giovedì 11 settembre 2008

elisir d'amore



"Elisir d'amore", il suggestivo racconto di Guergana Radeva per "I giorni del vino e delle rose".



Guergana Radeva è nata in Bulgaria nel marzo del ‘67.
Laureata in Ingegneria elettronica all’Università di Sofia, è approdata in Italia nel ’91 sulla cresta della grande onda migratoria. Ha lavorato come domestica, cameriera, pizzaiola e barista e ha gestito un irish pub a Livorno.
Sposata da una quindicina d’anni, attualmente vive nel cuore della Maremma con tre cani e quattro gatti. Alcune sue brevi opere sono state incluse nell’Antologia poetica Nuove voci, ed. il Filo, Oxè Racconti erotici italiani, ed.Zona e Writers Magazine Italia, ed. Delos Books. Amalgrab, ovvero lo specchio delle brame è il suo primo romanzo.



Racconto

"ELISIR D'AMORE"

di Guergana Radeva



equinozio di primavera ovvero la terra
Non si sa dove, neppur quando, ma narra la legenda antica che coronando la rinascita vegetativa con l’avvento delle rondini, il sole scorse un nobiluomo addentrarsi nella roccaforte cuprea fin sotto la Torre della Bella. Il Savo, uomo di sapienze occulte, scrutò le mura in roccia di cinabro, dunque raccolse un grumo di terra rossa e se lo mise in bocca, saggiandone il connubio di zolfo e mercurio. Risaputo era che dietro le alte finestre nell’ora ventosa del tramonto traspariva la silhouette della Contessina rinchiusa, però il cavaliere, dopo aver interrato ai piedi del torrione una barbatella di vite dalle tre gemme fruttifere, sé né andò senza alzare lo sguardo.

equinozio d’autunno ovvero la vite
… dopo una piroetta e mezza il sole baciò ancora l’equatore celeste, eguagliando luce e tenebra sui piatti della bilancia astrale e sotto le mura, ghirlandate di rondini in partenza, il Savo soppesò un grappolo maturo, osservò controluce le trasparenze vermiglie frangersi negli involucri violacei, poi gustò. Succhiò la polpa intrisa d’argento vivo, sgranocchiò i vinaccioli, striati d’infiltrazioni sulfuree, infine esplorò le porosità della buccia, assaporando il sale sedimentato delle lacrime che puntuali come la pioggia cadevano dalle finestre alte. Quella notte, raccontano, la Contessina vide l’uomo savo, pigiar nudo l’uva in un tino modesto e ammaliata spiò a lungo la danza del suo corpo lunare. Da sempre il vino fiore andava al palazzo, il vinello agro della seconda pigiata – al prete, e l’acquerello delle vinacce diluite, beh, quello poteva tenerselo il contado. Ma quell’inverno, nonostante l’abbondar di pozioni, preghiere e salassi, il vecchio conte deperì e spirò e il Savo svinò il mosto, lo governò con uva scelta, spigliandone il fermento e per due volte lo travasò sotto luna calante nella botte, purificata con fuoco di zolfo.

solstizio d’estate ovvero il vino giovane
… guidato dai falò scoppiettanti in gloria di Sol Invictus, il Savo, uomo dotto nelle faccende terrene così come in quelle celesti, giunse al castello per propiziare col dolce elisir le grazie della notte più fugace e leggiadra dell’anno. E quando ruppe il sigillo del primo vetro l’aroma di marasche precoci svegliò la sensualità, anch’essa ancora acerba, della Contessina. I calici s’alzarono, guizzanti riflessi rubini e il vino vivace esplose nel sangue artifici di frizzante euforia. Il Savo gustò i baci ciliegini della nobile fanciulla e si saziò del suo amore, fresco e genuino come primo sale appena cagliato. Solvet et coagula, anime si fusero, corpi si unirono, molecole si mescolarono ed elementi si ricombinarono nel fermento dell’elisir e narra la legenda, conte e contessa vissero felici e contenti, custodendo tre tesori: una figlia bellissima nella Torre cinabra e due vetri sigillati nella cantina segreta.

solstizio d’inverno ovvero il vino vecchio
… le stagioni rotolarono susseguendosi nel rosario del tempo e, dicono, che nonostante i poteri ereditati dal padre, o appunto in virtù di essi, la figlia del conte savo, rimase a vivere nella Torre rossa, dilettandosi con le prodezze dei giovani forestieri. Solo ai più arditi o forse ai più innamorati che osavano l’arrampicata per i tralci della grande vite, rischiando collo e cuore, era dato accedere dalle finestre arcuate alle logge del piacere. Dunque capitò nella notte di natività solis che contrariata dalla neve vergine di orme fresche la Contessa scese nelle cucine per placare almeno in parte la fame del corpo. E fu laggiù che masticando panforte al calduccio del ceppo natalizio, vide un uomo sgattaiolare tintinnando dalla botola della cantina. E siccome la contessa era una dama di grandi appetiti e l’ospite notturno un cavaliere assai cortese, un sigillo fu rotto, l’aroma di marasche cotte dal sole inebriò i sensi, i calici sparpagliarono granati, fugando le tenebre più dense dell’anno e sulla scia del richiamo sontuoso del vino maturo il Principe dei ladri gustò i baci passiti della nobildonna, che impastavano il palato di piacere zuccherino e si saziò del suo amore, odoroso e piccante come pecorino stagionato. Molecole si mescolarono, elementi si ricombinarono e raccontano che quando il cavaliere sé né andò, uccel di bosco, qualcosa di suo lasciò e qualcosa d’altrui rubò, bottino impalpabile eppur prezioso.

Come in cielo così in terra ovvero l’amore
… nessuno sa se l’ultimo vetro d’elisir giace ancora sotto le rovine di una torre rossa, ma narra la legenda che numerosi viandanti recisero talee dalla vite prodigiosa, perpetuando le sue magiche proprietà affinché noi, alzando i calici cogliessimo il profumo di marasche dolceamare, assaporassimo nel generoso sorso di vino le nozze alchemiche degli elementi e ci abbandonassimo al retrogusto dell’antica sete d’amore.

Angelo Branduardi, Laila, Laila

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella questa favola moderna! complimenti all'autrice, una scrittura suggestiva.Che bel modo di parlare di vino! Sara f.

silvia ha detto...

sì, sara, con un'atmosfera molto particolare...brava Radeva e complimenti a tutti i nostri autori che hanno saputo interpretare in maniera originale le premesse del bando!