domenica 14 dicembre 2008

i giorni del vino e delle rose di ajdi jakupi


Per la raccolta dei testi in concorso per "I giorni del vino e delle rose", si pubblica oggi il racconto di Ajdi Jakupi.

Ajdi Jakupi è nata a Durazzo (Albania) nel 1989 ed abita a Cameri (NO).

Nel novembre 2003 ottiene una menzione di merito per il racconto “Elisir” nel concorso letterario internazionale “Vileg novella dal Judri – Racconti di…vini”; nel maggio 2004 vince il III premio col racconto “La nostra America” nel concorso letterario nazionale “Novelle dal vero”.




Racconto

"I GIORNI DEL VINO E DELLE ROSE"

di Jakupi Ajdi


Mi piace il vino.
Mi piace vederlo rovesciarsi e schiantarsi sugli scogli di vetro, per poi ricadere in un’onda inafferrabile. Poi il silenzio, dopo la tempesta.
Mi piace l’odore del vino.
Quell’odore che non riesco ad allontanare, quell’odore che quando ti si attacca diventa la tua stessa essenza. Un’ombra.
Appiccicoso, nauseante e seducente. Una droga che entra dalle narici fino a riversarsi nel sangue. E arrivato lì non si riconosce più.
Di un rosso sporco.
Sporco di vite, di aria e di sole, sporco di mani, di acini, di cantine dove invecchiato ristagna nel buio. E lì nel buio l’odore diventa forte, più forte, sempre più forte.
E’ rosso, sporco, maleodorante.
E’ rosso sangue.
Vi presento il mio migliore amico.


E’ vecchio, puzza.
Come me. Ed è questo che ci accomuna. Quell’odore di fallimento che induce gli altri a storcere il naso al mio sudicio passaggio.
Lo guardo, quando mi sta dinnanzi, il mio migliore amico.
Lo guardo e ci vedo riflessa la mia faccia. Le mie occhiaie che mi restituiscono uno sguardo inespressivo, alienato, le guance scavate, la puzza.
Quanto siamo simili…
Il mio migliore amico non mi tradisce, ed è per questo che è il migliore. Bisogna sempre avere un amico, giusto?
Allora perché io non posso sceglierlo così simile a me? Rosso? Che puzza.
Ma il riflesso con cui mi ricambia mi lascia quasi annaspare nella nebbia.
Una nebbia rossa. Rossa di sangue.

Non ricordo.
Quasi non ricordo nemmeno come si fa a ricordare. Ma non è necessario, giusto?
E a me tanto non interessa.

Ma al mio amico sì.
E’ lui che mi strappa i ricordi e intinge il suo pennello. Sembra quasi un pittore impressionista. Così bravo che quasi sembra tutto reale. E la tela è rossa.

E’ stata lei a lasciarmi, amico mio. Lo sai.
Oh, come lo sai… E li ricordi anche tu i vicoli di Genova. Quella salsedine nascosta nell’aria, un’aria buia, opprimente. E il mio odore, che è anche il tuo. Tu eri lì, con me, quella sera.
Amico mio, siamo rimasti soli. Ma a me non sono mai piaciuti i coltelli.

Me li ricordo i suoi capelli neri.
Tu me li fai ricordare, amico mio.
Mi costringi a pensare a lei. Ma lei è andata, scappata, fuggita via.
A lei non piacevi. Ma io odiavo i coltelli, sai? Eppure l’idea è stata tua.

Puzzi sempre di più, amico vino. Siamo soli, tu ed io. Io seduto in questa casa vuota, disadorna, e tu di fronte a me, e mi guardi. E mi parli?
Ma mi fai dire cose che non voglio.

Le regalavo sempre rose rosse.
Mi piace il rosso. E ne infilavo sempre una tra i suoi capelli.
E quasi sembrava una gitana, una danzatrice di flamenco.
Così intrigante, con la sua chioma di fuoco.
Ma mi ha lasciato. Ha deciso di andarsene, perché tu non le piacevi, amico mio. E per questo dovrei odiarti. Perché sei stato tu a portarmela via. Mi hai derubato di quelle rose che amavo, di quel loro profumo. Di lei, di Rosa.
La amavo, amico mio.

Tu sai cos’è l’amore? No, non puoi.
Peccato.
Nemmeno io.
Credevo di sapere, ma ora non so più. E ringrazio te, per quelle verità che non sai di dire con il tuo silenzio.

Rosa ormai non profuma più di nulla. Non ha più l’odore delle rose.
Ora sa di terra e di morte. Di vicoli chiusi e maleodoranti. Ora profuma di Genova. Perché è stata Genova la sua ultima aguzzina, l’ultimo messaggero di morte.
E’ Genova la sua assassina.

Non mi piacciono i coltelli.
Sono freddi.
Sono crudeli.

Amico mio, chissà perché hai scelto me, tra tanti. Siamo simili forse, eppure non lo eravamo.
Lo siamo diventati, sempre più intimi.
Tu mi conosci.
Io no.

Non conosco te e nemmeno me stesso.
Non conoscevo nemmeno Rosa. Però lei, ora, non c’è più.
Ma non avrei voluto usare un coltello.
Sarebbe stato meglio se le avessi messo le mani lì, intorno a quel suo bianco collo. Avrebbe ricordato le mie mani.
Ora invece, so che quello che si è portata nella tomba è stato il mio odore.
Il nostro odore, mio vecchio amico vino.
Il nostro odore che sarà rimasto nelle sue narici, e ci rimarrà per l’eternità.

Rosa, Rosa…
Poteva andare tutto diversamente.
Ma mi aveva lasciato.
Amico mio, tu lo sai. Non mi guardare in questo modo. Non ho colpa di nulla. Noi non abbiamo colpe. Noi esistiamo l’uno per l’altro. Il resto non conta.

Conta solo questo odore.

Lo senti? Lo senti anche tu l’odore dei miei pensieri?
Perché non lo usi per dipingere? Lo sai fare bene. Non importa se di rosso.
A me piace il rosso.
Dipingi le rose, avanti. Dipingi lei. Dipingi Rosa.
Tanto poi tutto svanirà.
Non c’è più nulla di reale.
Le mie parole si perdono in questa nebbia.
Lo senti anche tu questo rumore? Sembrano passi che si avvicinano.
Ma è tutto illusione. Non c’è nulla di reale.
Sono le onde che si scagliano sulle rocce. Il respiro.
E’ Genova che respira.
E’ Genova che dorme.
O fa solo finta. E quando meno te lo aspetti ti fagocita. Ti rende come lei.
Stesso odore, stessa voce, stesso respiro.

Toccherà anche a noi, amico mio. Non vivremo insieme per sempre.

Rosa avrebbe preferito l’acqua alla terra.
La terra è sporca.
Lei avrebbe voluto una tomba d’acqua.
Ma tu non hai voluto, tu non mi hai lasciato. Tu hai preso il coltello e l’hai quasi accarezzata lì sulla gola. Non le hai fatto male. Hai guidato la mia mano, e l’hai fatto bene. Delicatamente.
Lo sai fare bene.
Tu arrivi piano piano, un passo alla volta, un sorso dopo l’altro. E cominci a crescere dentro di noi, noi che non sappiamo dirti di no.
Fino a impadronirti di tutto. Fino a sottomettere gli altri al tuo volere.

Lo sai fare bene. Sì. Talmente bene che noialtri non ce ne rendiamo conto, o se lo facciamo, non diciamo niente.
Hai carta bianca.
E tu poi, di noi, fai quello che ti pare.

L’odore è più forte, vero?
Come è diverso, il tuo odore, dall’odore delle rose.
Ma le rose sono appassite ormai. Sono appassiti quei giorni.
Ciao.
A mai più.
Perché mai più torneranno.
Ma io di te mi fido. Tu non mi lascerai mai. Non mi abbandonerai mai. Non farai come Rosa.
Non farai come le rosse rose. Non brucerai nel rogo del tempo.
Ma tu non hai lo stesso odore delle rose.
E rimarrai.

Con me. Con noi.
A continuare i nostri giorni. Perpetuare il nostro odore, che è un po’ tuo e un po’ mio.
Ora basta.
Basta srotolare i miei ricordi.
Sono stanco di usare le parole. Non servono a nulla.
Noi ci capiamo lo stesso, anche senza di loro. Abbiamo un linguaggio segreto, amico mio.
E ora ne verso ancora un po’.
La notte è lunga, amico, e aspetterà. Genova continuerà a fingere nel sonno. E noi andremo avanti ancora un po’. Beviamo, amico mio. Bevo io per te.

Beviamo.
Brindiamo.
Brindiamo ai nostri giorni.
Quelli di prima e quelli di adesso. Quelli che ci saranno sempre.
Fino a quando non poserò la mia mano sulla bottiglia e la vedrò vuota.

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