domenica 21 giugno 2009

Stay BeWine di Andrea Bellucci


Un'altra segnalazione per il terzo concorso letterario di Villa Petriolo: il racconto di Andrea Bellucci "Stay BeWine". Complimenti all'autore da Villa Petriolo!


Andrea Bellucci è nato ad Empoli (FI) nel 1963 ed abita a Montelupo Fiorentino. Ha pubblicato: Cittadini e istituzioni a Montelupo. Organi e statuti di una comunità, Montelupo 2004; 25 aprile 1945- 25 aprile 2005 Sessanta anni dopo, Montelupo, 2005; L’alluvione, Montelupo, 2006; Una storia esemplare . Spostamenti di popolazione in un’area “immobile”: la provincia di Firenze 1880-1940. Collabora con la rivista di storia contemporanea “Zapruder” e con la rivista “Antipodi”. Tiene la rubrica “La storia siamo noi” sulla rivista “Montelupo Informa”.


Racconto STAY BE WINE

Il commissario Maleda entrò nella stanza, dopo aver fatto sfondare la pesante porta in legno da un poliziotto gigantesco ed armato di ascia.
Avrebbe voluto uno di quegli attrezzi che si vedono nei film americani. Fanno tanto SWAT! Ma era in un piccolo paese di una piccola regione di un piccolo stato ai margini dell'Impero.
I due avevano tracannato mezza cantina e già si erano fatti di altre misteriose sostanze prima di arrivare lì, di fronte/dentro/attraverso quella villa . Quei locali umidi come la mamma. La loro e quella di tutti. Avevano arraffato a caso. Brunello del 1985 a canna, Sassicaia, Brolio. Nomi ignoti, ma erano lì per altro che per fare un corso di enologia.
La prima cosa che lo colpì fu il colore rosso. Sangue e vino mischiati come un reality della bibbia girato da qualcuno poco avvezzo alle astrazioni della teologia.
Cercò di non vomitare. Un massacro. Spostò lo sguardo contando: uno, due, tre quattro corpi in posizioni assurde e impossibili.
Fuori, un violento temporale. Pierluigi aveva appena scaraffato un onesto Morellino regalatogli da un amico di Erik. Non aveva voglia di dare giudizi tecnici. Era stanco. Guardava la caraffa e, di rimando, quella sembrava guardare lui. Seduto sulla poltrona.
L'immagine mossa e sgranata che la camera rimandava poteva essere opera Lars Von Triers. Allora non era difficile!
Sotto il cielo livido e irreale del Thunderstorm la casa ballonzolava avvicinandosi.
A destra, il fienile spariva e ricompariva alla vista seguendo il percorso tortuoso della stradina sterrata e non molto bianca in verità.
Una brusca sterzata inquadrò l'edificio. Una colonica filologicamente rimessa a posto, senza leoni all'ingresso, senza alani, senza cancelli e telecamere.
“Sgozzati come animali!” pensò Maleda linkando il Testamento di Tito. I suoi uomini si misero subito al lavoro. Il gigante posata l'ascia si accomodò all'ingresso, piantone insuperabile. Letteralmente. In attesa della scientifica, il commissario e due dei suoi iniziarono, con molta discrezione a guardarsi intorno. Nel silenzio della morte e dell'assenza di pensiero un rumore acuto e quasi inaudibile perforò le loro orecchie
“Metti via quell'aggeggio” il guidatore alzò la mano destra dal volante e a pugno chiuso colpì, la spalla sinistra del baldo giovane affacciato al finestrino della vecchia BMW.
Il tipo, un biondino allampanato e provvisto di maglietta rossa si rimise subito al suo posto, recuperando quasi al volo quell'aggeggio. Una telecamerina vecchiotta e fuori produzione, scippata in centro a Pisa pochi giorni prima.
Aprì, come seguendo un ordine che non c'era, il portaoggetti tirando fuori due grossi coltelli da macellaio.
Pierluigi, assorto nella lettura di Tim Unwin (per la precisione la parte dedicata alla diffusione della fillossera) non sentì il campanello. Non sentì la moglie, Enza, che lo chiamava dalla cucina. Non sentì le urla della figlia maggiore che era andata ad aprire, non sentì la corsa dei due figli maschi, in direzione l'uno opposta all'altro.
E non sentì neppure che uno di loro, Alfredo, il più piccolo stava scendendo le scale. Ma questo non sarebbe comunque stato possibile perché era già morto. L'arma bianca usata a mo' di machete gli aveva quasi staccato la testa dal collo, rovesciando la brocca del Morellino proprio sul capitolo dei vitigni americani.
In pochi secondi soltanto il silenzio regnava anche se Guccini lo stava ora linkando soltanto l'autore.
Il suono acuto proveniva da sotto. Il commissario e l'agente scelto Mazzei si avviarono, premurandosi di non calpestare le prove, verso quella direzione, fermandosi all'ingresso di una stanza buia e provvista di una ripida scala a pioli.
Il rumore proveniva da sotto e il guidatore della BMW, con ancora il coltello in mano fece cenno al collega di seguirlo portandosi il dito indice della mano libera al naso. Il biondino, insozzato di sangue visibile solo sui pantaloni chiari, lo seguì in silenzio, dopo aver chiuso la porta (e scavalcato il corpo della donna).
Obbediva come fosse il capo, anche se nessuno lo aveva mai nominato tale. Del resto era evidente anche dal fisico, il doppio di lui, dal vestito (elegantissimo doppiopetto grigio) e dal fatto che in tutto quel macello non aveva neppure una macchia.
Discesero con molta attenzione. L'interruttore alla fine della scala fece luce su un'insospettabile, grande locale. A destra e a sinistra grandi strutture, quasi a perdita d'occhio, contenevano centinaia di bottiglie. A chiudere quella infinita fuga Bac(c)hiana stavano due botti, inusitatamente grandi.
I due iniziarono, come bambini giunti nel paese dei balocchi, a prendere, rompere, bere, con una foga che azzerò la memoria a breve termine del perché erano lì, in cantina e quella a lungo termine del perché erano lì, in quella casa.
Sempre il rosso dominava, senza la presenza del sangue. Il suono proseguiva intermittente e sempre più vicino. Nella distesa di vino e vetro si intravedeva, da lato destro, qualcosa che, avvicinandosi si rivelò essere un piede che spuntava dallo spazio fra la fine della cantina e una delle due botti.
Arianna corse alla porta dopo che sua madre aveva chiamato invano il marito assorto in qualcosa. Il gesto di voltarsi mentre apriva la porta. Il solito gesto, fu anche l'ultimo e averlo ripetuto non servì a nulla. Certo non a impedire il fendente che la uccise sul colpo.
Il fratello, Riccardo corse verso di lei, ma non poté far altro che vedere un tizio molto ben vestito affacciarsi dietro il curioso soggetto in rosso che gli lanciava, con precisione , un coltellaccio.
Nel vederlo roteare, calcolò a mente quanto tempo sarebbe passato.
L'elegantone si diresse con sicurezza verso l'ultima vittima, che attendeva in preda ad un urlo silenzioso (come Al Pacino nel finale del Padrino parte III ma molto più brava).
Quel piede divenne un uomo, accasciato a terra, imbottito di vino, sangue e piombo. Stava supino circondato da decine e decine di pezzi di bottiglia. Maleda si voltò dall'altra parte mentre Mazzei si piegò ad esaminare il corpo di quel ragazzo. Il suono, lamentoso , proseguiva con una cadenza regolare. Speculare al tipo con la maglia rossa stava un altro uomo, Il volto completamente sfigurato da una rosa di pallini, contrastava con l'abito quasi intatto. Aveva ancora in mano un Sauternes del 1985. Aperto rompendo il collo della bottiglia.
Arianna si voltò con un movimento naturale/innaturale (in sequenza) e guardò Alfredo prima di cadere con un tonfo sordo, spaventoso. Mentre Riccardo, diciottenne in esplosione ormonale si lanciò verso il nemico, l'ancora riflessivo Alfredo, decenne nella fase giochi-di-parole, corse dal lato della cantina, saltò le scale a due a due e cadde sdraiato di fronte al vecchio fucile da caccia di suo padre. Una doppietta Belga ancora in piena attività. L'ultimo cinghiale della stagione l'aveva assaggiato anche lui, bagnandosi le labbra con una goccia di Amarone. Le cartucce erano state inutilmente nascoste nel cassetto del piccolo mobile proprio sotto l'interruttore.
I due si alzarono quasi insieme da quei corpi e si diressero verso la fonte del lamento.
Il biondo stava con due bottiglie in mano. Alla fine della scaffalatura di destra. Dalla parte opposta il capo beveva, cercando di non sporcarsi, quel meraviglioso e strano liquido. Completamente ubriachi, videro sbucare da dietro una delle due botti, provvisto in testa di una corona di alloro trovata nel cassetto della cartucce, Bacco in persona! (ma questo lo pensò solo il più acculturato di loro) armato di doppietta.
Finalmente l'origine di quel lamento continuo si rivelò. Un bambino, accucciato e con in mano un fucile più grande di lui. Singhiozzava indicando una corona di alloro.
E apparve loro davvero come un Bacco furioso, emerso per punirli Non per quello che avevano fatto di sopra, non per quei morti innocenti ma umani. Ma per aver oltraggiato, distrutto e disprezzato suo figlio.
Il vino.

2 commenti:

Andrea ha detto...

grazie mille per la segnalazione! Mi scuso per l'assenza dal blog ma in questo periodo sono stato e sono ancora piuttosto indaffarato

racconti tutti molto belli e complimenti al vincitore e....a Silvia MAestrelli

Andrea

silvia ha detto...

Grazie a te, andrea!I tuoi racconti sono sempre originali e non passano mai inosservati: anche quest'anno la giuria lo ha apprezzato molto... e anche noi! complimenti ancora, a presto.