci introduce ai misteri alchemici della fermentazione.
“Gli zuccheri del mosto, metabolizzati dal Saccharomyces ellipsoideus, si trasformano dunque in etanolo...” - pontifica la nostra guida. “Ma, signori miei, voi avrete fame. Prego, saliamo alla taverna per degustare...”.
Degustare. Un’espressione che detesto. Perché non dire semplicemente - e onestamente - ingozzarsi?
Crostini rustici, bresaola di produzione propria, verdure di stagione in pinzimonio, biscotti farciti con confettura di cotogne. Il tutto annaffiato - inutile dirlo - con quella cosa prodotta dai lieviti.
Per me, fatto presto bersaglio di sguardi disgustati, acqua di fonte.
Un’ora buona di chiacchiere per digerire e poi, tutti d’accordo, rientro nelle nostre stanze. “A domani, allora. Proseguiremo il giro. Mi raccomando, puntuali alle nove”.
“Come potrò mancare?” - sussurro all’orecchio di Marisa, che scoppia in una risata irrefrenabile.
Lunedì 5 settembre – Il calvario prosegue. L’importanza di invecchiare senza fretta.
Alle otto e venti, zainetto da liceale in spalla, raggiungo i miei compagni (Marisa stamattina è al top della sua avvenenza) e ci mettiamo in marcia. Il sole, anche oggi, è spietato. “Che si fa stamane?” - chiedo a Marisa, nella speranza che non confermi quanto so già alla perfezione. “Si va all’altra cantina a vedere come prosegue la storia del...”
Arriviamo all’appuntamento con dieci minuti buoni di anticipo e lui è già in attesa insieme ad altri villeggianti. Siamo una ventina. “Bene, buon giorno a tutti. Prego, entrate pure, qui si sta freschi.”
L’ha detto: io, lì, sto proprio fresco.
Il nostro accompagnatore inizia ad indicare una serie di botti - tutte rigorosamente ‘in legno di quercia’, ci tiene a precisare - spiegandoci il loro utilizzo. Nei ventri oscuri di quelle, grazie a complicati processi enzimatici, matura il liquido dell’ebbrezza. “Assaggiate questo... e ancora questo... poi quest’altro... notate la differenza?” - si rivolge ai visitatori incuriositi che non si tirano mai indietro, malgrado siano appena le undici del mattino.
L’aria si riempie ben presto di effluvi perlopiù sconosciuti: sintesi chimiche inimmaginabili tra fragranze parigine, traspirazioni sebacee e alcool etilico.
Ho un mancamento: “Scusatemi... esco un attimo a prendere una boccata d’aria fresca.”
Vengo fulminato da occhi traboccanti indignazione.
“Come, te ne vai sul più bello?” - mi fa quell’infame di Edoardo. “E’ che lui, poveraccio, sopporta a fatica l’odore del...” - rincara involontariamente la dose l’angelica Marisa. “Ma dopo la settimana trascorsa qui da noi,” - ammicca la nostra guida – “scommettiamo che il signore cambierà idea?”.
Piuttosto dovrete ammazzarmi - dico tra me, ed esco da quella fucina di inenarrabili sofferenze.
E arriva il mezzodì, con un sovraccarico di dolore. Oggi è previsto l’assaggio di quattro diverse qualità di succo d’uva andato a male. Ai tavolacci di legno bisunto si accalcano impiegati famelici. Me li immagino alla pausa pranzo, nel loro ufficio, guardare di sbieco i tramezzini tonno e maionese sigillati nel cellophane. Mi allontano furtivo dalla brigata, giusto per godermi un po’ di solitudine e meditare le risposte. Torno dopo pochi minuti, e il baccanale è già all’apice. “Si sieda qui, le abbiamo tenuto il posto”. “Grazie, ma oggi non ho molta fame”. “Il brasato è eccellente. Non sai cosa ti perdi”. “No, sul serio... ho ancora la colazione sullo stomaco”. “Lei, dottore, non mangia?” - mi chiede una cuoca dalle forme giunoniche, guardandomi con evidente disprezzo.
Siamo rientrati, stravolti, alle cinque e mezzo. Doccia, un po’ di riposo a letto... e una fame da buttero.
Domani, per fortuna, niente cantine. Solo una tranquilla passeggiata in mezzo alla macchia mediterranea.
Venerdì 9 settembre – L’illuminazione e l’estasi.
Non ho scritto per tre giorni consecutivi. E’ la prima volta che succede.
Ho avuto molto da fare...
La sera del martedì, dopo una corroborante escursione tra il mirto e i corbezzoli, siamo andati a cena all’osteria chic poco distante dal nostro agriturismo.
Marisa, seduta di fronte a me, indica qualcosa che non riesco a vedere. Ci separa un ampio calice di cristallo, pieno a metà di un denso umore violaceo, quasi a rimarcare l’inconciliabilità dei nostri gusti.
D’improvviso - alla parete - noto la scritta, dei versi...
Se dell'uve il sangue amabile
non rinfranca ognor le vene,
questa vita è troppo labile,
troppo breve, e sempre in pene. 1_
Che cosa sto aspettando? - mi chiedo.
Afferro il bicchiere e l’avvicino alle labbra. Bevo un piccolo sorso.
“E allora?” - mi dice sorridendo, quasi incredula.
“Niente male” - e ne bevo un altro. “Proprio come te”.
“Ce ne hai messo di tempo, però l’hai capito...”
Merito del vino, ho pensato subito.
Così, per amore, ci si arrende a un nemico.
1_Francesco Redi – Bacco in Toscana (1685)
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