venerdì 24 ottobre 2008
il polo nord e il polo sud
Vino d'amore, Mushtaq Noor, 2002
Buon compleanno a Roberto Torre, autore del racconto "Il polo Nord e il polo Sud" per il concorso di Villa Petriolo "I giorni del vino e delle rose"!
Roberto Torre è nato a Pescia (PT) il 24 ottobre 1973 e risiede a Pistoia.
Laureato in Lettere all’Università di Firenze, scrive per passione. Ha partecipato ad un solo concorso letterario, “Un racconto per San Marcello”, classificandosi quarto con il racconto “La borsa”.
Racconto
"IL POLO NORD E IL POLO SUD"
di Roberto Torre
“Potresti scrivere un racconto […] su un uomo
e una donna. Ma l’uomo e la donna saranno
sempre i due poli del racconto. Il polo Nord
e il polo Sud. Ogni racconto ha questi due poli
lui e lei”
A.P. Čhechov
Scoppiettii del camino, sala illuminata solo da una tenue luce; i due siedono l’uno di fronte all’altra, in mezzo, sulla superficie levigata ma irregolare del tavolo, due calici; accanto, la forma allungata di una bottiglia di vino rosso. È identica a quella che molti anni prima, precisamente quindici anni e tre mesi, avevano allegramente stappato degustandone, con un godimento che non avrebbero mai più provato, il prezioso contenuto. Erano entrati, titubanti ed insicuri, nel salotto di quella che era diventata, dopo una lunga serie di ardue ricerche ed estenuanti lavori, la loro casa.
I corpi avevano poi dettato i tempi di quella lontana serata di luglio seguendo attentamente le disordinate direttive dei loro cervelli completamente imbevuti di un impulso irrefrenabile. Un’onda rossa e profumata aveva allagato la stanza trascinando i due amanti, senza ch’essi quasi se ne accorgessero, tra le lenzuola di un letto ancora non del tutto assemblato e circondato da pile di scatole di cartone. Se i corpi fossero volati fuori, lasciando i loro effimeri duplicati in balia di quei due cuori, nel cielo caldo e profondamente blu di quella serata d’estate, avrebbero potuto vedere, attraverso una finestra illuminata da un balenio traballante, due anime avvinghiarsi e rotearsi tra i loro scivolosi umori, rese divinamente ingenue ed autentiche da un prezioso liquido rosso. Il vino non sa mentire, non sa ponderare; il vino è puro istinto primordiale.
Lei, come suo solito, tiene, tra pollice, indice e medio, una ciocca di capelli neri; la avvolge su se stessa con rapidità inquieta; ha un’incontrollabile voglia di piangere. Non ci riesce però. Si versa del vino, ne osserva il colore rubino ponendo il bicchiere su quella linea immaginaria che unisce i suoi occhi alle saltellanti fiamme del camino; beve, sorseggia, lascia che quel ciclone nero di essenze le scorra nell’esofago scaldandole i tessuti assiderati dal freddo glaciale in cui le loro anime sono immerse stasera: lei al polo Sud, lui al polo Nord.
Beve, sorseggia anche lui, e quella serata di quindici anni prima li raggiunge improvvisamente: una terza presenza, un filo tenue, l’unico che lega due mondi emotivi adesso così discosti.
L’avevano comprata in una fresca e briosa cantina la bottiglia che adesso lui ha posato di nuovo sulla superficie legnosa ed irregolare del tavolo, durante uno dei loro frequenti “tour degustatori” estivi; partivano in sella alla loro Vespa Px bianca con l’unica intenzione di assaggiare il più alto numero di vini per poi lasciarsi trasportare da ciò che sarebbe sbocciato loro dentro. Era un viaggio intimo che assumeva significati inaspettati; dopo era come raccontarsi e condividere un pellegrinaggio che era sì materialmente lo stesso, ma che assumeva, alla luce di quello che era stato il loro personale percorso di vita sino ad allora, caratteri e connotati completamente diversi.
Le passate esperienze, i ricordi più o meno seppelliti dal tempo, riaffioravano alla mente di ognuno di loro sotto forma di odori o sapori; era un’esperienza unica di conoscenza e di acquisizione dell’altro; avvertivano, nel compierla, un turbamento molto simile a quello che lega due corpi nudi attraverso un banale ma voluttuoso incastro.
Avevano deciso di comprarlo, quel vino, in una calda ma piovosa giornata quando, colti da un improvviso temporale, abbandonata la vespa alla pioggia e rifugiatisi nelle sale di una grande cantina che offriva anche diverse cibarie, avevano mangiato e bevuto: il rosso consigliato dal fattore era sembrato loro così buono da acquistarne altre due bottiglie. Una l’avrebbero aperta una volta messo piede nella casa da comprare e ristrutturare, l’altra quando fosse arrivato un figlio ad occuparne una delle stanze.
La seconda bottiglia è adesso sul tavolo, stappata; nella loro camera c’è il letto, ora perfettamente assemblato; l’altra camera è vuota.
Lei, pur spremendo ogni sua residua energia, non sa ricollegare ad un evento preciso delle loro vite, né ad una vera e propria causa, questa loro attuale e siderea lontananza. Non sa collocarla in un punto preciso del loro percorso: c’È; come è rosso questo vino.
Per questo forse gli ha fatto trovare stasera, sul tavolo di casa, quella seconda bottiglia. Perché li aiutasse a rintracciare le ragioni dell’atto ineluttabile ch’essi avrebbero dovuto compiere già da un po’ di tempo; perché non stasera? Aveva pensato nell’attesa di sentire la chiave girare nella toppa.
Lui, una volta visti bicchieri e quella bottiglia, aveva intuito subito la domanda.
Quel vino che aveva sin lì rappresentato tutto ciò che erano, supremo simbolo dell’unione delle loro essenze, adesso, in mezzo a quel salotto illuminato e riscaldato dalla tiepida ed effusa luce del camino, figurava tutto quello che non erano più. La stanza divenne il palcoscenico per la rappresentazione della loro personale tragedia.
Ecco che la guancia rossa di lei sente passare la prima lenta lacrima sospinta sin lì dalle immagini riesumate dalla lontana terra del ricordo. Le dita volteggiano in modo da far mulinare il liquido sulle pareti vitree del bicchiere: il suo naso è attirato in modo quasi dispotico da quel turbine di essenze e lei porta impulsivamente, con fare brusco e disperato, la bocca del bicchiere contro le sue narici. Forse cerca in quel ricetto il senso perduto della loro unione. Col vino vorticano nella sua testa i fotogrammi disordinati del loro personale film.
Silenzio.
Egli vede quella piccola goccia d’acqua attraversare il viso di lei; non prova compassione; in lui tutto è prosciugato; tutto il mare di sensazioni che lo legavano a quell’essere umano è d’un tratto sparito, nemmeno una pozza d’acqua ne rimane. Ad ogni buon conto prova gratitudine per quella donna che aveva creduto, in un passato non troppo lontano, “sua” per sempre. In questo preciso istante, inaspettatamente, la ama; l’ama intensamente perché ha avuto l’animo di fare ciò che egli, per mera vigliaccheria, non avrebbe forse mai osato fare.
Ma pensa anche che sarebbe stato bellissimo avere adesso di fronte a sé solo quella bottiglia; se lei, invece di essere presente con il suo corpo mortale, si fosse presentata con i sublimi ed eterei contorni del passato riesumati grazie agli odori ed ai sapori di quel vino così dannatamente buono. L’avrebbe portata a letto quell’immagine; la copia, a volte, può essere più bella dell’originale.
Beve ancora e quel sorso rovente gli dona un po’ di compassione; la guarda; i loro occhi si incrociano ed hanno come un cenno di intesa. Quelli di lui aridi e desolati come un deserto, quelli di lei madidi di pianto. I loro silenzi si domandano dove e quando si spezza quel congegno fragile e delicato che aziona all’unisono due cuori; se il nostro cuore se ne accorge, se un pochino si incrina comunicandolo al nostro sordo corpo attraverso piccoli ed indecifrabili doloretti.
Le loro anime lasciano adesso le bocche a svuotare la loro ultima bottiglia, quella bottiglia che, nonostante tutto, non ha saputo riavvicinare i due amanti; anche il divino Bacco può fallire. O forse no, non ha fallito, ha unito quando doveva e diviso quando era necessario; cosa pretendere di più da un dio?
Le anime volano via, una al polo Nord ed una al polo Sud.
Forse un altro vino, forse in un’altra vita, le riunirà per poi, quando sarà il momento, dividerle di nuovo.
La chanson des vieux amants, Jacques Brel
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