mercoledì 15 luglio 2009
Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi. Marta Abba, "quella che in me detta dentro"
Lei è un'attrice di talento "fulva e di meravigliosa bellezza", lui un importante intellettuale, premio Nobel, acutissimo e disincantato pensatore.
Per Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi di questo mercoledì: Marta Abba, giovane musa di Luigi Pirandello, incarnazione di una nuova immagine di donna che compare nella tarda drammaturgia dell’autore agrigentino, ricompone in sé gli aspetti solari e quelli notturni, l’alto e il basso, la poesia dello spirito e l’attrattiva della bellezza muliebre (cfr. "Donne terrifiche e fragili maschi. La linea teatrale D'Annunzio-Pirandello", di Roberto Alonge, 2004, Laterza).
E’ creatura inedita nella visione della donna di Pirandello, da sempre dilacerato tra una percezione del femminile come madre, dea del focolare votata alla crescita dei figli, o, in alternativa, tentazione della carne, dal profilo maligno del peccato e della sessualità: generosa e abbandonata, Marta Abba è piuttosto un misto di candore e malizia, fedele ma eroticamente esaltante, modello reale di protagoniste alla Laura Banti de "L'innesto". E’ il punto di incontro tra il valore spirituale e quello materiale, che appaga l’uomo e finalmente lo disarma. Lo testimoniano ben 560 lettere: quelle che Luigi Pirandello scrisse a Marta Abba. Lei, una delle più grandi interpreti del Novecento, gli scrisse 280 volte. A testimonianza di un rapporto che andava al di là della mera collaborazione artistica, fatto di grande complicità, intesa – nonostante la notevole differenza d’età, lui sessantenne, lei di poco più che trentacinque anni - le parole intense del drammaturgo: «Marta non m' abbandonare, non è possibile che tu non sia, come autrice vera e sola, in tutto quello che ancora faccio. Ma io sono la mano. Quella che in me detta dentro, sei tu».
E Marta ricambiò l’amore esclusivo, seppur platonico, del Maestro con un affettuoso rispetto che la portò a pubblicare solo molto tardi il carteggio con Pirandello: per anni la grande attrice italiana meditò sull' opportunità o meno di mettere a disposizione degli studiosi quelle carte, divisa tra la volontà di rivelare al mondo un nuovo Pirandello, intimo, e la pudicizia di rompere la riservatezza del loro rapporto. Sarà nel 1985, quando Marta avrà ottantacinque anni, che finalmente l'Università di Princeton prende in consegna l’epistolario, pubblicandolo.
Resta traccia di questo rapporto anche nelle memorie di Primo Conti, che parla di Luigi Pirandello e Marta Abba in villeggiatura a Viareggio negli anni 1928-29: Pirandello lavorava nella grande hall del Royal, davanti al mare. Seduto su una seggiola, batteva sui tasti di una macchinetta portatile piazzata su un tavolino di vimini, tra il brusio delle bagnanti e le grida dei bambini. Diceva che quello era l’unico modo di sentirsi veramente solo, col suo lavoro. Marta, nel frattempo,andava al mare: con guanti neri lunghissimi, un cappello, un velo intorno al viso, un ombrello, non esponeva al sole neanche un centimetro della pelle per paura delle lentiggini.
Nella casa di Conti Pirandello lesse agli amici, tra i quali Leonida Repaci, Massimo Bontempelli, Lucio D’Ambra, Luigi Chiarelli, il suo “Lazzaro” appena scritto. Accettò di posare per un ritratto. Sprofondato in una poltrona, stava immobile, mentre il pittore scrutava quella sua maschera piena di dolore per le sue vicende familiari, ma anche tenera d’amore per Marta, che viveva nel segreto del suo spirito e del suo lavoro. Marta, spesso presente alle sedute, diceva: “Lo guardi così, Conti, il maestro, e lo dipinga così: non gli sembra un fanciullo sublime?”
«Il mio sogno è che tu abbia un teatro tuo, che sia tutto e solo tutto tuo, dove tu possa recitare come e quanto vuoi, e ciò che ti pare e piace; e poi riposarti; recitare solo tre quattro mesi e non più».
Marta Abba interpretò numerosi personaggi pirandelliani, dopo che fu scritturata come prima attrice del nuovo Teatro d' Arte di Roma. Da quel momento in poi la giovane attrice milanese divenne l' interprete preferita dell' autore siciliano, dando corpo e anima alle protagoniste femminili di "Diana e la Tuda", "L' amica delle mogli", "Come tu mi vuoi", e molte altre pièces teatrali, in un continuo rimando tra arte e vita.
Una vera storia moderna, dove il coinvolgimento spirituale valse almeno quanto quello sensuale, dove Marta dette la forza ed il coraggio a Pirandello di proseguire nella sua meravigliosa arte sino alla fine...
"Non dia a loro il suo cuore. Lo tenga per chi lo ama, per chi lo vuole ancora per tanti anni, perché lei dica la parola sempre più bella, sempre più alta. E c'è tanto bisogno nel mondo di uno spirito come il suo [...]"
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
4 commenti:
Cara Silvia, parli di Marta Abba per il mercoledì di questa settimana, perché non di Eleonora Duse in una prossima puntata? Anche lei, come Marta Abba, donna carismatica del teatro italiano, starebbe molto bene in compagnia delle tue donne di charme. Ti saluto e ti ringrazio per questo appuntamento a cui partecipo, da lettrice, sempre con un piacere speciale. Maria Elisa.
Volentieri, maria elisa, grazie per il suggerimento. le tavole del palcoscenico conservano il ricordo di figure femminili che merita di essere tramandato. Lo farò con piacere in un prossimo appuntamento, promesso.
Grazie infinite delle visite a diVINando, a mercoledì prossimo dunque!
“..E’ il punto di incontro tra il valore spirituale e quello materiale, che appaga l’uomo e finalmente lo disarma”..
Cara Silvia, tra le parole che designano la tua dama di questa settimana, mi piacciono in particolare queste: cosa c’è di meglio che l’appagamento di un sogno? Il sentirsi in pace con la propria anima e in sintonia con la propria coscienza di povero mortale al termine di una giornata dopo mille e mille giorni passati in trincea, a combattere più con le proprie ombre che con nemici reali.
E quanto è più bello se questo appagamento, che sia completo, goduto, non subito, passivo, deriva dall’essere amato. E si pensa a quanto la casualità degli incontri della vita a volte sia munifica, a volte così avara.
Ti propongo la figura di Pier Francesco Orsini, detto Vicino, signore di Bomarzo, letterato e uomo d’armi del fiero Rinascimento italiano, principe e anarchico sognatore che, (anche) in onore dell’amatissima moglie Giulia Farnese, fece costruire quello che oggi è conosciuto come il Parco dei Mostri, "sol per sfogare il core".
Un’opera fatta costruire, come ispirava il perso gusto di allora, per stupire, per dare gioia, per contribuire alla bellezza del mondo, una villa delle meraviglie e un bosco sacro cui lavorarono pittori e architetti dal 1552 a 1580. Fra essi Pirro Logorio, successore di Michelangelo nei lavori di San Pietro.
E, fra la celebre bocca degli inferi, colossali statue di eroi mitologici o di bizzarri animali scolpiti nella roccia, alberi e alcove, ville “storte” dagli effetti allucinanti, il cuore trovava sfogo…Così come riporta una scritta proprio sul labbro superiore della bocca d’orco che attira agli inferi: OGNI PENSIERO VOLA.
Alto e basso, giorno e notte…
...la porta della cantina è come una bocca, come quelle degli orchi del giardino di Bomarzo. “Chi penetrerà tra le sue mascelle?”, si dice nel libro di Giobbe. “Chi aprirà le porte della sua bocca?.
Rileggo da "Eros e vino", rammentando che si cita il bosco di Bomarzo, meraviglia barocca... capriccio o discesa negli inferi?
Come al solito vai oltre, caro Antonio, e mi stimoli nuove associazioni d'immagini...per meritarsi donne/uomini disarmanti occorrerà varcare la porta dell'Ombra? Sospetto di sì.
Intrigante coppia. Pirandello avrebbe lasciato il passo al Vicino con piacere.
Posta un commento