giovedì 29 gennaio 2009

di cibo di vino


Osservatore di Rosario Trapani



Mentre il concorso letterario di Villa Petriolo edizione 2009 "S'io fossi...vino" è in piena corsa, prosegue su DiVINando la pubblicazione di tutti i racconti dell'edizione 2008, "I giorni del vino e delle rose". In un ideale, magnifico racconto collettivo del vino e delle sue parole, a cui si aggiungeranno tutti i partecipanti della terza edizione.









Oggi, per "I giorni del vino e delle rose", si pubblica il racconto di Giovanni Contarino, "Di cibo di vino".
Complimenti all'autore...ascoltate che ritmo!










Giovanni Contarino è nato a Siracusa trentasei anni fa e vive a Torino da diciassette. Per sopravvivere lavora come ingegnere per una nota azienda automotive, occupandosi di organizzazione aziendale. Scrive Giovanni: “per vivere, scrivo e ascolto per amore dell’arte, nella speranza di non metterla mai da parte”!. Dalla fine del 2007 ha iniziato a partecipare a concorsi letterari, tra i quali "Ridendo con la poesia” “Teatroteatro da mangiare”, concorsi ai quali i suoi elaborati sono stati selezionati; nel maggio 2008 ha meritato la finale al premio “Mario dell’Arco”.


Racconto

“DI CIBO DI VINO”

di Giovanni Contarino



Di cibo di vino, di perle ti parlo, di ozio nel vizio, di aroma e sollazzo. Di scogli, di pesci, di cozze e aragoste, di totani e forme, slanciate e nascoste. Ti parlo di un piatto come fosse un fratello, ti parlo del sugo, sì… pure di quello. Di carne tritata, di coscia spolpata, di arrosti un po’ misti per tutti i carnisti. Cucino di notte, attingo alla botte, cucino la sera e pasteggio a Barbera, scordando quei giorni in cui mi assaggiavi dicendomi “amore, di sale mancavi”.
Di giorno mi affaccio a questo crepaccio, poi penso al passato e ritorno al brasato, poi penso alle more, che adornan le ore di pasti un po’ stanchi e penso “mi manchi”.
Di cenere e fuoco, di serio e di gioco, di olive nere e di cacio con pere, di pelle abbronzata, di olio e insalata, riguardo la foto e ripenso a ‘sta fata. Mi hai dato più amore di un pollo al vapore, adesso mi siedo e aspetto le ore, di quando quel forno, trillando dirà che se non mi muovo il flan brucierà.
Ma intanto ti penso, non so se ciò ha senso, non so se il profumo è di sugo o di incenso, ma sento qualcosa, la carne riposa, la trippa è sul fuoco e non è proprio un gioco. Non voglio bruciarla, io voglio salvarla, salvar la pietanza che appesta la stanza, se no resto senza, mi faccio una sbronza e il caldo che avanza ne è la penitenza.
Di cibo di vino di spazio e di strazio, in questa cucina di odori mi sazio, la smania, la pena, la pasta e il fornello, lo sguardo che avevi se bevevi un novello. Bevevi d’un fiato, bevevi contenta, non so se mi hai amato ma ci si accontenta, in fondo qui al mondo ci son tante donne, con i pantaloni e con le minigonne; ci son fidanzate che lavano i piatti, ci sono poi quelle con due seni piatti, ci sono anche altre che mangiano sole, che fanno le scaltre ma si compran le viole.
Ti penso, m’incenso, ti immagino qua, il sugo è già denso, temo si attaccherà, lo giro pian piano, ci metto il basilico e penso al tuo amore che mi tenne un po’ in bilico. Poi metto a bollire la pentola e le ire, poi peso la pasta… un etto non basta; allora eran due e sembrava che poi a scacciare la fame fosse solo quel “noi”. Mi chiedo alle volte, me lo chiedo spesso, ma a te poi piaceva il polipo lesso? O te lo mangiavi per farmi piacere per poi vomitare per nottate intere? Dicevi “che buono, che bravo sei stato” e io, gran coglione, ero tutto gasato, poi a letto sentivo sinistri rumori e già con un salto balzavi fuori. Correvi lontano, alla bocca la mano, con gli occhi guardavi il bagno lontano ed io sul guanciale, aspettando la fine, pensavo “però, guarda quante moine”. Non so se è per questo o per la tua allergia, mi hai detto “non resto ma me ne vado via, tu non mi capisci, non sai quel che penso, sai solo bruciare quintali d’incenso”. E vorrei vedere, se non lo facessi, se i cattivi odori io non disperdessi, se un giorno tornassi sui tuoi propri passi, che schifo che avresti se in casa tu entrassi.
Che bello quel giorno in cui entrando dirai, “amore cucina e non te ne pentirai, che dopo un bel pranzo con pesce e gelato, dimenticheremo il nostro passato, dimenticheremo il brutto incidente, faremo l’amore come fosse niente, faremo l’amore come fosse successo che non abbia mangiato quel polipo lesso.” Che bello sarebbe se ciò succedesse! Però!... Per ‘ste rime ho usato un po’ di esse.
Che bello quel giorno in cui rivedrò quel bel paio di occhi che mi ipnotizzò, mi fece scordare un bel po’ di ricette, e mi fece bruciare ventun cotolette. Scordai quantità, dosaggi e ingredienti, il lievito, l’acqua ed i condimenti, ne vennero fuori insulsi bocconi anche nelle piccole e grandi occasioni. Per giorni provai a riprendere un poco a saper maneggiare il tegame sul fuoco, a saper rigirare la frittata in padella, che con tanta fame va bene anche quella. Quegli occhi tuoi grandi eran proprio una scossa, la salsa che da bianca diventa rossa, la torta che in forno si gonfia di brutto sia che tu usi il burro, sia che usi strutto. Tu sei la cipolla che attacca i miei occhi, se tu la mia molla come nei balocchi, si apre la scatola ed esce un bel clown, son io, qui presente, che faccio up and down.
Son sempre convinto che fu una fortuna, portarti una sera al chiaro di luna, poi dirti “sai cara, cucino da dio, se vieni con me a te ci penso io”. Adesso mi faccio una bella scaloppa, ne faccio due etti, non sembra poi troppa, la taglio di sbieco, la batto sul marmo, e scaccio i ricordi di una storia in disarmo. La friggo di brutto, facciamoci male, ci vuole lo strutto ed un poco di sale, che questa nottata la voglio pesante, mi voglio sognare mio nonno cantante. Mi voglio sentire un supereroe, ma sì! Dopo cena mi faccio d’aloe. Ci aggiungo due litri di birra tedesca, non serve ghiacciata, purché un poco fresca. Mi faccio una cena da disperato, con un peperone che faccio grigliato, ci aggiungo di slancio due pomodori, di quelli che mangiano solo i signori, di quelli succosi che tingon la mano e che tutti chiamano “i San Marzano”; li faccio soffritti, li faccio pepati, e dopo li sposo con i maltagliati; mi faccio tre etti di mortadella, che con questa birra sta bene anche quella, mi faccio tre etti di caciocavallo, che il colesterolo in un colpo mi sballo. E’ l’unico modo ti giuro, davvero, lo dico col cuore, lo dico sincero, per far della vita una bella occasione per dimenticare la mia insana passione, che proprio in quei giorni in cui ti conobbi, pelando patate e condendo quei gobbi, mi fece pensare per quattro anni interi che come compagna tu male non eri. E’l’unico modo per dirti che allora, se avessi saputo aspettare quell’ora, saresti partita col treno alle sei, e adesso senz’altro un pò meglio starei.
Di certo in quei giorni ti ho fatto impazzire, con cozze ed orate ti venivo a servire, con quegli involtini di pesce spada, ti ho fatto scordare la tua borsa di Prada, che dopo quel vino, leggero e frizzante, quando sei uscita sembravi volante, cantavi da sola con aria da diva la sera calava e il mio amore saliva. Ti ho fatto un sorbetto con il mandarino, mi hai detto “lo sai che sei proprio carino?”, lo hai fatto così, con un solo richiamo, ed io come un pesce ho abboccato al tuo amo. Di giorno, di notte pensavo alla cena, a far sì che andasse di nuovo in scena, quel bello spettacolo di dolce allegria ma dopo tre giorni sei andata via. Pensai che era stato un bel fuoco di paglia, che indossi per poco come d’estate una maglia, che poi metti via dentro un bell’armadione, la guardi ogni tanto e poi cambi stagione.
Ma un giorno a settembre ad un tratto sei apparsa, e mi ritrovai con la bocca un po’ arsa, scolai quattro birre per restare un pò vivo e intanto qualcosa qui dentro sentivo. Avevo un tamburo che un ritmo suonava che di questa donna da un po’ mi parlava avevo bruciato il mio primo budino pensai tu fossi già nel mio destino, pensavo che in fondo se tu eri tornata o era piccolo il mondo o eri innamorata, perciò le mie orate e le cozze condii e presso il tuo tavolo sorridendo finii; ti baciai la mano come fanno i signori, sarà un po’ antico ma non avevo fiori, e pensai “al mondo non c’è niente di meglio, che sentirsi un po’ vivo, sentirsi un po’ sveglio”. Scegliesti un buon vino, un buon Marzemino, io ti consigliai e intanto schiattai: il sugo di cozza caduto sul braccio mi aveva ustionato e ridotto a uno straccio, il piatto mi cadde con tutte le orate, cascaron le cozze, limone e posate; tu intanto ridevi e piegata in due guardando dicevi “sei più scemo di un bue”, però nel frattempo mi offristi la mano per tirarmi sù come le ali un gabbiano, raccolsi poi tutto, tornai in cucina mi dissi “mi butto, è troppo carina”.
Di cibo di vino, di perle ti grido, di mare, di spiaggia, di ombrelli e di un lido, in questa cucina di un bel ristorante, in cui come te ce ne sono tante, di quelle turiste in cerca di tutto, di pesce grigliato e di carne allo strutto, che prendon la camera, che rubano i cuori, che stanno tre giorni e la notte son fuori. Ne ho viste parecchie, di bionde e castane, ne ho viste tedesche, spagnole e romane, lasciato l’ufficio si fiondan qui a mare e tu come un fesso ti vai ad innamorare. Ormai son vent’anni che sono qui dentro, è periferia ma è proprio il mio centro, ci gravito attorno, se scappo poi torno, è la mia pietanza e io sono il contorno. Mi chiudo in cucina, vicino al fornello, affetto cipolle ed affilo il coltello, poi pelo patate, zucchine e cetrioli, poi riempio la pentola e ci faccio i ravioli. Sto nella mia tana, sto nel mio rifugio, poi guardo la spiaggia e sul mare un po’ indugio, poi penso ai tuoi occhi, alla tua carne molle. Oddio! I ravioli! La pentola bolle…


Il Marchese del Grillo a teatro

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Divertente e davvero ben scritto! E' stato un piacere leggerlo.
Sara

silvia ha detto...

Grazie, Sara! L'autore ne sarà contento! Ai tuoi complimenti si aggiungono anche i nostri, a presto e grazie della visita su DiVINando.

Anonimo ha detto...

Sono Rosario Trapani, l'autore del dipinto "l'osservatore, quello con il vino" in cima alla pagina. Sbalordito per le magie della rete, vi ringrazio per avere scelto una mia opera e per averla pubblicata citando l'utore.
trovo interessante il racconto, complimenti.

silvia ha detto...

Benvenuto Rosario! E complimenti a te, è stato un piacere pubblicare il tuo dipinto. A presto.