giovedì 23 ottobre 2008
tempo di pasqua
Italiani a tavola
"Tempo di Pasqua", il racconto di Maria Adelaide Faccenda per "I giorni del vino e delle rose".
Maria Adelaide Faccenda è nata a Firenze e risiede a Vinci.
Diplomata come maestra d'arte presso l'Istituto Policarpo Petrocchi di Pistoia, attualmente svolge nelle scuole elementari e medie di Lamporecchio il corso di regia e drammatizzazione per il laboratorio pomeridiano. Scrive testi teatrali sia per la scuola che per la sua compagnia teatrale, la Compagnia Marvesio. Maria Adelaide ha pubblicato alcuni racconti per case editrici minori.
SABATO 01 NOVEMBRE 2008, ORE 21,15, andrà in scena a Vinci, per la regia di Maria Adelaide, “PER L’INCREDIBILE EREDITA’”, commedia brillante in 2 atti. INTERPRETI: Patricia Cannatella, Emy Faccenda, Maria Cirrito, Sara Panconi, Giacomo Palandri, Francesco Gori, Roberto Spinelli, Luigi Palandri; costumi di Marisa Stefanini in Frullini. Per informazioni: 348/5818300 (Cesare); info@casadelpopolovinci.it
Racconto
"TEMPO DI PASQUA"
di Maria Adelaide Faccenda
Ecco! Accadeva ancora!
Si sentiva felice per niente. Gli bastava cogliere appieno, per un attimo, la bellezza delle cose che lo circondavano e in quel magico momento un brivido d’estasi lo attraversava come una scossa elettrica. Un’immensa pace gli scioglieva l’animo e si sentiva in armonia con il mondo, quasi fosse tutt’uno con l’essenza della vita stessa.
Spesso si domandava se quelle stesse emozioni le provavano tutti i ragazzini della sua età e se era ragionevole gioire così, senza alcun motivo, anche dopo che suo padre lo aveva aspramente rimproverato.
Lo sgridava sempre. Ogni giorno non mancava mai di alzare la voce, bruscamente, per farsi obbedire. Lo esortava a essere più solerte e ad avere colpo d’occhio e prontezza di riflessi nel servire i clienti della sua locanda. “Quando avevo anch’io undici anni come te.” gli ripeteva come un ritornello “ Mio padre non aveva bisogno di parlare. Sapevo gestire l’osteria da solo. Indovinavo i bisogni dei clienti e li servivo prima che potessero ordinare.”
Infondo aveva ragione a brontolarlo spesso. Lui era sempre distratto.
Se qualcuno gli ordinava una pietanza a base di carne era capace di portargli del pesce o se chiedeva frutta fresca di stagione gli metteva in tavola il cesto con le mandorle, i datteri e le arance candite. Il suo corpo serviva i clienti e la sua mente spaziava dietro ai ragazzi che udiva nella piazza vicina, intenti in chissà quale gioco; oppure gli bastava vedere un passero o un insetto fuori dalla loggia per perdersi, assorto a contemplare i loro movimenti.
Anche quel pomeriggio il tempo era volato via velocemente mentre giocava con i suoi amici e si era scordato completamente della sua incombenza: doveva provvedere a travasare il vino perché quella sera c’era già stata una prenotazione.
Suo padre lo aveva chiamato a squarciagola con le mani serrate a pugni sui fianchi e l’aria minacciosa. Quando si era presentato tutto scarmigliato e pieno di polvere lo aveva ricoperto di insulti e minacciato di grandi punizioni per mettergli un po’ di sale in quella sua testa bacata. A capo chino era rientrato in casa si era dato una ripulita e aveva cercato di non piangere.
Ma in quell’istante era felice. Felice di niente!
Felice di tutta quella natura intorno a se e dei profumi che sentiva nell’aria.
Solo, sotto il portico, avvolto dalla quiete e dalla penombra, mesceva il vino prelevandolo da un grande otre e lo versava nelle brocche di terracotta.
Il sole volgeva al tramonto tingendo d’arancio le basse colline all’orizzonte e una brezza leggera stormiva le foglie dell’ulivi nell’orto, facendole danzare con iridescenze d’argento. Le rondini sfrecciavano veloci in rapidi voli rasenti fra la segale e l’orzo dei campi; a caccia di insetti prima di fare ritorno ai loro nidi.
Nell’aria l’odore sconvolgente delle rose in piena fioritura si mescolava alla fragranza del vino che stava mescendo e tutto questo lo inebriava, rendendolo felice. Felice di vivere. Di essere lì a cogliere quella bellezza di sensazioni che la natura offriva nel rinnovarsi a primavera in un’esplosione di colori e profumi meravigliosi.
Era tempo di pasqua!
Quella sera nella stanza accanto c’era una tavola apparecchiata per tredici persone. Il cliente che aveva fatto la prenotazione si era raccomandato, con suo padre, per avere la massima tranquillità.
Con attenzione prese due brocche piene di vino e le dispose sulla tovaglia candida facendo bene attenzione a non macchiarla con qualche goccia a causa della sua goffaggine. Ne dispose altre, sistemò le stoviglie e accese le candele. Sembrava tutto in ordine.
Le fiammelle tremolarono per il soffio leggero della corrente generata dalle due entrate laterali, sorrette da pilastri e sormontate da archi a tutto sesto.
Mentre si ritraeva nell’oscurità, ad osservare affascinato il guizzo di luci e ombre danzare sui muri immacolati, vide con la coda dell’occhio entrare un gruppo di persone vestite in modo semplice.
Chiacchieravano animatamente e suo padre li ossequiava invitandoli ad accomodarsi. Quello di loro che gestiva la situazione prese posto al centro invitando i suo amici a sedersi ai lati e ringraziò molto cortesemente l’oste. Indossava una tunica bianca aveva la barba e i capelli lunghi di un castano scuro. Il suo volto era dolce e gentile e sorrideva a tutti, ma gli occhi erano pieni di un immenso dolore.
Protetto dall’ombra il ragazzo rimase lì dietro una colonna, che immetteva in un buio corridoio, attratto da quell’uomo dagli occhi tanto tristi. Non poteva sentire cosa diceva ai suoi amici. Le voci gli giungevano come uno strano mormorio.
Nella stanza l’odore penetrante delle rose disposte nei vasi ai lati della tavola si mescolava alla cera delle candele e alle spezie della cucina.
Gli uomini mangiavano e si versavano il vino con tranquillità. Benché fossero lì riuniti tutti insieme a festeggiare la pasqua non c’era allegria nei loro modi, sembravano quasi disorientati e impauriti.
Ad un tratto gli occhi pieni di dolore, dell’uomo al centro della tavola, si offuscarono di rimprovero e si volsero verso chi alla sua destra aveva intinto il pane nella stessa ciotola.
Il ragazzo trattenne il fiato aspettandosi di sentirlo urlare un rimprovero, ma l’uomo si passò una mano sulla fronte e il suo sguardo era di nuovo perso e lontano. Per un attimo rimase immobile in silenzio poi disse qualcosa e il suo volto trasfigurò in una espressione solenne e misteriosa. Con gesti precisi e calcolati prese il pane lo spezzò e ne diede un pezzo ciascuno. Sollevò una brocca per riempire un calice, ma era vuota.
Senza guardarsi intorno alzò lo sguardo verso il ragazzo nascosto e gli sorrise, illuminandosi di complicità. Il giovane non si sentì intimorito. Per la prima volta aveva ben chiaro nella mente cosa doveva fare senza bisogno di comando. Uscì sotto il portico riempì un altro contenitore e tornò alla tavola versando il vino vermiglio nel calice che l’uomo sorreggeva.
Suo padre che si era affacciato in quel momento lo vide e rimase soddisfatto.
Il ragazzo arretrò di nuovo nell’ombra e restò a disposizione dei clienti.
Immerso in quella semplice atmosfera rischiarata dalla luce delle candele osservò l’uomo, i cui occhi adesso erano intensi e brillanti, pronunciare poche parole e passare il calice ai suoi amici perché ognuno ne potesse bere.
Cullato dal brusio delle voci e dal profumo penetrante del vino e delle rose, il ragazzo, sentì le palpebre farsi pesanti e si appoggiò alla colonna.
Quando si riscosse si trovò accoccolato in terra sul pavimento del corridoio.
Non sapeva per quanto tempo aveva dormito, ma guardandosi intorno vide la sala vuota e buia.
Le candele si erano consumate sciogliendosi lentamente e la tavola era stata sparecchiata. Restavano solo i grandi vasi di rose posati sul legno scuro delle assi.
Dalla cucina giungeva un brusio di voci e si chiese come mai suo padre lo aveva lasciato sonnecchiare invece di svegliarlo a calci nel sedere. Ma poi ricordò lo strano uomo e il sorriso che gli aveva fatto e seppe quasi con certezza che era merito suo se suo padre non lo aveva ancora sgridato.
Si alzò, stirandosi pigramente come un gatto, e uscì fuori in cortile.
Era una notte magnifica!
La brezza tiepida muoveva l’aria sollevando mille profumi e in cielo grappoli di stelle si intrecciavano fra loro simili a ghirigori su un foglio blu cobalto. Il latrato di un cane spezzò il silenzio e dalle colline vicine gli rispose un altro abbaiare.
Il ragazzo si inoltrò per il sentiero e giunse all’orto degli ulivi. Si fermò, sorpreso, prima di varcare il muretto di pietre. Sotto le piante alte e contorte, le cui foglie danzavano al vento con riflessi d’argento, stavano i clienti che aveva appena servito. Sdraiati sul prato gli uni accanto a gli altri dormivano beati vinti dal vino e dalla stanchezza. Ma l’uomo con gli occhi pieni di dolore non dormiva. Se ne stava discosto in disparte, piegato in ginocchio, e pareva che un’immensa sofferenza lo sovrastasse.
Come poteva aiutarlo? Lui aveva solo undici anni. Preoccupato si avvicinò per chiedergli se doveva chiamare un cerusico.
“Vi sentite male?”
L’uomo si riscosse bruscamente e per un secondo lo fissò quasi senza vederlo attraverso le lacrime represse. Poi lo riconobbe e sorrise lasciandosi andare stancamente a sedere sul prato.
“Meditavo…E una notte tanto bella che mi commuove. Le gioie della vita sono tanto semplici eppure meravigliose…che uno non vorrebbe staccarsene mai.” rispose, e c’era rimpianto nella sua voce.
Il volto del ragazzo si illuminò di comprensione: “Succede anche a me…Non lo so spiegare a parole ma mi basta seguire il volo di una rondine per sentirmi felice.” poi aggiunse avvilito “Mio padre dice che sono uno stupido sognatore.”
“ La vita è un grande dono se sai apprezzare quello che ti circonda siano esse piante, uomini o animali. Tuo padre dovrebbe ricordarsi di quando era fanciullo.”
Il ragazzo annuì perplesso. Se cercava di immaginare suo padre da bambino lo vedeva sempre operoso e assillante come era da vecchio.
L’uomo sorrise quasi indovinasse i suoi pensieri: “Ti sgrida molto perché vorrebbe che tu gli assomigliassi…Ma ti vuole bene.”
“Tu come lo sai?”
“Ho visto orgoglio e amore nei suoi occhi mentre ti guardava.”tacque un attimo “A volte i voleri dei nostri padri ci sembrano macigni da portare…come se ci chiedessero cose superiori alle nostre forze…Ma loro ci amano e noi dobbiamo obbedire.” sospirò e si volse turbato verso i suoi compagni che dormivano profondamente.
“I tuoi amici erano molto stanchi.” dichiarò ingenuamente il ragazzo.
“Li ho lasciati bere troppo…Il tuo vino era molto buono.”
Con l’avanzare della notte la brezza rafforzò e le foglie degli ulivi stormivano sopra le loro teste.
L’odore sconvolgente delle rose in piena fioritura arrivava a folate inebriando i sensi. La quiete li avvolgeva come la penombra e nel cielo i grappoli di stelle parevano pulsare al ritmo del loro cuore.
Ad un tratto l’uomo si sollevò e prese per mano il ragazzo conducendolo all’entrata dell’orto.
“E bene che tu vada.” gli disse “ Ti ringrazio per avermi tenuto compagnia…Mi hai salvato da tristi pensieri.”
Il ragazzo non sapeva cosa dire. Lo guardò quasi dispiaciuto. Sarebbe rimasto volentieri con lui tutta la notte. Sarebbe stato bello guardare l’alba sorgere insieme.
Ma l’uomo appariva turbato e gli ricordò un animale quando sa di essere braccato.
Certamente il sonno gli faceva pensare cose assurde. “Buonanotte!” disse infine.
“Buonanotte fanciullo mio.” rispose l’uomo e nei suoi occhi questa volta vi era un’infinita dolcezza.
Non lo aveva più rivisto!Di quel cliente misterioso aveva sentito dire tante stupidaggini, in seguito.
Chi diceva che si credeva un grande re, chi lo accusava di praticare oscuri sortilegi. C’era chi vociferava che era un pazzo e altri ancora sostenevano che diceva di essere il figlio di Dio.
Qualcuno dichiarava che era stato processato e crocefisso, altri che godeva ottima salute perché era risorto e tornato nella sua patria. Ma se uno dava retta alla gente…
Il ragazzo non sapeva davvero che fine avesse fatto, anche se a volte sperava di vederlo arrivare alla locanda. Gli anni erano passati ed era diventato un bravo locandiere, stimato da tutti.
A volte ripensava ancora all’uomo dagli occhi pieni di dolore.
Specialmente in primavera quando i giorni avevano il profumo del vino e delle rose. I giorni in cui talvolta si sentiva felice di niente.
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