lunedì 22 settembre 2008

racconto di passioni e d'osteria


Ritratto di Isabella De' Medici, Alessandro Allori, Galleria degli Uffizi



Pubblichiamo oggi anche il gustoso "Racconto di passioni e d'osteria" di Paolo Pianigiani, in concorso per "I giorni del vino e delle rose". Avvicinandoci al nostro incontro a Cerreto Guidi, ricordando Isabella ....

Paolo Pianigiani è nato ad Empoli nel 1953, compiendo gli studi al Liceo Classico Virgilio. Ad Empoli tuttora risiede.
Collabora con le riviste Emporium, Reality, Toscana reality, Erba d'Arno, il Segno di Empoli. Ha fondato e dirige il portale dedicato a Dino Campana. Ha pubblicato "Rabeschi per Dino Campana", Transfinito Editore, Soave (Verona), 2007.


"RACCONTO DI PASSIONI E D'OSTERIA"

di Paolo Pianigiani



Ma che dico racconto, dico ripresa in diretta, dialogo a più voci, chiacchere di comare o cronica di paese: e d’osterie. Dove si tratta e si discute di un assassinio che forse non c’è mai stato. Ma certo, tutto inventato: a maggior discredito di loro, lor signori, i Medici.

Insomma, tutto cominciò quando l’Isabella Orsina se ne morì, dio quant’era bella la rosa di casa Medici!, e furon chiamati gl’incappati a portarla via, i fratelli della Misericordia. E il pancione? Paolo Giordano degli Orsini di Bracciano. Ma sarà stato davvero lui, come dice la Lucrezia, dama di servizio e compagnia, a levarla dal mondo? Sembra che l’abbia scritto su una carta, di sua propria mano, mandandone una relazione al padrone, al Granduca Francesco. Mah, sai, per quello, ci vuol poco a falsificar le carte.
I contemporanei non dissero che era andata così. Solo ne’ diari segreti e privati qualcuno, per lo più avverso ai Medici, riportò questa notizia o impressione.
Altri dissero, e questa fu la versione ufficiale, che era morta nel lavarsi la testa, dopo una sudata delle sue, imprudente com’era!, con l’acqua diàccia! Lo avrà fatto per levarsi di testa gli amanti...
E a proposito di amanti: le famose lettere di Isabella a Troilo, il suo presunto innamorato, quel bellimbusto traditore di famiglia, messole accanto dal marito, ammazzato poi da un sicario a Parigi, quelle che fin’ora dimostravano e garantivano l’avvenuta tresca fatale, sembra che non siano di mano d’Isabella. Scritte da altri. False.
E portaci un pò del tuo vino, oste, che la gola è secca e la storia, come la notte, è ancora lunga. Arriva, spumeggiante, appena spillato di botte, e il profumo è come una musica, che invita alla sincerità e al tutto dire. Come fra fratelli. Come è musica, e d’osteria toscana, lo schiccolare dei bicchieri quando, come se li baciasse, li sfiora la brocca in ceramica dipinta, montelupina. E lo scorrere del vino rosso che gorgoglia e parla, d’uva e di sole, di vendemmie e silenzio di botti. E, se non stai attento, di sbronze. Da affogarci il cervello dentro.
E la storia del cànapo allora, la corda penzoloni, come la metti? La mostrano ai visitatori, ancora pronta, ce ne fosse bisogno, a tirar su mogli infedeli! Ma dài, ma dài... l’èstro e la fantasia spicciola dei custodi, per aver più alta la mancia, o perché altri vengano a visitar le nere stanze dell’omicidio orribile. E il fantasma allora, bianco vestito e pallido, che ancora appare per maledire il mondo e chieder vendetta? Ma dài, credi ancora a quelle cose lì...?
Ma ne parlarono i giornali, quando apparve, attrice non chiamata, a terrorizzare la troupe americana. Si era nel 1953?
Sì, ma avranno bevuto un po’ troppo, qui il vino fa brutti scherzi, resta nelle vene a lungo e fa l’amore col sangue: si vedono fantasimi e i sogni diventano veri... gli americani, poi... non hanno avuto il medioevo, e se lo inventano ogni giorno! E il Principe Orsini: ma come si fa ad accusarlo di un delitto così orribile! Non vedi com’è simpatico, nelle stampe d’epoca, con il suo ciuffo al vento: sembra un moschettiere: Porthos, per la precisione! Quando arrivò qui la prima volta, con il suo seguito di dame e cavalieri, con l’esercito dei levrieri per la caccia, i modi distinti, da gran signore, non era così grasso... e principe guerriero anche, combattè a Lepanto, da eroe! Comandava 360 fanti. Si prese, per ricordo, anche una ferita a una gamba: dicono che zoppicasse, da allora, tirandosi dietro la sua gran pancia...
Signore sì, ma con i soldi del suocero. Sempre pieno di debiti, per stare all’altezza della fama. Tutto immagine e niente sostanza... Sì, ma i figli son venuti, ad ogni convegno di letto, o quasi: finalmente il maschio, Virginio, bello come un dio. E che ci vuole a far figli? Isabella aveva gli occhi con il fuoco dentro, e l’argento vivo addosso. Imbattibile nella caccia, correva come una matta, guidando con la sua carrozza, per le stade notturne di Firenze, per la disperazione dei sudditi e del padre. Averla nel letto... era il sogno di tutti! Oste! Portaci da mangiare: il vino da solo gorgoglia e reclama compagnia!
E non dimenticare l’olio nòvo, verde come un ramarro, appena uscito dalle corde, quello che rende vivo ogni sapore, che brucia leggero come un primo sole, e ti lascia l’idea degli spilli vivi in gola.
Ma si dice che la portarono a Firenze, Isabella, nera e brutta che era una disperazione, e fu subito seppellita nel mausoleo di famiglia, in san Lorenzo. Segno che ne avevano da nascondere, i Medici, di prove e segnali per il mondo... Il Granduca Francesco, in accordo fraterno con don Pietro, aveva da poco sistemato l’altro scandalo delle corti d’Europa, la moglie puttana Leonora, trapassata in punta di spada, come meritava, nel Castello di Cafaggiolo, da cui venne la stirpe maledetta dei Medici. E qui non ci sono dubbi, ci sono le carte e le prove, inviate all’Imperatore Carlo fino a Madrid, a giustificare e condividere l’esecuzione ormai avvenuta. Il codice spagnolo non perdona, e spagnola era Leonora, degna compagna di Isabella. Nessuno ebbe da ridire, anzi, ci furono i brindisi e le felicitazioni al fratellino minore, marito tradito e vendicato. Spettava al coniuge e più ancora alla famiglia della sposa infedele, la fredda esecuzione. E, se hai ragione, mi vuoi dire che Francesco era d’accordo a far ammazzare l’Isabella, sua sorella? Certo, fu lui, in ultimo a dare il via... dopo Leonora di Toledo, toccava ad Isabella. Due colpi con una fava. Nel giro di qualche settimana. Non si amavano, i due: fratello e sorella, divisi dalla gelosia, per la simpatia che il padre Cosimo aveva sempre dimostrato per la vivace Isabella. Ma non dimenticare che Francesco dipendeva dalla Bianca, che era amica di Isabella. La sola che l’aveva accettata a corte, lei, trovatella sperduta della repubblica Veneziana, giunta per amore in terra fiorentina. E chi ti dice che lo venisse mai a sapere? Le trame di corte avvenivano nell’ombra, il silenzio e la paura permettevano tutto.
E passami ancora la caraffa del vino, sparisce nel bicchiere come nulla. Lui sì che è un fantasma...!
Anche loro, Francesco e Bianca, poi, faranno la fine che si meritavano, amanti diabolici, in odore di alchimia e magia nera. Avvelenati da una torta insaporita all’arsenico, dal fratello Ferdinando, che era anche uomo di chiesa, un cardinale! Ma che bella famiglia! Storie indimostrabili, anche quelle. Morirono d’indigestione, o di morbi innominabili e allora sconosciuti, Ferdinando era innocente. Lo disse anche il medicone di Corte, dopo aver indagato. Insomma, vuoi dire, e ripassami il vino, che erano tutti angeli i Medici? Angeli magari no, ma nemmeno diavoli, che in specie gli storici banditi dalla Corte, si sono affannati a dipingere. E a tinte ben fosche: don Garzia, un figliolino appena, una promessa, ammazzato dal fratello per una disputa di caccia, il fratello assassino pugnalato dal Padre Cosimo nell’impeto dell’ira... Ti sembra possibile?
Forse un po’ esagerato, lo ammetto... Ma la mamma di tutti e dieci figli di Cosimo, il Granduca: Eleonora di Toledo, la spledida figlia minore del vicerè di Napoli, quella non puoi negare che fu una bellissima figura di donna. Finché visse lei, niente di terribile successe in terra di Toscana. Su questo hai ragione, ci guarda ancora oggi nello splendido ritratto del Bronzino, allievo prediletto del Pontormo, con quegli occhioni malinconici, che sembrano già contenere tutto il suo dolore di donna. Oste, sparecchia, e portaci le carte per la briscola! E un vinsantino di quello bòno, insieme al conto.

E per una volta, fai finta di essere onesto!

dai Carmina Burana, In taberna quando sumus, Carl Orff

1 commento:

Tommaso Mazzoni Dpro ha detto...

- Ma com'è bello questo racconto! Lo si vive (o ri-vive?) man mano che vi ci s'addentra, distratti (ma non troppo) da quegl'intercalari con l’oste premuroso e paziente che egregiamente fa ravvivare il dire.
- Ma non avrebbe potuto essere scritto da chi non conosca - e anche piuttosto dettagliatamente - vòlti e risvolti della Famiglia Medici con tutti gli annessi e anche le non poche situazioni che li hanno accompagnati in tutto il vivace itinere. La loro inevitabile parabola discendente, poi interrottasi, non ci riguarda ormai più se non per la doverosa memoria.
- Il tutto, tutto il fraseggio del racconto, costellato da sapidità virtuali e naturali della nostra terra... compreso il vinsanto, e magari anche un cantuccino, acciocché il primo non faccia ricerchiare troppo la testa del gozzovigliante.
- Bravo Paolo! Un ineffabile godimento per lo spirito di chi apprezza queste nostre antiche cose che, silenti o risonanti come in questo caso, accompagnano pure i nostri giorni, di per sé così diversi.
- Meno male che c’è chi ci pensa e provvede: mi aspetto tanti altri episodi, da te. E mi auguro anche che non ti lascin solo.
- Tommaso.