domenica 14 dicembre 2008
re di-vino
Cose d'inverno, Adriana Assini
Un altro bel racconto per "I giorni del vino e delle rose" è quello di Adriana Assini.
Adriana Assini è nata a Roma, dove tuttora risiede.
Acquerellista, ha al suo attivo mostre in Italia e all’estero.
Come scrittrice ha pubblicato numerosi romanzi, tra i quali: “Il bacio del diavolo (Storia della Contessa sanguinaria)”, Ed. Spring, Caserta, 2004; “Le evangeliste di Bruges”, pubblicazione premio al Concorso letterario Nuove scrittrici, 2003; “Le rose di Cordova”, Scrittura&Scritture, Napoli, 2007.
Racconto
"RE DI-VINO"
di Adriana Assini
«Il mio re è sempre più triste. Salvate il mio re che muore…» andava supplicando un araldo, entrando in tutte le taverne.
Nessuno conosceva il nobile signore che per bocca del messaggero si diceva pronto a spalancare le porte del suo magnifico maniero a tutti coloro che, per sottrarlo a rovinosa inedia, gli avrebbero fatto dono di una giara di vino dalle qualità straordinarie, che lo stupisse per l’aroma, la densità e il colore, evocandogli il fascino di terre lontane e corti sconosciute.
L’appello, alla fine, non cadde nel vuoto. Allettati da una favolosa ricompensa, quattro avventori di passaggio decisero di tentare l’avventura, ognuno convinto che il suo vino avrebbe raggiunto l’obiettivo di rallegrare il monarca, le cui vigne non davano più frutto.
Era già buio ma si misero ugualmente in cammino secondo le indicazioni ricevute e quando finalmente arrivarono al castello, furono ricevuti in una sala dalle volte affrescate coi temi cari al dio Bacco.
«Cosa sarebbe la nostra vita senza il vino? L’interrogativo si trova già nelle pagine dell’Antico Testamento…» esordì il re accogliendoli alla sua tavola. «Niente, per me, potrà mai eguagliare il brivido di piacere che mi pervade dalla testa ai piedi ogni qualvolta ho la fortuna di assaporarne uno a me ignoto, che porti con sé anche un po’ della storia del luogo da cui proviene...Ma non perdiamoci in chiacchiere: sono ansioso di ricevere i vostri doni».
Fu il più grasso dei quattro ospiti che diede inizio alla gara, magnificando il contenuto della sua anfora: «Osservatene il colore: non vi sembra nero come la notte? Eppure, guardandolo in controluce, vi accorgerete che è di un bel rosso cupo. Viene dall’uva Grissa: scuri chicchi allungati dalla buccia sottile che hanno il vanto d’essere citate da un celebre magistrato d’altre terre in un suo altrettanto noto trattato sull’arte vinaria…Allieta ma non stordisce».
Il re lo assaporò lentamente, chiudendo appena gli occhi, poi diede il suo responso: «Il vostro vino mi ricorda certe musiche, che iniziano con le note basse ma che poi prendono forza e vanno a poco a poco verso l’alto, inducendoci a emozioni forti».
Fu allora la volta del secondo ospite, un uomo dai modi distinti che presentò al monarca un rosso dai toni vellutati, profumato alla cannella: «La corteccia che dà l’aroma al mio vino viene dall’isola dei leoni, dove sorgono altri altari, vivono altri dei e strani sacerdoti che innaffiano col secchio certi viti da loro considerate sacre. È attraverso la meticolosa cura di tale pianta che ha affinato il gusto e rafforzato l’animo».
«Il nettare che mi offrite sfugge a ogni definizione come un’anguilla dalle mani del suo pescatore» fu il commento del padrone del castello, dopo che l’ebbe assaggiato. «Sulle prime sembra acqua, ma poi, sul morire, ti lascia un sapore uguale a nessun altro…Il suo colore? M’incanta. Ma non conosco un nome capace di indicarlo».
Fu la volta del terzo ospite, un mercante, che consegnò al re un orcio col vino di Falerno. «È vecchio di un quarto di secolo, secondo quell’antica e consolidata tradizione che di certo non sfugge a un uomo della vostra levatura…».
«Non vi sbagliate, so bene che fu proprio col frutto di quei rinomati vigneti che Galeno curò e guarì il grande Marco Aurelio» gli rispose l’accorto anfitrione. Apprezzato il dono, esortò il quarto visitatore a completare il ciclo.
«Mi credereste se vi dicessi che il mio vino è più forte di quello che usò Ulisse per ubriacare Polifemo?» chiese quello, un uomo d’armi. «Proviene da Sibari, mio signore e sa restituire vigore a chi è colto da stanchezza o da un malanno. Alla fine delle gare olimpiche veniva fatto bere agli atleti affinché recuperassero pienamente le sue forze».
«Vista, odorato e olfatto vengono generosamente premiati…» commentò con evidente buonumore il monarca. Poi aggiunse magnanimo: «In vita mia di vini ne ho assaggiati tanti, ma ammetto che i vostri, miei signori, mi sembrano i migliori di tutti e mi congratulo con chi li ha prodotti e con voi che li avete scelti. In verità, per fare un vino eccellente non basta la cura di un semplice contadino, ci vuole l’occhio attento del medico e il tocco delicato del poeta…Ma adesso è giunta l’ora della giusta ricompensa e visto che voi avete allietato la mia vita, io allieterò la vostra concedendovi il raro privilegio di scendere nelle mie cantine, laddove, tra botti di quercia, ciliegio e castagno, i vostri pensieri volgeranno al meglio».
Detto questo li affidò ai suoi servi. I quattro, incuriositi, dovettero scendere per un centinaio di gradini prima di varcare le soglie del gran tempio del vino.
«Prendete pure posto dove più vi aggrada...» disse loro un cortigiano mentre indicava un susseguirsi di stanze chiamandole per nome: la Sala dei Vini Invecchiati, quella dei Pensieri Ubriachi, o ancora, la Sala delle Viti Ritorte o quella delle Favole al Mosto. «Tra queste profumi che si tramandano da secoli, passerete il tempo che vi resta, quale invidiabile dono della sorte».
Storditi ma non spaventati, i quattro non si posero domande, preferendo decantare le qualità dei vini che via via spillavano dalle botti. Bellissimo gioco che durò finché non li colse un sonno profondo.
All’indomani, a svegliarli, fu il canto insistente dei merli. Infreddoliti e confusi si guardarono attorno con stupore, chiedendosi per quale incredibile prodigio si ritrovassero all’addiaccio, mentre del castello non v’era più traccia. Sconcertati, chiesero lumi a un contadino di passaggio.
«Non lo avete capito? Siete in terra di spettri. Il nobile signore di cui mi parlate ha vissuto qui, ma in altre epoche, contornato da splendide vigne e cappelle dedicate ai vini migliori. Il fatto straordinario è che sebbene non sia più di questo mondo, ancora gli basta il profumo del mosto per risvegliare i suoi sensi e coinvolgere i viventi nei suoi giochi appassionanti. Lui rivive come allora e in mille figure si trasforma: ora è un araldo, ora un cantiniere, ora il re in persona. All’alba, però, ogni illusione si disperde…Ma se non volete ripetere l’avventura, farete bene a non passare più da queste parti quando il sole tramonta…».
I quattro ripresero il cammino, e uno di loro chiese agli altri: «Meglio la vita vera o il nostro sogno?».
«Il sogno, una volta l’anno» rispose senza incertezze il più grasso, strappando a tutti la promessa di incontrarsi di nuovo, in quello stesso posto, appena trascorsa la vendemmia. «Ci ritroveremo sotto questa gigantesca quercia, portando i nostri vini migliori e appena farà scuro, avremo la certezza d’essere ancora ammessi alla corte del re fantasma, per parlare con lui di mosti, di aromi e di tini».
Un vento leggero s’alzò improvviso sulle loro teste, quasi a incalzarli verso le rispettive mete.
«Sotto quella quercia» giurarono in coro i suoi compagni, suggellando il patto con una vigorosa stretta di mano e un ultimo sorso di quel vino che gli era servito per entrare nel prodigio di una notte.
Subito dopo, essendosi ormai detti tutto, si separarono senza altre promesse e in breve sparirono dietro a una corona di colline.
Il castello, Roberto Vecchioni
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