giovedì 15 settembre 2011

“UN MONDO DI-VINO” di Gentjan Kovaci il primo dei racconti segnalati per "Wine on the road"




Al via la pubblicazione di tutti i racconti “segnalati” al quinto concorso letterario di Villa Petriolo “Wine on the road”!
Eccovi il primo.

Gentjan Kovaci, nato a Berat nel 1973 e residente e a Battipaglia (SA), ci racconta di sé: “Nato sotto la dittatura e cresciuto durante una delle fasi più turbolente dell’Albania, ho avuto purtroppo modo di vivere in pochi anni più esperienze di quante ne possa vivere un Europeo medio in cent’anni. Dopo vari lavori in vari paesi d’Europa, mi trovo da più di dieci anni in Italia, dove continuo a svolgere vari lavori. Da un po’ ho cominciato a scrivere, incoraggiato e aiutato da un’amica benevola, forse convinta di fare di me un novello Anildo Ibrahimi”.


Racconto “UN MONDO DI-VINO” di Gentjan Kovaci

In Albania più che altro era la rakia. Quella dei matrimoni, delle feste dentro e fuori casa, dei cori berciati nelle nottate etiliche, dei bar densi di fumo di alcool,imprecazioni e sigarette. Quella di tempi che ricordi belli e felici anche se sai bui e tormentati. In Grecia era qualche residuo trovato in una brocca nella credenza di un casolare diroccato e abbandonato, come triste reliquia di storie passate. Dalla superficie compatta di moscerini e polvere,la suggestione decadente di vicende lontane, l’aspetto indefinito di una bevanda oscura e il sapore indefinibile della medicina per l’ammalato, eri disposto a considerarlo vino, dopo un giorno di fatica. Ma poteva anche essere il bicchiere incrostato che una mano pietosa ti porgeva nei campi per un raro momento, breve e fugace,di riconciliazione con l’avversa umanità. Anche quei sorsi asprignie sinceri li conservi in tempi che consideri belli, scordando la fatica e rivedendone solo l’energia e la speranza. In Germania ovviamente,inevitabilmente era la birra. Vino poco e caro,da tenere come un tesoro e consumare in rare sere, sempre a lume di candela. Non perchè non ci sia la luce ma perchè a loro piace così, con quella luce tremolante che non ti fa capire cos’hai nel piatto e nel bicchiere e magari chi hai di fronte e rende tutto così affascinante. Ma birra tanta. Di notte, di giorno, con la pioggia e con il sole, birra a fiumi, a cascate, a go-go, birra a strafottere in ogni luogo e circostanza. Ma noi non siamo loro, e non lo possiamo diventare, e quei boccali enormi che mandano giù tutto d’un fiato ci fanno ubriacare e pisciare già solo a vederli. Studiamo da Tedeschi ma continuiamo a sorseggiare, e resteremo sempre estranei alle tavolate rumorose e scomposte di questo popolo altrimenti così efficiente e composto. Forse troppo efficiente, forse troppo composto.
Più congeniale la Spagna, con le sue cuevas e la sua calle.
Spagna uguale esplosione di vita,Spagna uguale sole e mare.
Vuoi mettere? Spagnoli socievoli, estroversi, esuberanti. Luoghi comuni, ma se sono comuni un motivo ci sarà.E questo luogo corrisponde esattamente al mio immaginario. Vitale, chiassoso, fatto di vino di cattiva qualità ma a buon mercato, gioioso, festoso, bevuto in allegria. Ma viene il momento che la festa non ti basta, la vitalità e l’allegria non ti sono sufficienti, perchè adesso vuoi di più. Vuoi di più, vuoi dell’altro, vuoi il massimo, vuoi un altro im-maginario: questa volta vuoi l’America! L’America con i suoi orizzonti smisurati, con le sue strade a perdita d’occhio, le sue città a perdita d’occhio, le praterie a perdita d’occhio. Tutto a perdita d’occhio, così ci hanno insegnato. Tutto grande, tutto smisurato, sovradimensionato, anche le persone. E i bicchieri, i piatti,le posate. Voglio vedere se è vero che anche le confezioni sono enormi, tutte: del latte, dello zucchero, del succo di frutta, di quello che chiamano vino. Tutto pessimo, tutto abbondante. Basta con la qualità, voglio la quantità. Basta con le piccole cose, i confini angusti,gli ambiti ristretti,le prospettive limitate, i progetti a breve termine, una vita sempre al risparmio, spazi circoscritti, visioni contenute. Proteggono ma poi soffocano. Via, via, via, aria, scappare. Verso la velocità, l’elefantiasi, la leggerezza, la superficialità.
Voglio una macchina grande, una casa grande,una vita grande. Enormi tetrapak di simil vino bevuto davanti alla televisione senza fare alcuna distinzione tra lui e la CocaCola. Tutto così inutile, così superfluo,così sgraziato, ma così facile e rassicurante!
Che atroce scherzo crudele del destino ritrovarsi invece in Francia, dove è tutto mignon, tutto petit, tutto un bonbon!
Dove il vino è un grande dio e i Francesi i suoi unici profeti. Perchè il loro vino è il migliore al mondo,come il loro formaggio, la loro moda, la loro cucina, la loro storia e la loro merda, come i quali nessuno mai. Non che siano male i Francesi, per carità, come anche le loro cose, ma tutto quello sciscì e sciascià, e ollallà e ollacquà e duddù daddaddà, a me che aspiro ad essere un po’ rude e primitivo non mi entusiasmano. Diciamo che non è con loro che volevo passare il resto dei miei anni.
Così come non li volevo passare in Italia, non so neanche perchè mi ci sono trovato. L’ennesimo tentativo per la grande America? Un luogo di passaggio per andare non so dove? Una meta provvisoria per poi fare non so cosa? Certo non avevo mai pensato all’Italia, pur avendola di fronte. Ma la vita è così indipendente da noi! E poi qui il vino è buono,sarà per questo che mi sono fermato. Sarà per quel bicchiere di troppo che mi ha fatto trovare una donna. Da sobrio non è il massimo, ma per lei stranamente io lo sono. Sarà per quel bicchiere in compagnia che mi ha fatto trovare un lavoro. Non è il massimo, ma mi dà di che vivere e andare avanti. Sarà perchè tra un bicchiere e l’altro gli anni sono passati, e mi sono fatto come si suol dire una vita. Non è il massimo, ma è una vita, coi suoi alti e i suoi bassi, come quella di tutti. Poteva andare meglio, poteva andare peggio. Il vino buono a tavola tutti i giorni non me lo posso permettere, ma vado spesso con gli amici per cantine. A mezza bottiglia rivedo un sirtaki con tanta stanchezza ma tante speranze,a fine bottiglia un flamenco irridente sudato e travolgente, alla seconda neanche ci arrivo se voglio evitare il rimpianto mieloso e nostalgico per la bionda dolce e bella che non voleva farmi partire. Ma era troppo bella e dolce per me, e per questo sono partito. O no? O perchè sono partito? Forse perchè partivano tutti? O perchè il nostro vino fa schifo e la rakia è buona ma disperata? O per una donna che non è il massimo, ma non è neanche male, un lavoro che non è il massimo, ma non è neanche male, una vita che non è il massimo, ma non è neanche male? E’questo che cercavo? E se non è questo, mi direbbe la terza bottiglia, meglio accontentarsi o continuare a cercare? Rassegnarsi o continuare a lottare? Considerarsi arrivato o prepararsi a ripartire? Per nuove terre, nuove genti, nuovi amori, nuovi aromi, nuove bottiglie.

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