mercoledì 16 settembre 2009

Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi. Antonia Pozzi, parole al minimo di peso



13 febbraio 1912: nasce Antonia Pozzi, bionda, minuta, delicatissima, tanto da rischiare di non farcela a durare sulla scena del mondo; ma la vita ha le sue rivincite e Antonia cresce: è una bella bambina, come la ritraggono molte fotografie, dalle quali sembra trasudare tutto l’amore e la gioia dei genitori, l’avvocato Roberto Pozzi, originario di Laveno, e la contessa Lina, figlia del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana e di Maria Gramignola, proprietari di una vasta tenuta terriera, detta La Zelata, a, Bereguardo. Il 3 marzo la piccola viene battezzata in San Babila ed eredita il nome del nonno, primo di una serie di nomi parentali (Rosa, Elisa, Maria,Giovanna, Emma), che indicherà per sempre la sua identità. Antonia cresce, dunque, in un ambiente colto e raffinato: il padre avvocato, già noto a Milano; la madre, educata nel Collegio Bianconi di Monza, conosce bene il francese e l’inglese e legge molto, soprattutto autori stranieri, suona il pianoforte e ama la musica classica, frequenta la Scala, dove poi la seguirà anche Antonia; ha mani particolarmente abili al disegno e al ricamo. Il nonno Antonio è persona coltissima, storico noto e apprezzato del Pavese, amante dell’arte, versato nel disegno e nell’acquerello. La nonna, Maria, vivacissima e sensibilissima, figlia di Elisa Grossi, a sua volta figlia del più famoso Tommaso, che Antonia chiamerà “Nena” e con la quale avrà fin da bambina un rapporto di tenerissimo affetto e di profonda intesa. Bisogna, poi, aggiungere la zia Ida, sorella del padre, maestra, che sarà la compagna di Antonia in molti suoi viaggi; le tre zie materne, presso le quali Antonia trascorrerà brevi periodi di vacanza tra l’infanzia e la prima adolescenza; la nonna paterna, Rosa, anch’essa maestra, che muore però quando Antonia è ancora bambina...




Ad Antonia Pozzi, la delicata poetessa, fotografa e scalatrice milanese - le cui parole "sono asciutte e dure come i sassi" o "vestite di veli bianchi strappati", ridotte al "minimo di peso", come ne scrive Montale, e trasferiscono peso e sostanza alle immagini, per liberarne l'animo oppresso ed effondere il sentimento nelle cose trasfigurate in simbolo - è dedicato questo mercoledì Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi.

E nell'ambito della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia proprio ad Antonia Pozzi è dedicata la presentazione, l'11 settembre 2009, di "Poesia che mi guardi", il film di Marina Spada, prodotto dalla Miro Film, come "Evento speciale" nella selezione delle Giornate degli Autori, film che il 19 settembre vedrà la proiezione a Milano.



"Bellezza"

Ti do me stessa,
le mie notti insonni,
i lunghi sorsi
di cielo e stelle - bevuti
sulle montagne,
la brezza dei mari percorsi
verso albe remote.

Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe.

Ti do me stessa,
i meriggi
sul ciglio delle cascate,
i tramonti
ai piedi delle statue, sulle colline,
fra tronchi di cipressi animati
di nidi -

E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
vivo nel cerchio
degli orizzonti,
piegato al vento
limpido - della bellezza:
e tu lascia ch’io guardi questi occhi
che Dio ti ha dati,
così densi di cielo -
profondi come secoli di luce
inabissati al di là
delle vette -




Antonia Pozzi è straziata dalla paura dello scorrere del tempo, un mal di vivere che non la abbandonerà mai, fino al suicidio il 3 dicembre del '38, quando fu trovata addormentata nella neve, semiassiderata e imbottita di barbiturici su un prato vicino all’Abbazia di Chiaravalle. Aveva ventisei anni.

Ad Antonia, all'apparenza, non mancava niente: proveniva da una famiglia ricca, alto borghese; era di spirito, intelligente; i suoi genitori la adoravano, riservandole il meglio che la società del tempo concedeva, viaggi, lezioni di piano, il posto alla Scala di Milano. Una vita di parvenze: sotto la maschera della brava figlia borghese, la sua anima va in pezzi.

Un amore infelice, contrastato in tutti i modi dalla famiglia di lei, le opprime definitivamente lo spirito: la cultura straordinaria, la passione con cui trasferisce il sapere agli allievi, la statura morale del suo professore di greco e latino, Antonio Maria Cervi, affascina Antonia. Il maestro non ha niente di desiderabile nell'aspetto, ma la forza che il professore infonde nella sua missione di educatore la conquista subito. Amano il bello, il sapere, l'arte. E amano la poesia, entrambi.

"(...) inoltre il professore, ha qualcosa negli occhi che parla di dolore profondo, anche se cerca di nasconderlo, e Antonia ha un animo troppo sensibile per non coglierlo: il fascino diventa ben presto amore e sarà un amore tanto intenso quanto tragico, perché ostacolato con tutti i mezzi dal padre e che vedrà la rinuncia alla “vita sognata” nel 1933".

"La vita sognata"

Chi mi parla non sa
che io ho vissuto un'altra vita -
come chi dica
una fiaba
o una parabola santa.

Perchè tu eri
la purità mia,
tu cui un'onda bianca
di tristezza cadeva sul volto
se ti chiamavano con labbra impure,
tu cui lacrime dolci
correvano nel profondo degli occhi
se guardavano in alto -
e così ti parevo più bella.

O velo
tu - della mia giovinezza,
mia veste chiara,
verità svanita -
o nodo
lucente - di tutta una vita
che fu sognata - forse -
oh, per averti sognata,
mia vita cara,
benedico i giorni che restano -
il ramo morto di tutti i giorni che restano,
che servono
per piangere te.

25 settembre 1933

2 commenti:

Antonio ha detto...

Cara Silvia,
come spesso accade, almeno a me, si parte da un'idea nata chissà come e alla fine si arriva ad un'altra, collegata e sconosciuta...
Però forse migliore...chissà.

Per la tua dama odierna, di cui ti sono come al solito grato, avevo pensato, come base di partenza, alla leggerezza, al gusto del viaggio, alla libertà.
Della mia omonima doti, vocazioni, aneliti. Anche illusioni?

Avevo pensato a Jonathan Livingstone, non l'esploratore, il gabbiano....un "cavaliere" strano, bizzarro, ma che ben si confaceva all'eterna partenza di Antonia..
Di lì però sono passato a lato, e ti propongo invece Russell Munson, il fotografo-aviatore che ha illustrato il libro di Richard Bach.
Così il suo sito racconta la collaborazione: "
In the late 1960’s, Russell Munson’s friend Richard Bach had written a fable about a seagull who more than anything else loved to fly. The manuscript was rejected by almost every publisher on earth, but caught the interest of Eleanor Friede then at Macmillan Publishing Company. She wanted to publish the book, but said it needed to be illustrated. Bach suggested using Munson’s photography, and the book, “Jonathan Livingston Seagull” was born".
Da manoscritto reietto a capolavoro consacrato: è così breve il passo?

Per la tua dama, Russell. Per lei, per te e per chi le vorrà vedere o ricordare, le sue foto straordinarie (www.russellmunson.com).

Di lui Bach ha detto: "Russel Munson non è un fotografo; è un carpentiere mistico cosmico. Quello che crea con la sua macchina fotografica non sono fotografie, ma porte, ognuna delle quali ci invita a passare attraverso di essa diventando parte della scena vivente."

silvia ha detto...

Ma che belle, Antonio! Conoscevo il libro ma non il fotografo: l'immagine dalla cabina dell'aereo, in particolare, è bellissima...grazie a te che me lo hai fatto conoscere!! Il connubio con la nostra Antonia sarebbe stato certamente ricco di stimoli...entrambi attirati dall'elevazione, lei delicata scalatrice, il fotografo aviatore- affascianto dai cieli. Un volo infinito....
Un abbraccio.