mercoledì 5 agosto 2009

Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi. Bocca di rosa, o dell'amore universale




Ho avuto l'occasione, nel giugno scorso, di visitare la splendida mostra dedicata a Fabrizio De André a dieci anni dalla scomparsa, allestita a Palazzo Ducale a Genova, in occasione della partecipazione, con i miei vini, a Terroir Vino: bellissima, mi ha riportato alla mente tutte le donne, muse ispiratrici, che Faber canta..."Io dedico questa canzone ad ogni donna pensata come amore, in un attimo di libertà..." (da Le passanti).



Questo mercoledì Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi lo dedico a Bocca di Rosa, che l'amore lo faceva per passione...

Per De André la donna non è mai passivo oggetto di desiderio, è persona viva, vittima di tre grandi sacrifici, quello della maternità, della verginità, dell'egoismo del maschio.



Le prostitute Jamina, africana, la dolcissima Marinella, che annega proprio dopo aver incontrato il suo amore, fanno compagnia al ritratto che pare fosse il più caro al cantore degli ultimi. Bocca di rosa, colei che l'amore non lo faceva né per noia né per professione, ma che si ritrova appiccicata addosso l'etichetta di prostituta dalle altre donne.

Il "rispettoso bardo delle donne", come lo definisce Liana Nissim rileggendo "Fabrizio De André. Accordi eretici", ci racconta della libertà sessuale senza falsi pudori: splendido esempio di umanità, Bocca di rosa “metteva l’amore sopra ogni cosa”.

Sant'Ilario, un paesino della nostra Italietta, diventa il simbolo dell'intero nostro mondo con l'indice alzato, impaziente di condannare, discriminare, espellere chi soltanto sia sospettato di minacciare, con la sua presenza "eretica" (libera di scegliere), l'ordine costituito.



Ma, alla stazione successiva...molta più gente di quando partiva / chi manda un bacio chi getta un fiore / chi si prenota per due ore.

"È la denuncia dell'ipocrisia borghese, del falso perbenismo, di quelli che sono sempre pronti a condannare gli altri salvo poi contribuire alla loro dannazione come il vecchio professore della Città Vecchia, quello che di giorno chiama con disprezzo pubblica moglie / quella che di notte stabilisce il prezzo alle sue voglie".



La caccia alla strega è condotta con particolare acredine dalle donne del paese, le cornificate, cagnette a cui aveva sottratto l'osso che scatenano sulla malcapitata la loro ira funesta.

Anche se solo per un poco, Bocca di rosa ha portato l'amore nel paese: a niente valgono gli sguardi commossi di chi ne ricorda i baci, i carabinieri devono accompagnarla a prendere il treno. Bocca di rosa è cacciata, non gradita. Troppo libera, troppo bella, troppo curiosa. Troppo generosa? Troppo di tutto. E allora la si sacrifica sull'altare del quieto vivere.

La salvano parole come quelle di De André, che, nel rendere protagonisti i derelitti, rivendica il diritto per tutti al libero arbitrio, alla difesa dell'individualità contro ogni convenzione. Non c'è condanna sociale per chi affronta la propria esperienza in maniera diversa da quella che la società tenta di imporre. C'è il rispetto e l'umana com-passione.

"[...] Le ho scritte così, come mi hanno aggredito. Per incontenibile affiorare di memoria. [...] Talvolta il ricordo mi arrivava da molto lontano: dai balli a palchetto nelle campagne astigiane degli anni Cinquanta, dove un paio di labbra impiastricciate di viola, la cucitura di una calza di seta che scompariva nella "terra promessa", il balcone dipinto di verde della casa di mia nonna diventavano i particolari di una memoria diversa e più recente: dalle labbra di "Bocca di Rosa" alla disperata attrazione per la stanza semibuia di Via del Campo" (dalla postfazione di Fabrizio De André al saggio "La lingua cantata", Garamond, 1995).

... Tu che m'ascolti insegnami un alfabeto che sia / differente da quello della mia vigliaccheria...

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