venerdì 2 gennaio 2009

di tanto poca terra




I migliori auguri di buon compleanno da DiVINando a Giuliana Ferrari, autrice del racconto “Di tanto poca terra” per “I giorni del vino e delle rose”!

Giuliana Ferrari è nata il 2 gennaio a Bagnolo Mella (BS) ed abita a Bovezzo (BS).
Casalinga, saltuariamente si diletta con la scrittura di racconti e novelle. Ha partecipato ad alcuni concorsi, soprattutto nella sua Provincia, e con soddisfazione ha raccolto alcuni lusinghieri piazzamenti che l’hanno convinta a continuare.


Racconto

"DI TANTO POCA TERRA"

di Giuliana Ferrari



C’era una scatola aperta sul tavolo e dentro la scatola un mazzo confuso di vecchie fotografie, ormai scolorite nel seppia del tempo. La donna le pescava fuori, una dopo l’altra, e le esaminava con aria assorta e perplessa. Vecchi ritratti, luoghi che lei non riconosceva ma che descrivevano le rive di un fiume grande che scorreva sotto un agglomerato di case che apparivano quasi timorose di quella massa di acqua rotolante e sembravano tenersi alla terra con unghie invisibili.
Sotto le fotografie sparse liberamente c’era un grande volume rilegato in cuoio che lei prese. Lo appoggiò sul piano del tavolo con cura, come si trattasse di una cosa delicata che non le appartenesse come in realtà non le apparteneva. Sedette su una sedia e si lasciò trascinare.
La donna guardava le fotografie ordinatamente raccolte nell’album di famiglia del marito, cercando di penetrare nella mentalità dell’uomo, a suo avviso troppo legato a quelle sponde, a quei lembi di terra rubati al fiume. Di tanto poca terra lei non sapeva che farsene, in realtà. Lei avrebbe voluto che la terra, intorno a casa sua, fosse una bella fetta, che non si dovesse lesinare per avere un giardino ampio ed assolato, dove le piante potessero crescere finché lo volevano, come piaceva a lei. Fin dalla sua infanzia aveva avuto attorno alberi smisurati, da frutta e ornamentali, da taglio e da bosco. Sulle sue colline, lo spazio per le attività umane doveva essere rubato alla roccia ed ai boschi, alla vegetazione bassa ed intricata che foderava le coste scoscese.
Le colline terrazzate portavano con orgoglio le ordinate file delle viti, esponendole al sole come fossero gioielli. Suo padre, solo un mezzadro, su quella terra così dura e gentile, le aveva dedicato cure ed amore, come a una bella donna, per estrarre dal suo ventre i sapori di quel vino di cui tanto andava orgoglioso.
Era, però, stato il padrone del fondo quello che aveva aggiunto ricchezza alla sua ricchezza, grazie a quel vino. Aveva fatto disegnare una splendida etichetta per le bottiglie ed aveva iniziato a venderle a chi poteva pagare a caro prezzo quel nettare. Suo padre era rimasto esterrefatto per quel comportamento, amareggiato, vedendo il suo vino sparire verso i negozi e le enoteche, verso le cantine di gente che non sapeva nulla dell’amore che lui profondeva in quelle vigne.
Lei era cresciuta in quella stessa casa, da quando era bambina, si era fatta una ragazza splendida e poi una donna bellissima. Suo padre diceva che il merito era di sua madre e di quella terra, di quelle colline.
Le aveva insegnato, di nascosto, come si faceva ogni cosa, dal momento in cui veniva scelto il vitigno a quando dava i primi frutti, a quando la pianta giungeva a maturazione e dava il meglio di sé, a quando i grappoli, dopo la vendemmia, venivano portati alla pigiatura ed il mosto messo nei tini e poi via via per tutte le varie fasi della vinificazione, fino ad ottenere il nettare che tanti prediligevano. Lei aveva imparato tutto, segretamente, appassionatamente. Si era tenuta tutto dentro, mentre suo padre, scontando le fatiche di una vita, se ne andava per sempre, povero com’era nato, mentre il suo padrone, che non aveva mai voluto imparare nessuna delle parole d’amore che devono essere dette alla vigna e alla terra, svendeva la tenuta che ormai non rendeva, senza la mano forte e gentile che l’aveva governata per tanti anni.
Aveva incontrato un uomo ruvido ed appassionato e lo aveva seguito fino a quella poca terra, così diversa dalla sua, sulla sponda di quel fiume che pareva smisurato, a volte diveniva furioso, altre volte era l’immagine della dolcezza. Quell’uomo, quel suo forte compagno, le aveva insegnato come si vive sulla sponda del fiume, come si guadagna, come si raggiunge il benessere un giorno dopo l’altro, un sacrificio dopo l’altro. Ora era il momento di costruire qualcosa per loro, era il momento di riscuotere il debito che la vita aveva con ognuno di loro.
Avevano piantato una vigna anche lì, ma non era bella come la vigna di suo padre. Era diversa. Era diverso il vino.
Ora dovevano avere una casa ma c’era un problema, con quel fiume così vicino, con quelle case così a ridosso degli argini, con quegli argini così alti ed incombenti che non lasciavano spazio per avere un bosco, come piaceva a lei.
Ma al suo uomo non andava di costruire fuori dalla città in cui era nato, dove c’era più terra. Diceva che non la voleva tradire, dopo tanti anni che la corrente lo cullava. Allora immaginarono una casa a picco sul fiume, costruita proprio sul bordo dell’argine. Quando lei poteva, rubava il tempo per dedicarlo alla vigna che, dopo essere stata coccolata e viziata, iniziava adesso ad essere meno timida, più generosa. Di nascosto dal suo uomo, ritrosa a svelare i segreti appresi da suo padre, aveva iniziato a fare degli esperimenti con il vino, come farebbe un alchimista, nel fresco scuro della cantina. Aveva capito che quel vino di pianura aveva una gradazione ed un comportamento diversi rispetto a quello di collina.
Si era talmente appassionata che il suo uomo iniziò a pensare che stesse pensando ad un altro. Ma le si leggeva negli occhi tutt’altro che non che avesse un altro amore. Eppure lei aveva veramente un amore segreto, un amore carnale fatto, di sensi e di ragione, di assiduità e di tenerezze ma anche di improvvise burrasche, quando qualcosa non le andava bene.
Lui osservava e taceva, soffrendo un poco ma preferendo vivere nel dubbio piuttosto che doversi scontrare con una realtà che già lo spaventava. Che sarebbe stato lui, senza quella donna di collina, dolce ed aspra, caparbia e remissiva, appassionata ed algida? La vedeva allontanarsi nei campi oblunghi, perdersi tra i filari, dove si coccolava i grappoli, tentata di assaggiarli ma limitandosi a gustarli con gli occhi, zappettava intorno alle viti, irrorava di verderame le foglie generose, spargeva concimi per dare nutrimento alle piante e si chiedeva quale mistero si nascondesse dietro quei gesti così abituali, normali, appassionati.
Era trascorso un altro autunno e loro avevano vendemmiato, avevano pigiato, avevano torchiato, avevano riempito le loro botti e le avevano messe sotto chiave in cantina. E mentre lui andava al lavoro lei spesso spariva per ore, senza dirgli nulla. Più di una volta, rincasando, non l’aveva trovata dove si attendeva che fosse e lei non gli aveva dato spiegazioni. Era trascorso l’inverno e ormai la primavera era esplosa e con la primavera sembrava che dentro di lei fosse nata una nuova inquietudine, una specie di ansia, una impazienza senza nome ma anche una aspettativa che non sembrava mai placarsi.
Poi le rose che avevano piantato a ridosso della loro casa esplosero in tutte le loro tinte fiammeggianti ed anche lei sembrò rifiorire. Lui cercò di richiamare la sua attenzione ma lei pareva seduta sulle nuvole e non gli prestava attenzione.
Venne il giorno in cui, stanco di vedere andare disperse altrove le attenzioni che pensava gli spettassero, autoalimentò la propria rabbia finché si sentì in grado di affrontare quella moglie per certi versi selvatica e ribelle. Si preparò a farlo una mattina che, rientrato in anticipo, la trovò che guardava le vecchie fotografie mentre nell’aria aleggiava il profumo della zuppa di cereali che lei stava preparando. Con un certo livore cercò la rissa, esternando dubbi e accuse. La donna lo guardò sorpresa, lo ascoltò per qualche tempo, si rese conto che era veramente arrabbiato e scoppiò in una squillante risata che lo colpì come uno schiaffo, lasciandolo interdetto.
Lei uscì dalla stanza, lasciandolo a bocca aperta.
Quando tornò, reggeva una bottiglia fresca di cantina e gli versò in silenzio un generoso bicchiere.
Lui non capiva. Alzò il bicchiere e sentì che il naso gli si riempiva di un fresco profumo di frutti. Incuriosito si portò il bicchiere alle labbra ed assaggiò. Caspita, era proprio buono. Superbo.
Quando vide che lui apprezzava, gli posò davanti la bottiglia e si allontanò verso la camera.


Barbra Streisand, Cry me a river (1967)

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