domenica 21 settembre 2008

I giorni del vino e delle rose


Nicoletta Tomas Caravia, Por ti


Oggi pubblichiamo con piacere il racconto di Arianna Senore "I giorni del vino e delle rose".

Arianna è nata nel 1990 a Torino e risiede a S. Ambrogio (TO).
Ha frequentato quest'anno la IV Liceo Scientifico nel paese di Bussoleno, con ottimi voti. Ama scrivere e disegnare (spesso illustra i suoi racconti) ed ha concluso un romanzo fantasy/storico, che non ha ancora avuto modo di pubblicare.


Racconto

"I GIORNI DEL VINO E DELLE ROSE"

di Arianna Senore


Sono a Firenze, agli Uffizi. Smarrita nella vasta grandiosità di secoli d'arte, immobile di fronte al “Bacco” di Caravaggio, lo osservo, mi commuovo di fronte a tanta bellezza e sento il cuore che si stringe di fronte alle ombre cupe e tormentate dell'intero quadro. Lo esamino, impiego tutto il tempo di cui ho bisogno, mi soffermo infine sulla coppa di vetro e mi sembra addirittura di gustare il vino che reca al suo interno, così scuro e vivo, sfumato di rubino. Mi sorge una domanda sciocca che però non riesco a scacciare: quale vino bevevano gli dei dell'Olimpo?
Fiorisce un abbozzo di risata sulla mia bocca e, poco dopo, al bar del museo, seduta ad ammirare i tetti di Firenze sorseggiando un Morellino di Scansano, consigliatomi dal cameriere, ecco cosa immagino.

Si tratta di un banchetto nel quale Zeus ed Era siedono al centro, attorniati dalla loro famiglia così numerosa. Solo Ebe è in piedi e volteggia da un posto all'altro, allegra coppiera divina, così graziosa eppure mai bella. È brezza primaverile e stringe un'ampia brocca che usa per riempire i calici degli altri dei, così grandiosi e statuari, rilassati in mezzo all'eterna serenità. È un vino rosato, lieve e fruttato, il liquido che versa, nettare pregiato che frizza ed inonda l'aria del suo acre profumo. Lei porta rose in grembo e nei suoi passi, che paiono una danza, lascia dietro di sé una scia che sa di maggio, i petali dei fiori e l'odore di frutta della caraffa.
Solo Ares guasta questa pace. Lui, il bellicoso dio della guerra, litigioso e scortese, siede corrucciato in un angolo in ombra e chiama, sgarbato, la giovane coppiera, non appena il calice si svuota. Per lui il vino non è un piacere come per gli altri, gli ricorda all'improvviso la sua natura misera e crudele, a cui non si può opporre. Ares non è un nume come gli altri. Gli dei nascono dalle preghiere, dai pensieri e dai timori degli uomini, da loro sono creati e non possono mutare il loro destino. Così gli altri sono amati ed invocati mentre lui, originato dal terrore e dall'odio per il sangue, rimarrà sempre un ragazzo impetuoso di vent'anni, folle d'ira e sgradito a tutti. Abitualmente si crogiola nel vortice nero che è il suo furore, vive la sua rabbia ridendo e fuggendo la realtà. Ma, quando beve, cadono gli argini che tanto saggiamente erige, crolla la sua barriera in un sollevarsi di polvere e di lacrime. Eppure Ares mai sarebbe disposto a rinunciare alla sofferenza che gli causa il vino, nel suo scorrere allegro e doloroso; nella sua natura distruttiva, adora struggersi per il fato immutabile ed eterno. Le risate degli altri dopo un po' diventano assordanti, non sopporta più il clima gioioso, allora si alza in un turbine oscuro ed abbandona la stanza, che lo stava soffocando.
Rovescia le stoviglie che tintinnano fra loro e sbatte contro Ebe, la scaccia col braccio possente ed è fuori, nel roseto che Atena cura con amore. Vorrebbe distruggere ogni petalo e lacerarsi le mani con le spine, ha già iniziato quando percepisce una presenza dietro sé che lo lascia immobile e senza fiato. Si volta ed improvvisamente tutto è silenzio, lascia che dai polpastrelli coli il suo prezioso sangue e si perde nel volto che è di fronte a lui. È Afrodite, bruma marina, ed è la prima volta che si incontrano. Lo guarda senz'aria di rimprovero e lascia che osservi il suo corpo perfetto attraverso i veli, i capelli che paiono onde ed il suo incarnato di perla. Lui da subito è scosso come da un terremoto, è sommerso da un sentimento fortissimo e pulsante. Odia il volto della Dea ridente che lo che non bada alla sua oscurità, la odia perché lei è come il vino che aveva rovesciato a terra nel banchetto, emblema di ciò che desidera ma non può avere. Folle d'ira, capisce di desiderarla e di adorarla come nessun'altra mai. Le si avvicina e la stringe con violenza.
Si amano e lui è certo di sentire in lei proprio il gusto di quel vino che gli ricorda di non poter cambiare il fato. Gli rammenta che Afrodite, la bellezza che rende schiavi, non potrà mai essere sua perché gli umani l'hanno destinata a Efesto, gelosi della loro eterna gloria.
All'interno della stanza sono invece tutti più leggeri e persino Ebe ora si riposa. Dioniso capisce che è giunto il suo turno di servire; porta con sé del vino liquoroso, marsala dolce, del colore dell'ambra, il vino dei sogni e delle danze. È rimasto in ombra fino a adesso, ma ora nemmeno Era la maligna ha il desiderio di scacciarlo. Rovescia il suo nettare sacro in abbondanza nelle coppe e torna a sedere, ergendosi ora immenso sugli altri dei, invincibile mentre s'appresta a suonare il flauto, scorrendo senza indugio le dita per originare il suo miracolo. Arianna siede accanto a lui e lo accompagna con il timpano. Lei, sottile come un filo d'erba, si sfinisce nell'ardore della musica e canta addirittura con voce senza parole, pura ed incantata.
La passione tra i due dei invade l'aria sulle note, impossessa gli animi dei convitati e scorre sulla pelle come fuoco, li colma d'una forza che non conoscono prima d'assaporare il vino. Tornano Afrodite ed Ares, richiamati dalla voce possente di Dioniso ed Arianna uniti insieme.
La dea più bella dell'Olimpo si lancia in una danza che completa l'atmosfera si sogno. Il suo corpo si torce e si erge al di sopra della pesantezza quotidiana, si eleva sollevato dalle note e di veli candidi accompagnano la visione perfetta. Ares, folle di gelosia, vorrebbe che nessun altro la vedesse nel momento culminante della sua perfezione, della grazia e della passione. Tutti l'ammirano e le anime si librano nella musica, leggere, insieme a lei che infine si quieta, in armonia con il flauto che cala e la voce di Arianna che si spegne. Afrodite giace poi addormentata sui cuscini di seta che coprono il pavimento e nessuno ha il coraggio di spostare o anche solo di toccare quella sirena, che pare ora una statua magnifica in cui ognuno si può perdere. Solo Ebe osa avvicinarsi e cosparge le sue vesti ed i capelli con petali di rosa o boccioli morbidi, del colore del mattino.

Con quest'immagine soave, la mia visione si dissolve. Torno ad essere seduta al tavolino di un bar e stringo ancora in mano il mio ampio calice da vino. Lo avvicino al volto e sono invasa dal profumo etereo ed intenso del Morellino che avevo ordinato. Bevo un sorso di quella bevanda del colore del rubino, lo stesso del sangue di Ares e lo assaporo, sentendolo caldo ed austero. Poggio il calice di fronte a me e mi accorgo, con un sorriso, che al centro del tavolo è presente un vaso con una rosa sbocciata al suo interno. Ci sono Ares ed Afrodite nei due vetri sulla tovaglia.
Annuso quel fiore così nobile ed immagino ciò che provavano gli Dei del mio Olimpo, nei giorni in cui il vino e le rose avevano un significato così immenso.

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