giovedì 6 novembre 2008

lo scambio


Tanti auguri di buon compleanno a Katiuscia Ceron, autrice del racconto “Lo scambio” per “I giorni del vino e delle rose”!


Katiuscia è nata il 6 novembre 1973 a Milano e risiede a Casalmaiocco (LO).
Dopo la Laurea in Lingue e letterature straniere all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, lavora presso una scuola privata di lingua inglese (Direct English) in qualità di coordinatrice didattica e commerciale. In seguito ha collaborato nel settore della comunicazione presso la società finanziaria regionale della Lombardia (Finlombarda Spa) per quattro anni e, successivamente, per tre anni presso una società di brokeraggio francese. Attualmente Katiuscia si occupa della segreteria scientifica presso il Parco Tecnologico Padano di Lodi, Centro di ricerca gnomica vegetale e animale.


Racconto

"LO SCAMBIO"

di Katiuscia Ceron



I colori del tramonto nella campagna filtravano dalle leggere tende di organza, solleticate dall’alito di quella magnifica serata di fine agosto.
Lei riconobbe il cigolio di ruggine della vecchia bicicletta avvicinarsi sullo sterrato e si allargò in un sorriso.
Aprì la porta e attese, placida, che lui aprisse per lei le danze.
- Buonasera Ada, stasera è un Rosso! - Esclamò lui porgendole la bottiglia panciuta e tiepida. L’ombra di un inchino appena accennato proiettata sul muro velò in parte i numerosi riconoscimenti appesi, prestigiose tracce di un passato senza ritorno della grande sommelier che fu.

Il rifiuto del corpo si era opposto, improvviso e crudele, al desiderio dell’anima.

Il viso le si illuminò. - Speravo lo fosse! Vogliamo accomodarci? - Propose allegra.
Passi veloci e impazienti condussero il suo ospite nel patio in giardino; sul piccolo tavolo rotondo in ferro battuto un mazzo di tulipani bianchi, una lunga candela già accesa e un solo grand ballon di fine cristallo.
- Allora, è pronta?
Senza osare guardarla, tanto era bella, le porse il cavatappi.
Lo scintillio screziato dello sguardo di lei infiammava ormai da mesi la passione di lui. Quegli incontri intimi a tre, rigorosamente puntuali, bramati da entrambi, seppure per motivi diversi, erano preziosi e segreti scrigni.
Ada iniziò il rituale. Prese il coltello affilato, incise la capsula e pulì accuratamente il tappo e il collo della bottiglia, poi infilò la punta elicoidale argentata nel sughero, affondandola.
A ogni giro di spirale il suono plastico e straziato del sughero diveniva sempre più intenso in un crescendo che, nel lungo risucchio del tappo, culminava sordo e discreto, nell’eco della sera.

Silenzio.

Avvicinò il tappo al naso e ne aspirò, sapiente, la nota legnosa e amaricante. In quel gesto lui rivedeva ogni volta le istantanee di una dama intenta a tamponarsi il collo col tappo di una boccetta di unguento profumato.
Appoggiò quindi la bottiglia sul tavolo e si lasciò sprofondare sulla sedia, le braccia sciolte sul grembo, le lunghe gambe accavallate.
Il sorriso carnoso e cerasuolo, carico di attesa, indusse il suo invitato al corteggiamento.
L’uomo strinse tra le proprie mani la bottiglia. Ada, in quei precisi istanti, vedeva nella verticale della sua immaginazione il suo corpo avvitarsi tra le onde, nella sfera trasparente.
- Mi dica ora, che voci ode? - Esordì eterea, quasi a riemergere da un’apnea nei solchi della memoria.
I fiotti di vino galoppavano sanguinei, ribollendo di un gorgoglìo amaranto, l’aroma si sprigionava a flutti.
- Sento giovani audaci puledri di corse libere in praterie, di schiocchi di fruste e nitriti selvaggi. - Così dicendo il cavaliere alzò il collo della bottiglia dal bicchiere, come a tirare le redini e domarne l’impennata.
Ascoltavano, in silenzio, i racconti che il vino tesseva nella sua memoria. La trama dei ricordi bussava alle porte di quella sera insieme alle immagini sempre nitide di un passato che tornava a scorrere; un passato di genti di campagna, di ceste ricolme, di danze ubriache d’amori giovani. Ricordi piegati sulla linea curva di schiene intente a raccogliere acini e, tutt’intorno, canti alle stelle.
Lui le avvicinò il bicchiere per mostrargliene le sfumature, ma lei si ritrasse garbata.
- Come desidera, Ada. E’ un bellissimo velluto, una tonalità scura e decisa, non disposta a indulgere in riflesso alcuno. Per rivelarne le discrete trasparenze devo costringermi a denudarla in controluce - bisbigliò lui fissando il fondo scuro, attrazione ipnotica e grande concentrazione.
- Ci vede una donna quindi… - Esplorava leziosa, con fare civettuolo, una punta di invidia rosa. Consapevole seduzione.
- Oh no, non semplicemente. Questa che ho di fronte è una femmina assoluta - ricamò lui con voce dolcissima, sfiorando la curva del vetro.
L’uomo avvicinò la candela alla rotondità del cristallo e ne scrutò attentamente il gioco di colori. Scosse lentamente la testa, gli occhi attenti, socchiusi in fessure a riconferma dell’impressione: - Niente da fare. E’ troppo pudica. Non si scopre. E’ convinta di essere rossa e non permette ad altre nuances di adulterarla.
- Oppure ha semplicemente scelto la propria essenza e non è disposta a confondersi. Ha carattere e identità! - Rispose lei con un motto di autocelebrazione. - E poi? - Lo incalzò.
- E’ viscosa, scorre densa e si rincorre, lenta, avvolgendo con ampi archi le pareti sferiche. Come secchiate di vernice vermiglia su uno specchio colano gocce di rubino, lacrime di sangue di una donna, tradita forse. - Pronunciò quelle parole facendo ondeggiare il liquido granata. Le pupille torbide, di riflesso.
Ada sorseggiava ogni goccia di quell’elogio, gli occhi chiusi, nel dilagante piacere che sentiva avvicinarsi felino, parola dopo parola, stilla dopo stilla.

Tramonto.

- Continui, non si fermi ora, la prego. - La sete dei sensi la rendeva avida e, al tempo stesso, lacerata nel voler rallentare, per non finire tutto, non subito.
- In questa sera di fine estate, il caldo la vorrebbe più evanescente, eppure si riconferma la sua nota dominatrice che rilascia un profumo decisamente evoluto. Colgo sentori di prugna, miele selvatico, cosce accaldate e selvaggina fresca, ancora pulsante di sangue. Il frutto è un po’ amaro ma sincero. Aspetti… Sì, ecco anche una nota di resina.
Ada chiuse ancora gli occhi, rovesciò i riccioli neri all’indietro e inspirò profondamente l’aria. Riusciva a cogliere ogni singola essenza descritta, le parole di lui si nebulizzavano in fragranze che lei odorava; era come se sentisse le sue mani accarezzare intarsi di fine cesello.
- Eccola, la sento, è ambra forse? E mi dica, il finale, com’è?
- Ah, il finale è lunghissimo al naso. Ha molto da raccontarci del suo passato. Non credo si possa giudicare solo in una serata, si correrebbe il rischio di commettere errori o indurla a raccontarci bugie.
- Si racconta che la verità si nasconda nel fondo di un bicchiere, deve svuotarlo per stanarla!
Il linguaggio perfettamente sincrono scorreva su binari a codice esclusivo, ad altri intraducibile, unicamente e solo loro. Le sensazioni di entrambi combaciavano come una macchia di tempera schizzata su un foglio poi dispiegato a metà.
Lui annuì. - Convoglia gli aromi velocemente e consente un’entrata decisa in bocca, tornano le note di frutta matura, amarene, di polpa che quasi riesci a masticare. La bocca è ancora piena, il finale qui è caldo e generoso di confettura di frutti rossi e di mandorla tostata.
L’uomo schioccò la lingua sul palato, lei percepì il retrogusto tannico e felpato e di riflesso si inumidì le labbra con la lingua.

Estasi.

Lui vuotò il bicchiere. Lei chiuse gli occhi e si addormentò profondamente, ebbra di un esercito di sensazioni euforiche, ancora febbricitanti. Lui le si accostò e posò un bacio sulle gote che si erano caramellate, congedandosi silenziosamente nel fresco tepore della notte.
Imprigionato in un gracile e sgraziato aspetto lui rifaceva così l’amore, ogni martedì, con quella bellissima donna di cui si era perdutamente innamorato e con la quale sapeva che ogni estasi terrena gli era preclusa.
Lei, grazie a lui, era tornata a riassaporare, anche se solo nelle iperboli della sua mente, le lacrime di Dioniso, finalmente sprezzante della spietata allergia al tannino che l’aveva colpita improvvisamente e alla quale, ora, levava il calice, vuoto.

"Notre Dame de Paris"
- Quasimodo, Da bere

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Racconto al quale levo il calice e porgo i miei omaggi più vivi.
Brava Kati!
Lo sai che è solo l'inizio vero?
Brindo a noi e all'euforia di vivere che spumeggia debordante ogni volta che guardiamo dentro, incuranti del resto, felici di essere (coniugato al maschile futuro indicativo).

silvia ha detto...

Un caloroso in bocca al lupo alle nostre due prossime romanziere Kati e Michelle...ma a che punto è la fatica letteraria?!!! Tenetemi aggiornata!
Un abbraccio a tutte e due grazie davvero di aver partecipato al concorso di Villa petriolo con i vostri bei racconti.
Buona scrittura, a presto!