giovedì 26 gennaio 2012

WINE ON THE ROAD: il racconto “Viaggio di nozze” di Alessandra Zenarola



Alessandra Zenarola, di Udine, ha partecipato al concorso letterario 2011 di Villa Petriolo “Wine on the road” col racconto “Viaggio di nozze”.
Laureata in scienze della formazione, è consulente per il Tribunale Minorenni. Autrice dei romanzi ‘Il cow-boy vanigliato’ -Editrice Montedit, e ‘Un cuore di latta’- Editrice La Caravella, e della raccolta di racconti ‘Smagliature’ - Edizioni del Sale. Nel tempo libero ama andare in osteria.



Racconto “VIAGGIO DI NOZZE” di Alessandra Zenarola


Gli ultimi cento metri, la Lambretta arrancava sul viottolo seminando sassolini in giro. Dietro era appesa Dorina con l’abito bagnato e le sue calze spesse, e lo teneva alla vita come se avesse paura che lui la lasciasse giù.
-E io come ci salgo su ‘sto coso?-
Si era seduta di sbieco come fanno le donne, e fuori dal municipio era scoppiato l’applauso. Dovevano partire a mezzogiorno, cerimonia sobria e tanti saluti, invece gli amici avevano tirato fuori damigiane e bicchieri di carta, la piazzetta si era trasformata in un cortile in festa e brindavano tutti, dall’assessore al passante occasionale, persino certe mamme col lattante in braccio.
Così alle quattro del pomeriggio Dorina era salita sulla Lambretta un po’ malferma sulle gambe, e a suo marito Libero, sposo novello e felice come un cielo blu, girava la testa per la contentezza. E per i ‘tagli’ di merlot, malignavano le amiche della sposa, brille la loro parte e tutte abbondantemente sopra la quarantina. Come Dorina, del resto, rimasta vedova a vent’anni, sola per un’eternità.
Libero l’aveva conosciuta alla manifestazione contro la polizia e il governo, e anche lì erano finiti in osteria, Dorina indossava i pantaloni a zampa di elefante e aveva una gran voglia di accasarsi di nuovo.
Fidanzamento breve, Libero è giovane ma cambia le abitudini e lo stato di famiglia.
Si erano comperati scarpe nuove, una mensola per i libri e i soprammobili e un frigorifero con lo scomparto del ghiaccio. Non gli erano rimasti i soldi per il viaggio di nozze, Dorina fingeva un distacco ma in cuor suo era mortificata dalla delusione, si immaginava già a sgambettare sulle rive della Senna e a stordirsi con le bollicine di una coppa di champagne.
Libero tuttavia non era uno da lasciarsi scoraggiare, salta su che ti porto in paradiso, il nostro sarà un viaggio di nozze memorabile, ne parleranno ancora nel duemila, a noi ci fanno un baffo quelli dell’Oltralpe con il loro spumante che sa di idrolitina.
Via, in sella alla Lambretta, si erano sbarazzati degli amici e della damigiana e via lungo la strada dritta come un fuso che all’improvviso diventava un serpentone. Prima di Cividale cadde la prima pioggia, una pioggia ottobrina e senza cattiveria, Libero parcheggiò la moto sotto una tettoia e corsero mano nella mano verso il centro del paese.
Da giorni si era costruito un itinerario preciso, per prima l’osteria di Zia Rosina, poi Chicco d’uva, infine l’altra osteria di cui non ricordava il nome ma dove c’era sempre il caminetto acceso, anche d’estate. Zia Rosina era chiusa per turno di riposo, al Chicco d’uva stavano facendo pulizie. Liberò domandò due rossi corposi accompagnati da sei fette di salame. Li voglio del colore delle labbra di mia moglie, disse senza nascondere l’orgoglio.
L’oste fissò Dorina e gli venne da ridere, o era scappato via il rossetto o quel signore doveva essere proprio innamorato pazzo. Portò i due rossi e il piatto di salame, Dorina e Libero fecero tintinnare i bicchieri, Libero commentò per darsi delle arie che il vino emanava una fragranza di boscaglia, Dorina lo guardò tutta ammirata e convenne che sì, il rosso sapeva proprio di boscaglia.
Si trasferirono nell’osteria che non aveva un nome, luogo per musicanti e disperati. Il caminetto era acceso, Libero chiese un nero forte, profondo come gli occhi della sua signora. Glielo servirono in bicchieroni tozzi con l’antipasto di uova sode e radicchietto.
-Sarei anche un po’ sazia- disse Dorina -spilucco appena, giusto per fare compagnia al vinello-
Bevvero occhi dentro gli occhi, Libero sentenziò che il nero sapeva un po’ di tappo, l’oste rimase male, annusò il fiasco e borbottò qualcosa sui signori di città che non hanno una lira ma in compenso abbondano di puzza sotto il naso.
Uscirono che pioveva più forte, Dorina cominciava a avere freddo, Libero disse che prima di tornare a casa bisognava buttare giù il bicchiere della staffa. Raggiunsero la motoretta sotto la tettoia, Dorina estrasse dalla borsa due impermeabili di cellophan azzurrino e ripartirono per l’ultima osteria che non avevano previsto, lassù sulla collina che dominava il mondo. Non proprio il mondo, specificò Dorina, ma un pezzo largo di Friuli sì, e se aguzzi la vista riesci a scorgere persino il profilo del mare.
Smise di piovere, gli ultimi cento metri di pendenza la moto non voleva andare su, schizzava attorno sassi e fango e Dorina era convinta che sarebbero volati giù.
In cima alla collina trovarono la nebbia, un manto grigio che svolazzava sopra i tetti e sotto il manto fluttuavano le luci opache delle case e dei bar.
Si tolsero gli impermeabili azzurrini per non sembrare palombari, ma dentro all’osteria non c’era più nessuno, soltanto un uomo triste che tuffava il cucchiaio dentro un piatto di zuppa.
-Desiderano cenare?- chiese educatamente.
-No no per carità- farfugliò Dorina.
-Siamo qua solo per bere, ma che sia buono. Oggi è il nostro matrimonio- disse Libero.
-Allora ci vuole qualcosa di speciale- decise l’uomo, che mollò la sua zuppa e aprì la cantina.
-Un vino del colore dei capelli di mia moglie!- gli gridò dietro Libero.
L’uomo tornò con due calici di vetro scintillante e una bottiglia di Ramandolo giallo paglierino, dolciastro e dal profumo dei mandorli in fiore. Si rimise nell’angolo, e lasciò che quei due amoreggiassero mentre il livello della bottiglia calava inesorabile come un fiume in secca.
Alle dieci gli domandarono se per caso avesse una camera, Libero gli spiegò che sua moglie era piuttosto stanca, sa, l’emozione, i parenti. L’uomo considerò che più che stanca la sposa era ubriaca fradicia, ma si tenne il pensiero per sé.
Li accompagnò nella stanza sul retro, lettone morbido e lavandino di porcellana bianca. Prima di spegnere le luci, l’uomo recuperò i due calici e la bottiglia mezza vuota e li posò sul comodino dalla parte di Libero. Buonanotte, disse, e richiuse la porta.
-L’ultimo brindisi, amore mio?- bisbigliò Libero all’orecchio della sposa, ma Dorina era già piombata in un sonno infantile. Libero fece l’ultimo brindisi da solo, poi si addormentò tra i capelli paglierini di Dorina, sparsi a raggiera sul cuscino.

Un’ottobrata magnifica, sta scritto sul giornale
A Libero non interessa nulla se ci sia il sole o la pioggia, osserva la coppia di ragazzi accovacciati sulle panche. Bella, lei, un giunco con le chiome corvine, lui sta telefonando con il cellulare e la ragazza si rosicchia le unghie.
Questi qua non sanno bere, medita Libero tra sé e sé, capace che chiedono un Lambrusco nel paese del Picolit.
-Desidera?-
Il solito, vorrebbe dire Libero. Quel vino biondo paglierino come i capelli della mia signora.
Il loro anniversario lo festeggiavano così, a zonzo tra osterie e cantine. Però il bicchiere della staffa era sempre quassù, in mezzo alle colline e se c’era il sereno vedevi il profilo del mare. Finché Dorina si è ammalata al petto.
-Ce l’ha un bianchetto dolce dal profumo di mandorla?-
Al funerale di Dorina c’era un sacco di gente, Libero non sapeva cosa dire a tutte quelle persone che gli stringevano la mano. Nei giorni successivi tornò in cimitero da solo e sotto la fotografia di Dorina mise un piccolo tralcio di vite.
-Ecco il suo bianco-
Libero assaggia appena. La vita è troppo corta per bere del vino cattivo, lo dicevano sempre lui e Dorina.
E getta il bianco lì, tra l’erba e le formiche.

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