giovedì 4 luglio 2013
Facendo dei vivai di scornabecchi…Il Pistacchio verde di Bronte DOP e l’Etna DOC ERSE
“(…) Tra noi abbiamo due specie peculiari di pistacchi, i brontesi le sanno bene coltivare, …usurpano di soppiatto piccole porzioni di lava e ne fanno verzieri,…perché non estenderne e moltiplicarne a mille doppi la coltivazione? Quanto altro danaro non entrerebbe in Bronte? Facendo dei vivai di scornabecchi nei terreni irrigui, e dopo due anni trapiantandoli nelle sciare più montane, si avrebbero in dieci anni boschi di pistacchi”
(Gesualdo De Luca, Storia della Città di Bronte, Milano 1883)
Visitare la Sicilia è un’occasione imperdibile anche per leggere la storia dell’isola – culturale, economica, linguistica – attraverso l’ enogastronomia. Furono infatti gli Arabi, che, conquistando la Sicilia ai Bizantini, si attrezzarono per coltivare il pistacchio, che, nell’isola, alle pendici dell’Etna soprattutto, trovò l’habitat naturale per uno sviluppo rigoglioso e peculiare.
Rintracciamo per la prima volta la parola “pistacchio” nell’Antico Testamento, e successivamente nella Genesi. Ancor oggi, in dialetto, si conservano i termini “frastuca e frastucara”, rispettivamente il frutto e la pianta del pistacchio. Termini corrotti derivanti dall’arabo “fristach” e “frastuch”. Si tratta di un fenomeno di traslitterazione, dal momento che il suono della “p” - mancando in lingua araba – viene reso con la “f” o la “b”. Nel dialetto brontese antico, il termine “frastucata” indicava un dolce a base di pistacchio e “frastuchino” il colore verde pistacchio.
La coltivazione e la produzione di pistacchio rappresenta per Bronte, in provincia di Catania, una fondamentale fonte di reddito: il Pistacchio è infatti definito l’ “Oro Verde”, non solo per il suo valore commerciale, ma anche perché poche regioni al mondo (tra Iran, Israele, Turchia e California) possono vantare un’effettiva produzione di pistacchio paragonabile a quella di Bronte.
La città di Bronte ha saputo sfruttare questo vantaggio, infatti nel suo territorio si contano oltre 1000 produttori, la maggior parte con appezzamenti di circa 1 ettaro cadauno, nonché qualche grosso produttore con un multiplo di ettari. Il frutto raccolto viene in genere smallato ed asciugato ad opera del produttore stesso, che poi vende il suo pistacchio in guscio alle aziende esportatrici (circa l’80% viene esportato all’estero, mentre il 20% trova impiego nell’industria nazionale). Vi sono circa una decina di aziende della lavorazione del pistacchio in concorrenza fra loro, alcune ottimamente attrezzate e tecnologicamente avanzate, che si occupano della lavorazione successiva e della commercializzazione. Complessivamente l’ “Oro Verde” produce annualmente una ricchezza di circa 20 milioni di euro e costituisce l’1% della produzione mondiale. Il Pistacchio di Bronte è coltivato in parte dei comuni di Bronte, Adrano e Biancavilla tra i 400 e i 900 m s.l.m.
La denominazione DOP
Il 9 giugno del 2009 l’Unione europea pubblica il disciplinare che conferisce al pistacchio verde di Bronte la Denominazione di origine protetta DOP. (Regolamento(CE)numero 510/2006 del consiglio.) Nel disciplinare si evincono:
Nome – pistacchio verde di Bronte
Descrizione – Prodotto in guscio, sgusciato o pelato, delle piante della specie Pistacia vera. Il pistacchio DOP all’atto dell’immissione al consumo deve corrispondere a requisiti ben precisi: colore verde intenso,sapore aromatico forte.
Zona geografica – La zona di produzione deve ricadere nel territorio di Bronte, Adrano, Biancavilla.
Prova dell’origine – La fase produttiva deve essere monitorata e certificata.
Metodo di ottenimento – Nella preparazione dei terreni, deve essere previsto il livellamento.
Legame – La zona di produzione deve essere caratterizzata da terreno di origine vulcanico.
Organismo di controllo – Colfircarni-GCC Polo universitario dell’Annunziata dell’Università degli Studi di Messina – Messina.
Etichettatura – Il prodotto può essere messo in commercio con il logo DOP ed entro due anni dalla raccolta.
Tecniche colturali.
L’albero del pistacchio è molto resistente alla siccità, in Sicilia viene coltivato a un’altitudine variabile dai 300 ai 900 m. Si adatta ai terreni rocciosi e calcarei e anche alle lave vulcaniche; predilige le esposizioni a sud. Buona resistenza al freddo, teme le gelate primaverili.
In cucina i pistacchi sono utilizzati in svariate pietanze: come ingrediente per dolci e gelati, come frutta secca per insaporire i salumi, mortadella, salame al pistacchio,…
Durante una gita sul versante Sud dell’Etna, per raggiungere Santa Maria Licodìa dove si produce l’Etna DOC Bianco di Tenuta di Fessina A’ Puddara, abbiamo attraversato la cittadina di Bronte: ghiotta occasione per assaggiare gli arancini siciliani al pistacchio. Zafferano, pangrattato, riso e mozzarella, oltre ad un’abbondante spruzzata di “oro verde”, gl’ingredienti principali di questa autentica delizia gustata sulla terrazza panoramica della Pasticceria Luca (Via Messina, 273, Bronte – tel. 0957724188), che, davvero, vale la sosta.
Fatta scorta di arancini, il giorno seguente li abbiamo abbinati all’Etna DOC Rosso ERSE, annata 2011. Nati dagli stessi suoli vulcanici, questa preziosa produzione etnea e il blend di Nerello Mascalese e Cappuccio di Tenuta di Fessina si sono esaltati a vicenda: la fragranza di ERSE ha smorzato perfettamente la consistenza burrosa dell’arancino al pistacchio, che, nell’incontro con la leggera spezia del vino, ha reso il palato ancor più pepato e aromatico.
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