Vorrei…vorrei…leggere di vini che assomigliano agli uomini che li fanno, che li bevono, che li ascoltano.
Vorrei che tra i racconti in concorso per “I giorni del vino e delle rose” – va da sé che il giudizio della giuria, che si riunirà a Villa Petriolo in luglio e alla quale non appartengo, sarà insindacabile – ce ne fosse almeno uno che narra di vini come di esseri viventi… con la loro storia, il loro carattere.
Rileggevo in questi giorni una vecchia intervista rilasciata a Il Manifesto dal grande giornalista Luigi Veronelli, alla memoria del quale il nostro concorso è un piccolo ma doveroso omaggio. Vi si scriveva: “Veronelli, su questa strada, ci ha insegnato l'ascolto del racconto di un vino, sentire ciò che sta dietro (celebre il suo paradosso: «Il peggior vino di un contadino è migliore del miglior vino di un industriale»), avvertire la fatica del contadino, la storia, ma nello stesso tempo percepire la personalità del vino (e di qualsiasi prodotto della terra) viva e in divenire, che discorre con noi, ci fa immaginare, produrre linguaggio”.
In un bicchiere di vino Veronelli scorge “l’immagine di una giovane donna giovane giovane di annata” tutta da bere. Sensazioni vissute sul filo dei ricordi che si tratteggiano in punta di calice.
Buona scrittura.
martedì 27 maggio 2008
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