lunedì 9 agosto 2010

Per La gaia mensa....“SALE. CARNE MIA, CARNE TUA” di Cristina Trinci

Da "A GRANGOLA!", cerimonia di premiazione del concorso letterario di Villa Petriolo 2010 La gaia mensa


Prosegue, su DiVINando, la pubblicazione di tutti i racconti che hanno partecipato al quarto concorso letterario di Villa Petriolo “La gaia mensa”.
Buona lettura del secondo dei racconti segnalati, “Sale. Carne mia, Carne tua” di Cristina Trinci.




Cristina Trinci è nata ad Empoli nel 1979 e vive a Castelnuovo d’Elsa (Castelfiorentino, Firenze). Laureata in Scienze della Comunicazione, lavora all’Ufficio Relazioni con il Pubblico del Comune di Montelupo Fiorentino. Alcuni suoi racconti e poesie sono stati premiati in vari concorsi: Parole e Note (Biblioteca di Empoli, 2001), Ideadonna, (Comune di Asciano, 2003), I giorni del vino e delle rose, (Villa Petriolo, 2008), In-chiostro, (Biblioteca di Empoli, 2010). Cristina ama recitare e fare fotografie.

Questo, nelle parole di Enrico Ghezzi, il giudizio espresso dalla giuria del concorso 2010 di Villa Petriolo per il racconto di Cristina: "Sale. Carne mia, Carne tua. Sale di sapori e di odori, l'incanto di un piccolo cantico dei cantici che si costruisce in trasmutazione lirica tra letto e cucina”.



Secondo racconto segnalato

“SALE. CARNE MIA, CARNE TUA” di Cristina Trinci



Ode. Al piatto vuoto che attende. Ecco, mi prende, mi sale, mi scende.

Dove ho messo il sale? A destra in alto, no più in fondo, giù nella dispensa.

Alla forchetta impettita e pronta a trafiggere. Mi tiene, mi stringe, mi vuole.

Io voglio noce moscata. Ancora intatto l’aroma esotico nel guscio intero.

Spero. Io spero che questo abbraccio desiderato non mi tradisca. Spero. Io spero sempre. Per la tovaglia a quadri rossi e bianchi, per la bocca spalancata, per il giorno che migra verso un altro giorno, per il passaggio dell’esule dalla fame alla vita, per lo sguardo impunito di chi desidera.

Esalo con tutta me stessa gli odori intrecciati, sminuzzati, inestricabili. Rosmarino, salvia, sedano. Carota, buccia di limone, aglio bianco e cipolla rossa. Inspiro. Odoro.

Amo. Sento. Insieme. Carne mia, carne tua.

Viva questo trito di povere cose, viva questa comunione di intenti.

Gioisca ancora fra le tue braccia la mia persona intera.
Carne, questa carne ora muore nell’olio, che sa di cipolla, violacea, di Calabria e di trecce lasciate asciugare all’aria, tra la bottega e la strada, da asciugare lacrime agli occhi.

All’altare del focolare domestico, per il quotidiano, per le mura che accolgono, per l’aria intrisa di odori, per il mio, per il tuo, perché ci sia solo il nostro in casa nostra.

Sa di carota, dura, magra e arancione. Fresca e leggera. Ma sa anche di salvia e di rosmarino, cresciuti alla salsedine, esposti all’acqua di mare, alla Liguria, terra madre. Sa di Sicilia, agrume giallo e allungato, ricolmo di succo acido, potente di spirito.

Perché avrei voglia di sola pace, perché al fianco della pasta che ancor cruda già si prepara, sposa, all’unione solenne con questo novello sugo, marito fra poco, perché insieme sposi, io e te, si possa dir noi per tutta la vita davanti.

Sa di lieve sedano, pallido e scavato nel suo corpo esile ma eretto. Sa di prepotente aglio, secco, da sfogliare, da trovare fresco nel cuore, da perdersi in una casseruola a fondo spesso, in terracotta, per cuocere lento.

Lento.

Lento.

Ma com’è lento il tempo di amarti. Di gustare ogni dito delle tue grandi mani ruvide e potenti.
Com’è lento il poterti sentire, giù fino in fondo alle viscere, com’è lento l’accarezzarsi alla sera, davanti al fuoco di un amore ormai tenue.
Come vorrei che fosse questo amore ancor più lento.

Lento il fuoco, bassissime fiamme si insinuano sul fondo di coccio, si spandono da sotto in questo crogiuolo di carne e odori e ne fanno tutt’uno. Uno solo. Un solo cibo.

Uniti come siamo, cosparsi di liquidi vitali e nostri, unici, felici. Liberissimi e caldi. Spero per me. Spero per noi. Spero di restare quest’unica carne, a vicenda contaminata e ormai una cosa. Una sola.

Ragù. Ragoût. Francia, francesi e suoni deformati. Adattati. Accenti rivisitati. Gusto, rigusto e vinco. Vinco il sapore che attraversa paesi e aggiunge ogni volta nuovi imperdibili lingue, volti e numerosi sguardi lontani. Salsa, sugo, sostanza fluida e peccaminosa. Da cospargere sugli spaghetti ogni giorno. Gratto la noce moscata, aggiungo passata di pomodori, rossi frutti del campo paterno.

Il tempo che si merita di cuocere è fatto di ore, intere, pazienti, silenti, appena borbottanti, lievemente. Poi, il sale.

Sale.
Sale tutto, amor mio, quando di te e di me facciamo a tavola e nel letto un’unica cosa.


Cristina Trinci alla cerimonia di premiazione del concorso letterario di Villa Petriolo 2008 "I giorni del vino e delle rose": Cristina si è classificata seconda col racconto "Cammina, cammina"

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