mercoledì 20 giugno 2012
Racconto “Tra moglie e marito” di Martino Savorani per WINE ON THE ROAD
Martino Savorani racconta di sé: “Ho 27 anni e sono cresciuto a Borgo Rivola, un piccolo paese della provincia di Ravenna ai piedi dell’Appennino. L’ho lasciato a 19 per andare a studiare a Bologna e a Milano e il distacco si è rivelato determinante per iniziare ad aprire gli occhi sul mondo e comprendere meglio quello che si vuole nella vita: dove e per chi spendere il proprio tempo, le proprie energie. Ho finito gli studi nel dicembre del 2007. Da allora lavoro, vivo e scrivo da qualche parte tra Borgo Rivola e Faenza”. Per “Wine on the road”, concorso letterario 2011 di Villa Petriolo, ha scritto il racconto “Tra moglie e marito”.
Racconto “Tra moglie e marito” di Martino Savorani.
“Tra moglie e marito, non mettere il dito”: è per questo che volevo rifiutare l'invito di Luca a un tour per le cantine della Valpolicella. Sapendo che sua moglie è di quelle zone, immaginavo ci avrebbe accompagnati. E io, da scapolone qual ero, non avevo nessuna da invitare. Il buon senso diceva di rifiutare, ma Luca mi assicurò che Lucia avrebbe passato il weekend dai suoi genitori, lasciandoci liberi di scorrazzare per cantine. Ci credevo poco, ma accettai.
Il viaggio filò liscio. Luca era in forma, si vedeva da come gli luccicavano gli occhi; Lucia era serena, anche se aveva dimenticato a casa il caricatore del cellulare e brontolò un quarto d'ora. Accettabile per un viaggio di 2 ore. Quanto a me, non proferii parola per quasi tutto il viaggio.
La casa dei genitori di Lucia era piccola, quadrata, circondata da un orticello e un prato molto curati. Sul retro c'era un dondolo fra due alberi possenti e rassicuranti.
Ci accomodammo al secondo piano. Per lasciarci piena libertà di movimento e di ubriacatura, Lucia prese la camera singola e lasciò a noi la doppia.
I genitori si mostrarono molto gentili. Il padre non parlava molto, stava seduto in poltrona e leggeva il giornale con la tv accesa e muta. La madre ci spiegò dove trovare gli asciugamani, quale bagno utilizzare e di non preoccuparci che la mattina dopo nessuno ci avrebbe disturbato. Era un posto tranquillo, quello.
Avevano preparato una cena esagerata. Per non collassare sul divano di casa, ci toccò rifiutare i continui inviti a fare il bis. Ci congedammo appena finito il coniglio ripieno e solo grazie alla promessa che al ritorno avremmo assaggiato il mascarpone e la torta di cioccolato e pere.
In strada ci attendeva il trenino del vino; ne passava uno ogni 20 minuti e fermava in ogni cantina.
La prima tappa era in un locale rustico, tutto in pietra. C'era poca gente, forse era presto, così c'era anche poca fila per riempire il bicchiere. Dopo due rossi cominciò a girarci la testa. In quel momento fece il suo ingresso una bionda tutta sola, alta e snella, che vestiva una gonnella a fantasia di fiori e un top bianco aderente che dall'ombelico si arrampicava fin sopra al seno. La guardammo col nostro occhio spento da uomo di mezz'età un po' brillo. Con una così ci farei di tutto, confidai a Luca.
Pur di passarle vicino prendemmo un terzo bicchiere, un merlot che toccava i 14,5°. Lei ci rivolse uno sguardo lungo e penetrante che ci fece arrossire e sorridere come ragazzini ubriachi.
Dopo qualche volteggio nell'aia ci incamminammo verso l'uscita, riponendo i calici nell'apposita sacca appesa a tracolla. Al momento di salire sul trenino, non so nemmeno il perché, mi voltai verso la cantina. In disparte, col calice alle labbra, ci guardava sorniona.
La seconda cantina sembrava uscita direttamente dagli anni '30. Terra e polvere la facevano da padrone anche al chiuso, mentre l'edera proliferava a discapito dell'intonaco.
Dietro al bancone c'erano solo i proprietari, un uomo e una donna sulla sessantina. Avevano un'aria tranquilla, il viso stagionato dalle intemperie e la mano pesante col vino: riempirono i nostri calici ben oltre la metà. Ci aspettavamo un vino da osteria, invece era davvero ottimo: gusto pieno, rotondo, gradazione sostenuta e pochi fronzoli. Col primo bicchiere eravamo da ritiro della patente.
Siccome non c'era molto altro da fare in quella cantina – non avevano pensato nemmeno al piano bar – ci avviammo verso il trenino. Con una certa soddisfazione riconoscemmo tra i passeggeri la signorina di prima. Noi salivamo e lei scendeva. Un breve scambio di sguardi e niente più. Non c'era molto da dire, e quel poco era chiaro.
La terza cantina sarebbe stata anche la nostra ultima, ma allora non lo sapevamo ancora. Per arrivarci dovemmo affrontare un tratto a piedi in leggera salita, breve ma sufficiente a procurarci fiatone e colorito paonazzo stile maratoneta. In cima alla collinetta sorgeva una struttura enorme sviluppata a ventaglio. Moderna ed elegante, dava un'idea di leggerezza nonostante le dimensioni. In un'altra occasione ci saremmo allontanati: prometteva di costare un occhio della testa, ma il bello di questa iniziativa era che si pagava un pass all'inizio e poi si beveva finché si voleva.
Erano ormai le undici e la serata aveva raggiunto il culmine: ci saranno state duecento persone, ma poteva ospitarne altrettante. Anche la gamma dei vini era impressionante. Ce n'erano di ogni tipo: dalle bolle ai passiti, dai corposi ai canterini.
Eravamo in coda per il terzo giro quando alcuni giovani incamiciati presero a fissarci con un'aria vagamente disgustata. Ci scappò un risolino, abbassammo lo sguardo e ci presentammo al bancone.
Come attaccammo a bere, Luca venne riconosciuto da un amico d'infanzia di Lucia che, un po' ingenuamente, attribuì il suo sorriso alla gioia di rivederlo. Dopo qualche minuto, più o meno coscientemente mi sganciai da loro, trascinato dal flusso di gente e da una minigonna di jeans assai parsimoniosa nel ricoprire due gambe probabilmente minorenni.
Fu così che fissai più tette in quella mezz'ora che nel resto della mia vita.
Ubriacato da tutto ciò, oltre che dal vino, scelsi una zona del giardino in leggera penombra e mi stesi a guardare il cielo stellato. L'obbiettivo di recuperare un minimo di contegno fallì miseramente quando, a pochi passi da me, una coppia iniziò a scambiarsi effusioni al limite del petting. Non riuscii a distogliere lo sguardo, chiedendomi come potessero fare cose del genere dove chiunque poteva scorgerli.
Con una certa sorpresa, riconobbi in lei la biondona d'inizio serata. Mi ci volle un po' di più per accettare che l'uomo che la stava palpeggiando fosse il mio amico Luca. Disgraziatamente anche lui mi riconobbe: mollò la tipa di colpo, mi spintonò verso l'uscita e la serata finì lì.
È bruttissimo discutere quando si è completamente sbronzi. Si diventa romantici, dal pianto facile, mansueti come agnellini eppure insaziabili attaccabrighe.
Prese a dirmi che era tutta colpa sua, non avrebbe dovuto esagerare col vino e bla bla bla, ma io sapevo che si aspettava un po' conforto e, magari, che mi addossassi parte della colpa. Il gioco cui stava giocando lo conoscevo fin troppo bene, ma intanto io ero rimasto a bocca asciutta e lui, quello sposato, si era limonato una bella bionda. L'invidia e una certa pesantezza a livello delle tempie mi indussero a chiudermi in un ostinato silenzio. E Luca, per ripicca, mi chiuse fuori dalla camera.
Rassegnato al divano, feci una capatina in bagno per la ventesima pipì della serata. Non ricordo bene come accadde, fatto sta che mi addormentai sul pavimento del bagno, testa contro il muro e braccio sul bordo della vasca.
Dopo qualche ora una mano leggera mi scosse: era Lucia, doveva usare il bagno.
Feci per alzarmi, ma il primo tentativo fallì. Mi tese una mano, io l'afferrai e solo allora mi resi conto che era in pantaloncini e canotta, piegata su di me, con il seno che ballonzolava libero nella canotta...
Pensando che fosse un chiaro invito a fare l'amore – a volte lo credo tuttora – mi levai in piedi e baciai la cornuta. Avremmo fatto l'amore sul serio, lì, nel bagno dei suoi genitori, se non avessi cominciato a fare versi idioti di godimento (avevo ancora i pantaloni, immaginate un po' cosa potevo godere) che finirono per svegliare Luca e... tra moglie e marito, salta l'amico. Poco importava che la lingua di Lucia solleticasse il mio palato e la sua mano fosse tra i miei capelli; Luca preferì credere che quei versi fossero sommessi gridolini di ribellione di Lucia che, anima candida, voleva respingermi senza creare uno scandalo.
Fu così che presi il primo treno della mattina. In carrozza, tra l'incazzato e l'intontito, mi lasciai cadere nel primo posto libero vicino al finestrino. Come mi sedetti, la ragazza di fronte attaccò a ridere. Le dedicai uno sguardo infastidito, ma i miei occhi vennero inghiottiti dalla sua folta chioma bionda.
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