lunedì 17 novembre 2008

siediti con me


Aldo Marrone, Anima di vino




In omaggio al fenomeno delle coincidenze, si pubblica oggi 17 di novembre il bel racconto di Michèle Van Der Schott, "Siediti con me". Festeggiamo il fascino degli incontri casuali, che poi tanto casuali non sono, e la forza misteriosa di nuove creazioni di energia e di onde positive che nascono dalle coincidenze. Sister Saimon insegna…


Michèle è nata a New York (U.S.A.) e risiede a Paullo (MI). Dopo la maturità classica, si laurea in Lingue e letterature straniere (francese e inglese). Le sue esperienze professionali spaziano da scambi e cooperazione internazionali, con mansione di coordinamento e gestione, ad una consolidata esperienza come interprete, traduttrice e revisore di bozze. Michèle è appassionata di studi umanistici, di letteratura francese e comparata in particolare, psicologia dello sviluppo, scienze biologiche ed ambientali, escursioni, danza e musica contemporanee.


Racconto

"SIEDITI CON ME"

di Michèle Van Der Schoot




NOTA PER IL LETTORE

Vorrei lasciarti, caro lettore, il piacere della scoperta. Ma non vorrei che non fosse tale. Per questo ti anticipo che stai per sentire una storia a due voci. Una è la mia, che riconoscerai dal colore della mia scrittura; l’altra è una seconda voce, insolita, che non ascolta mai nessuno. Non posso dirti di chi sia: te lo dirà lei stessa. Il suo colore è il rosso. (su DiVINando il rosso è sostituito dal carattere grassetto, ndr)

________________________________________________________________________________


Siediti con me. Sono la storia da raccontarti.

Roberto scelse l'ultimo tavolino ancora bagnato di sole e si sedette ad aspettare un cameriere che si accorgesse di lui.

Una briciola.
Non sono che un frammento del cibo che è stato servito a questo tavolo.


"Accidenti a me, proprio l'unico tavolo che non hanno sparecchiato, sono andato a pescare!" pensò con stizza, ma le gambe non davano segno di volersi rimettere in moto, drenate di stanchezza.

Tu non mi sai leggere. Non mi hai neppure visto.
Se tu aprissi gli occhi sino a me, forse potrei dirti cosa è successo.
Lei era qui. È lei che non mi ha mangiato, che non mi ha bevuto.


Il suo sguardo errava sui resti di un pasto consumato poco prima. Si posò su una briciola, poi fu calamitato dallo scintillio scarlatto sul fondo di un ampio calice.

Lei era qui. È lei che non mi ha mangiato, che non mi ha bevuto. E se non l'ha fatto, se non mi ha presa dentro di sé, non è che non mi volesse. Mi ha lasciata qui ad aspettare te. Mi ha lasciata qui perché potessi parlarti.
Possibile che tu non ci senta gridare?


Sorrise alla briciola e al suo abito di riflessi rossi: gli avevano fatto tornare in mente la voce remota di nonna Ines, quando gli raccontava fiabe di bimbi e sassolini e pane, nel bosco. Si lasciò pervadere da una nostalgia dolceamara.

No, tu non ci senti, come tutti, come sempre. Siete abituati a leggere solo ciò che è già decifrato, cibo precotto anche per la mente, risparmiate tempo e perdete vita.
E nel frattempo, ogni giorno ad ogni istante, solcate ignari un tappeto di orme, inestricato intreccio di storie vissute e viventi che, per abitudine o necessità, non cercate neppure di raccogliere o delineare. Ascoltami questa volta: torna curioso dei racconti su cui posi i piedi, non oltrepassare il nostro cicaleccio senza aver prima accolto i nostri doni.


Il cameriere tardava; Roberto prese il calice e iniziò a ruotarlo, gustandosi la danza dei colori che incendiavano la tovaglia bianca.

Bravo. Fermati. Chiudi gli occhi. Respira, tienili chiusi, ascolta il tuo battito, l'aria che entra ed esce ritmica dal tuo corpo, attraverso il sangue. Imbavagliare la retina è un primo passo per riuscire a far defluire l'ingorgo delle immagini. Lasciale scorrere, non avere fretta.

I gelsomini profumavano il dehors dell'osteria con i loro segreti serali, subentrando avvolgenti e discreti alle essenze diurne. Nella scia odorosa distinse netta la traccia delle gocce di vino, che il calore del sole e della sua mano avevano liberato dal fondo rossastro del bicchiere, e chiuse gli occhi.

Dì un po': cosa significa sapére? Era sàpere, tanto tempo fa. Conoscere (attraverso) il sapore.
E allora, maledizione, as-saggia-mi!
Così, forse, a piedi scalzi, ad occhi chiusi, riconoscerai tra le foglie del vino che sono, l'odore della pelle che è lei.


Avvicinò il bordo sottile al suo naso. A palpebre chiuse, l'odore del vino riempì la sua mente di fotogrammi in ordine sparso, pellicola consumata senza più né capo né coda. Vide affiorare il viso di Lea che rideva e gli sfuggiva e si arrestava, mentre lui giocava a rimpiattino col coraggio di dirle parole più grandi delle loro spalle nude.

Te la ricordi la sua pelle? Tremava, sotto i tuoi polpastrelli. Io sono nettare dello stesso seme. Un anno fa, la scorsa vendemmia, la mia stessa radice, un chicco d'uva sorella vi diede una goccia, una come me. E lei la bevve, dal tuo mento, lenta e felice gatta al sole. Tu guardavi lei e lei invece aveva gli occhi fissi su quella goccia, prima di berla. Si fece liquida lei stessa. Tutta l'anima sua era in punta di labbra, quando si posò sul tuo viso. Solo dopo serrò le palpebre. In pochi millimetri di pelle, quella mia goccia sorella fu il sangue suo in te e tuo in lei. Mi bevve: la sua lingua mi condusse dolce al palato che accarezzai. Il mio sapore fresco commisto a quello tiepido e appena salato del tuo sudore: penetravamo in lei leggeri, uniti nel respiro che le permeò la mente. Lei appoggiò lieve i denti sulla tua pelle; solo allora scopristi stupito i muscoli del tuo mento, che le si offrivano fieri, narcisi e compiaciuti dell'attenzione finalmente tributata.

Il ricordo era così intenso, così vivo, che gli pareva ancora di percepire il gusto misto di quel vino corposo sulla pelle di Lea riarsa dal sole.

"Posso portar via?"
La voce del cameriere ruppe il silenzio come cristallo infranto su marmo. Roberto lo guardò con gli occhi sgranati e inebetiti di un gufo al sole.
"Mi scusi, posso portar via?"
"Sì. NO! No, mi scusi... Posso ordinare?"
"Veramente stiamo per chiudere, sa, la domenica dopo le merende chiudiamo, non facciamo cene."
"Le merende?" chiese Roberto sbattendo le palpebre ancora lente.
"Sì, bruschette, schiacciatina, crostini al fegato o con salsa verde, panzanella..."
"Ah ecco, capito. Beh allora niente cena... Se non è un problema però le chiederei una cortesia. Potrei avere almeno un bicchiere di vino?"
Il ragazzo sorrise, con la freschezza luminosa dei suoi vent'anni.
"Certo, quello non si rifiuta a nessuno! Vino della casa?"
"Faccia lei, purché sia quello che stavano bevendo a questo tavolo."

Bene, amico mio... Hai trovato la traccia e ora vai avanti da solo… Finalmente! Certe impronte sono indelebili: fatte di sabbia come i ricordi, il calore delle emozioni le vetrifica, dando loro la permanenza di segni che riemergono a tratti nel bagnasciuga della memoria...

Il ragazzo tornò portando un calice vuoto e una bottiglia di rosso aperta, dal nome sin troppo familiare. Posò tutto sul tavolo e mostrando l'etichetta aprì la bocca, sipario alzato sulla lezione a memoria.
"Lasci, grazie. Lo conosco e se permette me lo verserò da solo."
Il cameriere restò imparpagliato alla vista di Roberto che con tutta disinvoltura si versava il vino in un bicchiere sporco, già usato da chissà chi.

Ne bevve appena un sorso; quindi chiuse di nuovo gli occhi e si diede il tempo di percorrere il sapore.
E il sapere.

Prese carta e penna dalla tasca della giacca e si mise a scrivere, di gran fretta.
Piegò il foglietto in quattro, preparò una banconota sufficiente per il vino e per farsi ricordare dal cameriere e lo raggiunse dentro l’osteria.

“La prego: la signora che era seduta al mio stesso tavolo prima di me… Se la ricorda?”
“Mi pare di sì, un viso fine, con un vestitino chiaro…”
Roberto rise fra sé, riconoscendo la piacevole persistenza di Lea nella mente di chi si fermava ad osservarla, anche per poco.
“Credo che questa appartenga a lei, l’ho trovata sul tavolo” disse porgendo al ragazzo una vecchia ed elegante stilografica.
“Tornerà senz’altro a prenderla. Quando gliela dà, potrebbe consegnarle questo da parte mia?”

Il cameriere dubitava ormai di se stesso, cominciando a chiedersi se non stesse vivendo un sogno surreale. Poi vide la mancia, guardò l’aria tanto serena quanto determinata del suo interlocutore e decise di non porre domande.

Quando fu solo però non resistette alla curiosità di leggere:

Ieri
gocce di uva ametista
si rincorrevano allegre
sulla tua pelle riarsa
e invitavano il tempo
a dimenticare se stesso.

Oggi, di nuovo,
il nostro vino;
ma dove sono i rivoli
che la tua pelle nuda
porgeva alle mie labbra?

Ho sete di te, hai bisogno di me, non ho più paura.
Torna.
Per un’umana, fragile, assoluta eternità.
Per sempre.

Sempre… Strana parola, in bocca ad un essere umano. La sua bellezza sta tutta nella sua fragilità.


Summer Wine, The Corrs e Bono Vox

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Michelle, ti riconosco fra i sintagmi, fra i vermigli più che fra i neri, nel tuo oscillante lessico. Raffinato, ricercato, ma sempre vivo, intenso...
Ricordo vivido quel sapére, conoscere attraverso il sapore.

C'era della luna a importunare i segreti della mia notte senza sonno... i segreti sono felici disordini che si scalzano l'un l'altro nell'impazienza di plasmare le parole perfette...

silvia ha detto...

una recensione suggestiva, cara donnagatta...ci farai compagnia nell'edizione 2009 del concorso di Villa Petriolo? Una penna leggera, intinta nelle emozioni. complimenti.
a presto. e brava michelle!

Anonimo ha detto...

Brava, brava Michelle...davvero.
Edizione 2009?? Chissà se sarò ancora qui, o su Marte, Saturno, o Venere...

silvia ha detto...

la gatta miagola alla luna...ma con le zampine ben piantate in terra, di solito...ovvia, donnagatta, partecipa!

Anonimo ha detto...

Ho sparso briciole intorno a me, donne e gatte; briciole perché Pollicino potesse trovarmi; perché il pettirosso si posasse a mangiarle, inghiottendo con esse il suo ritorno a casa; briciole perché il gatto ghermisse l'uccellino, e forse il fanciullo possa tornare; briciole perché noi, donne e gatte e fanciulli e pettirossi, ci si lasci avvolgere dalla notte inquieta, silenziosa, quieta. Buio, vita che ti prepari a nascere.
Un grazie con inchino mesdames, per i briosi complimenti.

silvia ha detto...

cara michelle, grazie....oggi ci racconti un altro racconto, dove la vita si fà fiaba, trama conosciuta a memoria. Eppure. Eppure, chissà dove conducono le briciole...
a presto ed ancora complimenti!

Michele ha detto...

Il profumo del vino inebria dal primo tratto all'incrocio con il tuo sguardo.

L'essenza della briciola, viva e vitale nei riflessi brunati, volteggia sin negli angoli delle tempie.

Michelle, hai trovato qualcosa: assaporarla al palato è dovuto al vino, sugellarla alle labbra un tributo alla briciola.

Non disperdere nulla di questi momenti.

Complimenti, miei, non solo allo splendido tributo ai sensi.