giovedì 15 gennaio 2009

i giorni del vino e delle rose di palmira cornamusini


Il contadino, Vincent Van Gogh (1888)


Oggi, per DiVINando, il racconto "I giorni del vino e delle rose" di Palmira Cornamusini per l'edizione 2008 del Concorso letterario di Villa Petriolo.


Palmira Cornamusini
è nata a San Gimignano nel 1941 e risiede a Certaldo.


Racconto

"I GIORNI DEL VINO E DELLE ROSE"

di Palmira Cornamusini



Lontane leggende dicono che fu Noè a far nascere la vita da una goccia di sangue divino, per altre l’origine del vino sarebbe il sangue dei giganti ……… gli smisurati figli della Dea terra, ma dobbiamo prendere in considerazione anche l’importanza data al culto di Bacco a cui è attribuita la vinificazione.
Questo Giacchino non lo sapeva e neppure avrebbe creato in lui nessun interesse nel saperlo.
Egli desiderava solo avere una bella vigna che producesse un ottimo vino; come quello che aveva bevuto “all’Osteria della Frasca” a Castellina in Chianti.
Il suo podere rendeva molto mosto di diverse uve mischiate, senza distinguere la bianca dalla nera, capace solo di dare un vino aspro e di bassa gradazione.
Le sue viti erano in filari maritate con chioppi dai lunghi rami nodosi e intercalate da qualche pianta fruttifera, aveva in abbondanza: marruca, mammolo, perugino e ancora altre di poca qualità, mentre poche di Sangioveto.
Voleva migliorare il suo prodotto facendo una vigna con nuove viti e questo lo avrebbe ottenuto se fosse andato alla tenuta del barone Ricasoli.
Accettando l’invito sapeva di non guadagnare nessun soldo, ma lavorare solo per imparare il necessario al suo intento.
Apprese che per fare una vigna, si prepara uno scasso, un metro per un metro, i maglioli dovranno essere selvatici e resistenti come la vite americana, tagliati a “mazza” e infilati in fiaschi riempiti di sabbia, oppure messi in terra in angoli ben riparati.
Trascorso il tempo necessario verranno innestati con vitigni cui producono vini con più gradazione ed ottimi sapori.
Imparò a fare barbatelle, talee, propaggini ed i tre sistemi d’innesto più adottati: a occhio, a spacco e a succhio.
Trasse tanti profitti da diventare molto ricercato, che su cento maglioli innestati con vitigni di Sangioveto falliva solo con tre o quattro.
La sognata vigna crebbe e produsse vino prestigioso “Chianti Gallo Nero” lo chiamarono; però lui non capiva cosa ci significasse quel gallo con il suo vino, che vendeva ai migliori ristoranti e hotel di Siena e Firenze.
Ormai nessuno lo chiama più con il suo nome, per tutti è l’innestino, che con la sua capacità e lungimiranza, continua a impiantare vigne prevenendole dalle loro malattie quale la fillossera e peronospora, irrorandogli quella poltiglia inventata dal contadino francese Bourdeau.
Quel giorno del mese di Novembre, in cui il buio arriva presto, Giacchino si era attardato più del solito nella città di Firenze, dove era andato a vendere una partita di vino, che quell’anno era cresciuto di prezzo, data la scarsità dell’offerta, causata da una forte gelata a metà Primavera.
Arrivò al paese che era già calata la sera, con una fitta nebbia che penetrava fino alle ossa, comunque si avviò lasciando la via maestra e inoltrandosi in viottoli boscosi che portavano alla sua casa. Camminava sicuro pensando al fuoco nel camino e alla calda minestra che lo attendeva. Gli era così familiare quel tragitto che andava spedito rievocando il vissuto.
Lo scorso mese di Maggio aveva portato sua moglie a Firenze, lei ammirava tutto con gioia, senza chiedere nulla, poi si fermarono all’Hotel dove egli forniva il vino e lì la moglie vide un giardino con roseti splendidi e profumati. “Giacchino”, disse, “se avessi anch’io un piccolo giardino con delle rose, sarei così felice da sembrare e sentirmi una signora”.
Giacchino finse di non aver sentito, ma in cuor suo si disse che quando sarebbe tornato per la vendita del vino, le avrebbe comprato quei fiori; ora che anche lei stava per regalargli un “cittino” ed alla caduta del suo cordoncino ombelicale, lo avrebbe messo sotto la terra di quelle rose, in auspicio di felicità per il suo futuro.
Assorto com’era da un avvenire così bello, non percepì nessun rumore di pericolo, fino a quando un’ombra non gli si parò dinnanzi spaccandogli il cuore.
Cadde con le braccia a croce, il viso verso il cielo in cerca di luce; la mano sinistra che stringeva un mazzo di talee già con radici e pronte per il trapianto.
Quanto al mattino lo trovarono, le piante sembravano fiorite; il sangue di Giacchino era gocciolato lungo lungo gli steli e raggrumandosi aveva formato disegni di rose.


L'ottava rima toscana.

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