lunedì 28 luglio 2008

il vino, le rose...a due velocità?


Eccoci al primo dei racconti segnalati da Villa Petriolo.
Si tratta di "A due velocità" di Massimo Roscia.

Tanti complimenti all'autore da Villa Petriolo.


Massimo Roscia, trent'otto anni, è uno scrittore ed un appassionato gourmet. Lavora presso la Camera di Commercio di Frosinone dove si occupa, tra l'altro, di enogastronomia e collabora con varie riviste nazionali ed internazionali di settore. Già autore di numerosi racconti e pubblicazioni, vincitore di diversi premi letterari, ha esordito nel 2006 con il romanzo "Uno strano morso ovvero sulla fagoterapia e altre ossessioni per il cibo" per i tipi di Edizioni della Meridiana di Firenze. A breve saranno dati alle stampe una sua raccolta di novelle ed il nuovo libro "Chef&Gourmet".



racconto

"A due velocità"

di Massimo Roscia



Agrimotors TF 8 Diesel. Anno di immatricolazione 1958. Motore bicilindrico da ventisei cavalli, quattro ruote motrici, cambio monoleva a sette marce - di quelli indistruttibili - e carrello rimorchio ribaltabile. Duemiladuecento centimetri cubici di cilindrata. Duemiladuecento graffi ed ammaccature a testimoniare, uno ad uno, gli oltre trent’anni di duro lavoro nei campi. Sebino siede alla guida del suo vecchio trattore che, nonostante i segni dell’età e qualche evidente difetto di carburazione, sui terreni scoscesi ancora non ha eguali. Sebino considera il suo TF 8 alla stregua di un caro familiare, si intrattiene con lui discettando dei piaceri/dispiaceri della vita. Lo coccola, lo accarezza, ne maneggia delicatamente i comandi, si erge fiero sul sedile, un tempo imbottito e molleggiato.

ZZ Sport Coupé. Cinquemilanovecento centimetri cubici di cilindrata, settecento cavalli, cambio longitudinale a sei rapporti, cerchi anteriori da diciannove pollici e posteriori da venti. Da zero a cento in meno di quattro secondi, una coppia mostruosa, velocità massima dichiarata superiore ai trecento chilometri l’ora. Immeritato premio aziendale per una riuscita fusione per incorporazione subdolamente scippata all’ingenuo Mearelli a pochi giorni dalla firma. Cinismo, opportunismo, perfidia, spietato rampantismo ed un favorevolissimo leasing aziendale hanno consentito a Giangi di ritirarla, proprio martedì scorso, dal concessionario. Zero rimorsi. Solo un irrefrenabile desiderio di spingerla a tutta velocità lungo i tornanti della vallata.

Argille e calcare nutrono la vigna donando alle uve potenza ed intensità aromatica, argille e calcare infangano le suole degli stivali del buon Sebino ricordandogli – ove ve ne fosse bisogno - che il contadino è un tutt’uno con la terra. Il TF 8 risale con tenacia il pendio e si immette sulla provinciale. Sebino rivolge un ultimo sguardo verso il vigneto ammirando con soddisfazione i filari con i ceppi riportati a nuova gioventù. Ha appena terminato di potare le viti, robuste e generose, per predisporle alla loro ripresa vegetativa in primavera. Oltre cinquemila tagli di forbice, lenti, studiati, amorevoli, per donare alle piante forma, equilibrio e fertilità. I raggi di un timido sole invernale si adagiano lievi sulla dolce collina. Quiete.

Il ringhio del motore è cupo, profondo, cattivo. Ha un che di diabolico. Giangi gode nel vano tentativo di esorcizzarlo a colpi di freno, frizione ed acceleratore. Un ottocentesco casolare in pietra arenaria, la ruota di un antico mulino ad acqua, gli argentei uliveti alternati con eguale delicata armonia ai vigneti e le rosee infiorescenze dei ciclamini del sottobosco scorrono di lato come immagini sfocate ed insignificanti. Grigia. Ai suoi occhi giunge soltanto un’unica indistinta pellicola grigia. Grigia. Come l’asfalto che la sua ZZ Sport Coupé sta divorando. Roarrrrr!

Il tributo di Sebino alla sua terra non è completo. Dopo aver passato in rassegna i pali di sostegno, legato i tralci e potato, gli resta ancora da concimare l’impianto di Colle Erto. Ma Sebino ed il suo TF 8 non conoscono fretta né affanno. Insieme si lasciano cullare dai lievi sobbalzi dell’asfalto gibboso. Insieme assecondano con dolcezza le curve di quella primordiale e materna vallata che li ha visti nascere. Insieme gioiscono del volo incerto di un pettirosso, del profumo fragrante e muschiato regalato dalla boscaglia, dei primi candidi fiori di un nespolo, del gorgoglio proveniente dal fiume ingrossato, del succedersi ripetitivo ma rassicurante delle case coloniche. Insieme sorridono al sole. Lentamente.

L’auto sfreccia lungo la sottile striscia bituminosa. Decine di insetti salutano la vita abbattendosi contro l’immacolato parabrezza della ZZ Sport Coupé e provocando il profondo disappunto di Giangi. Uno spruzzo di acqua saponata ed un rapido e deciso passaggio del tergicristallo cancellano per sempre frammenti di ali, antenne, zampine ed ogni altra traccia di voli passati. Corre la macchina aggrappando rabbiosamente le ruote ai lembi d’asfalto e sfidando i limiti della fisica; corre la mente di Giangi per metà impegnata nella folle guida, per metà già proiettata verso nuove e più spudorate operazioni finanziarie. Time, speed, money.
L’inconfondibile scoppiettio dei due cilindri del TF 8 richiama l’attenzione della vecchia Lisena che, seduta dinanzi all’uscio di casa, aggrottando la fronte rugosa, saluta quello che per lei è ancora oggi il piccolo Sebino. Lui, dall’alto del sedile, ricambia soffiandole un bacio con il palmo aperto della mano e prosegue felice il suo tragitto lungo la collina godendosi la lentezza dell’esistenza.

Aspirazione, compressione, combustione e scarico. I potenti pistoni cantano in coro. L’energia chimica si trasforma in cinetica. La dinamica inghiotte la statica. La sagoma dell’auto si confonde con le linee del paesaggio, deforma i pioppi facendoli apparire ricurvi, cancella i colori ed i profumi e lascia dietro di sé una scia di ossido di carbonio e di meccanico delirio. L’inconsapevole futurista Giangi Vismara, mani salde al volante e terza ingranata, non è più un uomo ma è parte della macchina. Gianni V. V come lo scollo del suo maglioncino in cachemire carta da zucchero; V come il dodici cilindri della sua ZZ Sport Coupé; V come velocità pura.

Ancora un paio di chilometri. Colle Erto si staglia alla destra del noccioleto. La salita è adesso più ripida ed il TF 8 può offrire il meglio di sé. Sebino abbraccia con i suoi intensi occhi azzurri quella è stata un tempo la terra del nonno e che oggi è la sua terra. Gocce di sudore colate sulle zolle rivoltate, colpi di vanga, calli alle dita, sole cocente, solchi profondi, movimenti lenti e ripetuti all’infinito, un’abbondante cornucopia a premiare le fatiche. Uva e altri frutti della terra. Amore, gioia, vita.

La ZZ Sport Coupé è ormai una macchia rossa scagliata nel nulla che neanche Giangi è più in grado di controllare. Saetta lungo i tornanti. Nessun ostacolo. Sinfonia di bielle. Giù il pedale verso l’infinito e oltre.

Succede tutto in un attimo. Un cagnolino impaurito e distratto che attraversa improvvisamente la strada, i riflessi pronti di Sebino, l’incedere lento e l’efficienza del vecchio impianto frenante del TF 8. E, dietro, un missile in piena accelerazione, i riflessi meno pronti di Giangi e una frenata violenta e disperata. L’urto appare inevitabile.

I dischi al carbonio del coupé urlano, le gomme si incollano all’asfalto fondendosi con esso, Sebino si volta di scatto e, più rassegnato che spaventato, si porta le mani ai capelli. Il suo cuore cessa di battere, lo sguardo è perso nel vuoto, la mente si predispone ai ricordi. Il tempo si ferma.

L’arresto è assai brusco ma – in-cre-di-bi-le - lo schianto viene evitato. Il muso della fuoriserie si appoggia al rimorchio ribaltabile. Sebino è immobile e silenzioso. Non riesce a capacitarsi del miracolo. Si limita a chinare il capo in avanti, di pochi centimetri, per lasciar defluire i liquidi della paura e della tensione o, forse, per ringraziare il Signore. Giangi, invece, non tradisce alcuna emozione. Sguardo di ghiaccio e cuore di pietra. Ha gareggiato in velocità contro la vita ed ha vinto. Ignora Sebino e il suo trattore, stringe il pugno soddisfatto e scoppia in una fragorosa risata. Una risata beffarda, convulsa, stridula, a tratti inumana, che ricorda un po’ il rombo del motore. Il ghigno aumenta in intensità fino a quando non viene coperto dall’acuto gracchio di un corvo che, a sua volta, è sovrastato da un cigolio metallico ancora più penetrante e sinistro.

Il giunto angolare - aggiustato artigianalmente da Sebino alla precedente vendemmia - cede, la sponda si ribalta facendo rovesciare il prezioso contenuto del carrello sul cofano anteriore in vernice metallizzata rosso corrida del bolide taurino.

Pochi istanti.
Giangi, la sua smorfia maligna, la sua ZZ Sport Coupé, il suo cinismo, il suo maglioncino in cachemire ed il suo fottutissimo inno alla velocità vengono sepolti da un enorme, maleodorante, umido, caldo e fertile ammasso di letame.

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