lunedì 19 marzo 2012
“Beati i ricchi in spirito” di Trap per WINE ON THE ROAD
Trap è “coetaneo di Miguel Bosè e di Veronica Lario (nessuno è perfetto), trap è un GIP (Grigio Impiegato Pubblico). Anonimo per nascita e vocazione. Consuma vita e suole delle scarpe in quel di Roma, dopo aver guadato non poche nebbie in terra orobica. Non ha mai dato libri né alla luce né alle stampe. Una trentina di racconti in antologie tematiche; nove concorsi vinti in prosa e due in rima; qualche piazzamento, segnalazione e menzione. Troppo poco per il Nobel”.
Ha partecipato a ”Wine on the road”, concorso letterario 2011 di Villa Petriolo, col racconto “Beati i ricchi in spirito”. Buona lettura!
Racconto “Beati i ricchi in spirito” di Trap
Disoccupati. Con il portafogli così vuoto da rimbombare. Lo lasciavano a casa, quando uscivano insieme; pena il mal di testa per il baccano. Ma la passione c’era uguale; dura e pura, come ogni ideale. Bërt, Bricio, Chico e Getro (Ian Anderson forever!) ce l’avevano nel sangue, il vino. ‘cci sua ai modi di dire: non erano alcolizzati, bensì amanti. Oculate formicuzze orobiche, centellinavano il piacere per cinquantun settimane l’anno; accumulando nel frattempo i denari per ‘The Magnificent Seven”, per dirla coi Clash. Epicurei di matrice popolare, non si curavano di enologia ed enoteche: Eno si sposava solo con Brian (quello di Before And After Science, per chi vuol capire). L’alcova dove consumare i più lussuriosi delitti restava per loro la Cantina. Tra la prima e la seconda settimana di ottobre da alcuni anni immolavano cinque giorni di ferie (più sabato e domenica) in una delle terre sacre a Bacco. Prime incursioni quasi catacombali nelle emergenti Cantine della Franciacorta. L’anno dopo, l’immenso e già rodato Oltrepo Pavese.
Bestia se l’è bù! gli scappava detto, con poderosa sintesi, dopo aver scolato, più che bevuto, una bottiglia di sconosciuto Montebuono Lino Maga Broni.
Non vedevano però l’ora di migrare a ponente, verso quello che consideravano l’Olimpo storico del vino italiano: il Piemonte. Epiche le scorribande nelle Langhe, nel Monferrato, nel meno noto Roero. Per un anno intero furono sospesi dall’AVIS, intesa come donatori di sangue. Il Veneto gli offrì Valdobbiadene e Conegliano, Bardolino, i Colli Euganei, la Valpolicella.
Partivano con un T2 Volkswagen dello zio di Bricio, privato delle ultime due file di sedili: se, di cantina in cantina, incappavano nella damigiana giusta, prezzo compreso, le offrivano un passaggio a bordo. Il solito zio metteva a disposizione, in cambio di pochi litri, uno spazio nel suo caveau sotto casa. Ivi si procedeva alla parcellizzazione in bottiglie.
Obiettivo: prolungare l’onda lunga del piacere originatasi nella settimana-clou. A fregarli era l’eccessiva quantità di giorni in un anno solare.
- Prossima meta, Trentino-Alto Adige! – proclamò Bërt, che da quelle parti aveva svernato sotto naja: conservava non tanto ricordi cordiali, quanto ricordi di cordiali.
- In ordine alfabetico viene prima la Toscana! – tuonò Bricio, intellettuale del gruppo e abile manipolatore di coscienze. Anelava ad abbeverarsi alle sorgenti dell’altro grande Fiume Rosso che inonda l’Italia, e da qui il mondo. Si era esaltato con il Nebbiolo e con i suoi figli e figliastri; ora smaniava di tuffarsi nel Sangiovese declinato in tutte le sue lingue e dialetti. Senza disprezzo per le chicche meno note al volgo. Si era studiato quasi a memoria la parte che il Bergamelli dedicava alla Toscana nella sua mitica guida ai vini d’Italia: fatti i preliminari, non restava che passare alla consumazione dell’atto.
La mappa della caccia al tesoro aveva già quasi preso la forma definitiva, quando esplose la Grande Crisi: profetizzata, paventata, ma da nessuno in tempi tanto rapidi e così devastante. Giunse con le prime fragranze della primavera. In pochi mesi, uno dopo l’altro i quattro soci vissero la stessa trafila: drastica riduzione del lavoro, cassa integrazione, chiusura della fabbrica.
Troppo amanti del buon vino, sfuggirono alle insidie della consolazione etilica a buon mercato. E’ che i prezzi correvano tanto da renderne difficile anche la sola lettura.
E la Toscana?
La saggezza popolare venne loro in soccorso, sotto forma di proverbio. Lo lesse un giorno ad alta voce la nonna di Chico, dal calendario di Frate Indovino:
«Far buon viso a cattiva sorte».
Tradotto: divennero clienti abituali della biblioteca comunale.
- Si entra gratis; leggi a scrocco – sentenziò Getro - e c’è anche il gabinetto.
In quel momento storico, di più non potevano aspettarsi dalla vita.
Leggere, leggevano un po’ di tutto, ma studiare… Avevano di fatto sequestrato le due guide ai vini d’Italia (l’intero panorama editoriale dell’epoca): un po’ per uno imparavano a memoria le schede dedicate alle godurie che avrebbero dovuto bere (“un dovere più che morale: etilico”, secondo il verbo del filosofo Bricio) nella Campagna di Toscana.
Poi gli esami: di fronte a tre esaminatori, il candidato di turno reggeva, quale teschio d’Amleto, un calice con vino della Cantina Sociale. La Commissione gli suggeriva un vino toscano (annata compresa); lui, volatilizzato quel tanto da far scena, inalava. Sorseggiato il succedaneo, con fare ispirato declamava la scheda completa del Bergamelli e/o del Granchio Rosa. Chi s’impappinava o sbagliava, gli toccava vuotare il bicchiere. A fine serata si proclamava il vincitore: colui che pronunciava meglio titolo e autore di un romanzo acquistato durante un viaggio in Ungheria: Sàtantangò, di László Krasznahorkai. Giusto per rimpiangere quel Tocai.
Non finì lì. Quando si sentirono sicuri ognuno della sua parte, marciarono sulle enoteche della città: individuata l’area toscana, a turno impugnavano una bottiglia e, letta l’etichetta anteriore, sciorinavano tutto lo scibile memorizzato. A voce non alta, ma nemmeno troppo bassa. Da occhi e bocca gli colava mesta l’acquolina: analizzata in laboratorio, avrebbe mostrato le stesse proprietà organolettiche del vino declamato. Speravano, i quattro fiaschettieri, di suscitare l’ammirazione di qualche nababbo enofilo: magari ci scappava una libagione sul campo.
Finiva sempre come per i lettori di patinate riviste erotiche: solo l’occhio aveva la sua parte. Per il resto, il solito succedaneo.
Poi accadde. Intenti a ripassare, nell’enoteca ‘Al Ponte’, una verticale di Brunello della Fattoria dei Baffi Vinelli Piccioncini, non s’avvidero dell’ingresso del vate Bergamelli in persona. Rimase estasiato ad ascoltarli, anche lui con l’acquolina organolettica: mai avrebbe sospettato che si potesse declamare la sua opera! Calde lacrime irrigarono le sue gote; fondendosi con l’acquolina, diedero vita ad un impareggiabile elisir dal bouquet equilibrato, con apprezzabile gradazione alcolica. I quattro bardi si trovarono invitati a cena nel miglior locale della città, con degustazioni che indussero loro orgasmi esofagei multipli. Il grande Bergamelli li scritturò per un tour di presentazioni della sua nuova guida.
- Penscia che culo che sciamo discioccupati! – ciancicò Bërt con la lingua inebetita dall’ultimo assaggio di ‘Grappa delle Donne Selvatiche’ di Romano Levi. – Sce no ci toccava di dirgli di no.
Ci fu chi, forando le nebbie etiliche con occhio di bragia, gli ustionò i baffi.
La Escort (intesa come Ford) di Getro non era il Maggiolino-tutto-matto: quando al padrone scivolarono le mani dal volante, tirò dritto in curva, sulla strada del ritorno; a tachimetro ebro. Il pilone di cemento si guardò bene dallo scansarsi, né emise un solo lamento.
L’alcol è molto volatile, come insegnava già Paracelso: sublimarono diritti diritti in Paradiso. Una barba, con tutto il rispetto per quella di san Pietro. Bricio, sempiterno pensatore, cogitò, confabulò con i soci, chiese udienza al Principale. Piacque il progetto che gli espose.
Da quel giorno (ma che conta più per loro il tempo?) i quattro, con i nomi d’arte di Gabriele, Michele, Raffaele e Uriel, organizzano e guidano in Terra ‘Settimane spirituali’ per i Beati. Selezionate con devozione le mete: Santina Luce della Vite, Santina il Conventino, Santina Avignonesi, Vecchia Santina di Montepulciano, Santina Biondi Santi e così via. Loro declamano, con malcelato trasporto, i tesori d’arte in esposizione; ogni tanto riportano in Paradiso qualche souvenir. “Puro spirito, puro spirito”, garantiscono a san Pietro dedicandogli un radioso prosit!
‘Andar per Santine’, han chiamato la loro agenzia; “Beati i ricchi in spirito”, il programma delle visite guidate.
- Voi siete bravi ragazzi, non c’è che dire – bofonchia il Principale. – Ma a volte, Dio sa perché, i vostri occhi sono iniettati di sangue.
“Sangue di Giuda” vorrebbe suggerirgli Bricio. “Dell’Oltretomba Pavese”.
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