sabato 25 ottobre 2008

tornando a casa


Italiani a tavola





Per la raccolta dei testi in concorso per "I giorni del vino e delle rose", si pubblica oggi "Tornando a casa" di Patrizio Poli.

Patrizio Poli abita a San Giovanni Lupatoto (VR).
Scrive di sé: "La mia attività di scrittore è iniziata meno di due anni fa. La premiazione di un mio racconto al primo concorso letterario cui ho partecipato mi ha incentivato a proseguire in quello che, comunque, rappresenta un diversivo alla mia normale attività lavorativa. Altri miei scritti, oltre il primo, hanno ricevuto premi e segnalazioni. Un breve racconto è stato inserito, unico testo finora edito, nell’antologia “Le voci dell’anima” (Premio Letterario “Il Molinello”)".


Racconto

"TORNANDO A CASA"

di Patrizio Poli



Era partito da casa quattro ore prima, per un tragitto di per sé relativamente breve ma che nebbia e stazza del camper avevano fatto il possibile per rendere complicato, quasi una congiura per non farlo arrivare puntuale a destinazione.
Che poi, era tutto da discutere quale fosse “casa” e quale “destinazione”. Casa, nel senso di posto dove lui viveva e lavorava, era senza dubbio Sassuolo e il mondo della ceramica che gli stava attorno. Era la provincia modenese, terra cordiale dove tanti anni prima aveva trovato un buon stipendio, approfondito conoscenze e raggiunto anche una certa stabilità sentimentale. Non si era mai sposato, ma coltivava da tempo una relazione con Vanna, ruspante emiliana venuta su a tortellini e Sangiovese, cuoca valente e buongustaia convinta, per nulla incline a rinunciare alle debolezze della carne, oltre che del palato: un rapporto che, pur tra alti e bassi, andava avanti già da una decina d’anni. A dire il vero però, solo qui al paese, il camper parcheggiato nella piazzola di sosta, la tazzina di caffé fumante in mano, Francesco si sentiva veramente “a casa”.
Era lì per celebrare la giornata del “Buon Ricordo”, avvenimento che a dispetto della pomposità della definizione altro non era che l’annuale rimpatriata con gli amici di sempre: un pretesto per rivedersi, parlare, andare per cantine, ricordare le avventure passate. E in questa occasione mogli o compagne che fossero, le donne erano assolutamente bandite: questa era una faccenda loro, esclusivamente per soli uomini…
Il punto di ritrovo stabilito (e come si sarebbe potuto concepire un luogo diverso?) era come sempre il bar “Alla Pesa”. Francesco entrò, si accomodò nella solita saletta, ordinò un Chiaretto. Avevano cambiato gestione già da qualche anno e non c’era più Monica dietro al bancone: quante ne aveva viste lei, quelle pareti, quei tavoli…
“Monica dai, porta ‘na bossa…La va’ ben anca trista, basta che la sia cara…” : già allora Aldo era uomo di quantità, più che di qualità, e se poi toccava a qualcun altro pagare la consumazione lui non badava a spese. Era quello il periodo delle maratone notturne a briscola, ed era la norma che Monica, arrivato l’orario di chiusura, li lasciasse all’interno del locale perché potessero terminare l’ultima partita, dando poi per scontata l’inevitabile appendice: bottiglia di Soave, caffé ristretto, correzione a parte. Ogni tanto ci scappava la spaghettata aglio e olio. E lei più di una volta, rassegnata e allo stremo della sop-portazione, alzava le mani e dava loro la chiave della porta di dietro, con la raccomandazione di chiudere bene quando, finalmente, si fossero decisi ad andare a casa…
Ricordi…
Come sempre i flashback si materializzavano così, quando Francesco si ritrovava seduto alla “Pesa”, e a lui piaceva lasciarsi andare a questi nostalgici amarcord. Non sapeva ancora quale sarebbe stato il programma della serata. Lui, ad ogni buon conto, arrivando in paese si era fermato a “La Forma… e il Contenuto”.
La “Forma” era stata una bottega di generi alimentari che, anni prima, il proprietario aveva avuto l’intuizione di trasformare, da piccolo esercizio qual era, destinato ad essere prima o poi soffocato dai nascenti megamarket, in un negozio di specialità gastronomiche di provenienza, e soprattutto di qualità, allora assolutamente sconosciute, che nel tempo aveva consolidato la fama e ampliato l’offerta: paste trafilate a mano, bresaole e prosciutti a rigorosa denominazione d’origine, latticini decisamente superbi e introvabili nei comuni negozi. Si era infine arricchito, per poter offrire il giusto abbinamento, di una piccola cantina con poche ma ben selezionate etichette di vini locali: Bardolino, Valpolicella, Soave, Amarone… Si usciva più leggeri, una volta passati dalla cassa, ma se si cercava del Formaggio di fossa, del Crudo che non fosse il dozzinale prodotto da grande distribuzione, del Parmigiano Reggiano che lo fosse di fatto, oltre che di no-me, la scelta era obbligata. Francesco si era premunito: aveva comperato del Monte Veronese e del Pecorino Toscano. Nella cambusa del camper, oltre all’immancabile Lambrusco, teneva in serbo anche un paio di bottiglie di Recioto bianco…
Entrare a “La Forma” era come, per un appassionato d’arte, entrare in una cattedrale o in un museo: un autentico tempio del gusto, una gioia per l’odorato e per la vista. Un’esposizione di vere e proprie opere uniche: armoniosi prosciutti allineati dietro il banco, salami e soppresse appesi al soffitto, forme di grana e grappoli di scamorze in bella mostra.
E come invariabilmente succedeva alla vista delle ammiccanti rotondità delle scamorze, a Francesco era tornata alla mente Roberta.
Di Roberta due erano le cose che gli erano rimaste impresse: una era il colore dei capelli, dalle stesse sfumature, dagli stessi riflessi ambrati di un calice di Passito. L’altra (e qui le scamorze si accollavano in pieno la responsabilità dei “cattivi pensieri” di Francesco) era, molto più prosaicamente, il sedere di Roberta: semplicemente perfetto. Anche questo, a modo suo, un’opera d’arte. Alto come quello di una ballerina brasiliana, sinuoso come l’ampolla di un fiasco di Chianti, vellutato come la pelle di una pesca, il fondoschiena di Roberta aveva sempre polarizzato l’attenzione di qualsiasi maschio capace di intendere e volere, e non solo. Lei, con la sua generosità e gioia di vivere aveva fatto del suo meglio per accontentare tutti, e sempre con la massima sincerità. Della sua relazione con Roberta, Guido allora ne parlava volentieri al bar, e non solo con gli amici: senza il benché minimo ritegno, con dovizia di particolari e tutta la platealità di cui era capace, snocciolava luoghi, tempi e descrizioni anatomiche.
Anche Francesco aveva avuto a che fare con Roberta; c’era scappata qualche gita sul lago, un paio di cene e, manco a dirlo, diversi dopocena... Erano stati bene assieme, e aveva avuto modo di sperimentare che certe considerazioni di Guido non erano affatto le sparate di un esibizionista. Lui però in queste cose aveva una sua filosofia: fare l’amore non era, come spesso sembrava per gli altri, un’esercitazione atletica o una dimostrazione di abilità circense. Era una cosa per la quale aveva troppo rispetto e non gli sembrava fosse il caso di metterla in piazza o ridurla a merce da “Bar Sport”. Ma la perfezione dei seni, l’armonia dei fianchi, l’odore della pelle di Roberta erano un ricordo ancora vivo nella mente di Francesco, anche a distanza di anni. Indelebile e inebriante come l’aroma di un bicchiere di Amarone o il profumo di quella rosa rossa che da sola era bastata per conquistarla. Roberta e le sue curve: anche quelli erano paesaggi da ricordare, anche quelli erano sapori di casa sua...
Di tutt’altra pasta si era dimostrata Vanna. Per lei non erano serviti fiori: erano state invece necessarie due bottiglie del miglior Recioto per averne ragione (ma forse era stato il contrario, ancora adesso non avrebbe saputo dirlo con certezza)… Con lei aveva avuto modo di apprezzare la differenza tra i tortellini fatti in casa e gli sfogliavelo delle sue parti, tra un Albana e un Lugana, tra le donne di Modena e quelle di Verona. Trovando, in questo campo, difficoltà di scelta ancora maggiori che tra un piatto di tagliatelle e una pastissada de caval. E dovendo convenire che anche le Vanne non erano da meno delle Roberte…
Ricordi…
Ricordi da centellinare senza fretta, come un buon bicchiere di vino. E cosa importava se la nebbia nel frattempo si era fatta più fitta, e gli amici tardavano ancora…
“E’ un po’ come avere a che fare con una bella donna o con un vino d’annata: sai che dovrai avere pazienza, ma alla fine entrambi ti ripagheranno dell’attesa...”
Il fascio dei fari attraverso la porta a vetri gli suggerì l’arrivo di un’auto. Guardò attraverso le tendine: le tre silhouettes scese dalla vettura gli apparvero inconfondibili.
Fece un cenno al barista:
“Per favore, olive e quattro calici di Soave fresco…”
Ecco, adesso sì era veramente tornato a casa.

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