mercoledì 21 settembre 2011

UNA CANDELA di Laura Beconcini per "Wine on the road", concorso letterario 2011 di Villa Petriolo



Un altro bel racconto segnalato a “Wine on the road. Appunti di viaggio…per cantine”, il quinto concorso letterario di Villa Petriolo. Laura Beconcini si è meritata anche il premio per l’immagine realizzata a corredo del suo racconto. Tanti complimenti da Villa Petriolo!



Laura Beconcini, nata a Empoli, abita Sovigliana-Vinci (FI). Bibliotecaria prestata all’attività amministrativa (lavora al Comune di San Miniato), è da sempre una lettrice, con un interesse particolare per la letteratura e il pensiero del Novecento, una spettatrice di cinema e di teatro. Collabora con associazioni e biblioteche, vicine e lontane. Nell’ultimo anno ha avuto occasione di approfondire temi e aspetti di due autrici che studia da sempre, per fortuna non più inattuali, Cristina Campo e Margherita Guidacci. “Non sono astemia”, dice di sé.

Racconto “UNA CANDELA” di Laura Beconcini

Prologo

Una candela. La vasca vuota. Una foresta di pietra. L’apertura nel cielo.
Piero. Icone e ferrovie. Acqua e vento. Oggetti che si muovono. Un albero senza foglie e una bicicletta nel cielo del nord.
Tra la nebbia che si alza dall’acqua, tra la rocca di Castiglione e le voci basse, un ricordo si inanella.
Una ragazza e due ragazzi viaggiano per la Toscana, dopo aver visto l’ultimo film di un regista russo che loro amano. Soprattutto lei che porta negli occhi il vento sull’erba, un piccolo miracolo in movimento.
Vengono da lontano a trovarla e vuole restituire un favore. Le hanno fatto scoprire i luoghi di un altro film dolente e meraviglioso, un albergo senza tempo in cui lei ha potuto passeggiare e infiltrarsi tra i corridoi verdi e il giardino interno. A quell’epoca anche lei era bella, non come Monica, certo, né come Lea, ma aveva un vestito bianco a pois neri, leggero.
Accompagna gli amici siciliani solo in alcuni di quei luoghi, all’apertura nel cielo.
Con gli anni torna sui passi del regista russo. In inverno scopre la vasca piena, e la foresta di roccia qualche chilometro a sud, in primavera Piero e le sue strade.
Difende sola tra amici razionalisti, l’ultimo film del regista. Continua ad amare smodatamente alcuni dei suoi film.
E’ nata in zona di Chianti, ma non è il suo vino. In una famiglia di contadini e muratori, di ragionieri e confezioniste, si beve un rosso pastoso, volgare e irritante. E’ abituata a bere vino fin da piccola, e a volte anche piccola, eccede un po’ durante le feste di famiglia, quando i grandi litigano di politica e gridano. Non si lasciano eccedere i piccoli, ma evidentemente nessuno se ne accorge.
I suoi amici siciliani la prendono in giro, per quei bicchieri di vino che beve. Studiano medicina, come lei amano e vivono il cinema come una necessità. Non si sobbarca quei lunghi viaggi in treno solo per loro. Forse per discutere e litigare su Wenders o Fassbinder di notte, davanti a signore attonite e assonnate.
Ricorda poco di quel vino siciliano, forte e luminoso oppure bianco e spugnoso.
Ha scoperto nei dintorni della vasca dei vini rossi e tersi, leggermente asprigni a volte, oppure morbidi e ondulati, e ancora, qualche chilometro più in là, scuri e maschili. Quando va in quei luoghi, l’acqua calda e calcarea e i vini la coccolano e cullano, le permettono di rientrare sotto il mantello di Piero.
Non è una viaggiatrice, e talvolta quando si trova a una tavolata di amici viaggiatori – turisti non si usa, è una parola volgare, non si va in vacanza, si viaggia – è in seria difficoltà e si vergogna a chiedere. La sua geografia è costruita su film e libri, poesie. Si zittisce definitivamente quando un amico le dice che Venezia è una città svuotata di senso, una giostra.
Non così per lei che ha passeggiato di notte dopo i film con un ragazzo perso pochi mesi dopo, che ha preso un traghetto a notte fonda – o di prima mattina? – per una destinazione di cui non ricorda il nome, così lontana dal Lido che dopo il traghetto hanno dovuto fare l’autostop. La sua Venezia non è morte, ma ricongiungimento e salvezza. O almeno villeggiatura.
A Venezia bisogna perdersi tra calli e dorsi, per scoprire una trattoria su una specie d’alzanella, o una piccola porta.
Il vino e il cibo segnano i ricordi. I sapori fiutati con gli amici, le risate di un coniglio al brunello, - ma era proprio brunello? –, un nobile bevuto in un bicchiere di plastica, un calice di champagne in una cinquecento senza paraurti, oppure vini illustri con l’analisi dettagliata dei retrogusti, grazie a un’amica appassionata che ricorda nomi, vitigni e osti.

La storia

E’ astemia. E’ una troia. Non è un sillogismo cartesiano, è una constatazione. Senza offesa per chi la dà, anzi.
Il servizio sui vini della costa dovevo farlo io, ma è riuscita a farsi scegliere. Chissà, li annuserà o ci si laverà le mani.
Dalla prima cantina della lista, Luigi mi chiama.
- Non dovevi farlo tu questo reportage? Dove l’hanno trovata quella balena presuntuosa?
- Sono grassa anch’io. Non offendere.
- Ma non sei è presuntuosa
Tutte le volte spero che qualcuno mi risponda: tu non sei grassa, ma non capita mai.
- Non li degusta, si bagna le labbra. Cosa mai potrà scrivere. Non ci chiede niente di sensato, che sappia di terra,
- Così ha deciso il direttore, non posso farci nulla.
- Sarà abbagliata dalle dimensioni e dalla sontuosità delle cantine, berrà le luci e premierà lo sfarzo.
- Non ti preoccupare, chi conosce il vino non le crederà.
- Sì, ma gli altri? Mi ha detto che vogliono vendere il servizio a riviste di viaggi e settimanali femminili.
- Mi torna tutto allora.
- A te. Ma a noi cosa tornerà? Sono venuti qui hanno comprato terreni e costruito astronavi, non siamo nemmeno sicuri che l’uva sia tutta di qui!
- Non fare il puro. Qualche aggiunta l’hai fatta anche tu.
- Siamo all’inizio della stagione estiva. Non credo lo abbiano affidato a quella troia per caso. Lo sappiamo tutti che prendono soldi e ordini, lei e il cagnolino da lecco
- Di chi stai parlando?
- Del suo scagnozzo, di quella sanguisuga che dice di fare i fotografo.
- Calmati. Devo lasciarti. Passo a trovarti.
- D’accordo. Mi sono sfogato. A presto.
Quando mi aveva chiamato ero in Romagna, in una splendida cantina a bere albana bianco, tranquillo e dignitoso. Dopo il primo sconforto, la perdita del servizio era divenuta una splendida occasione per progettare nuovi incontri. Per caso un amico mi aveva presentata a Dino che pochi giorni dopo mi aveva chiamata. Forse merito del comune amore per Claudio Lolli. Per ora l’albana era il centro dei miei pensieri.
Qualche giorno dopo Dino arriva sventolando un giornale nazionale.
- E’ morta. Evelina è morta ieri
- Morta?
- L’hanno trovata con il viso affondato in un dolce. Uno spettacolo comico, sembra.
- Non è possibile. Cosa ha avuto? Un ictus, un infarto?
- Shock anafilattico. Era un dolce alle mandorle e lei era allergica.
- Certo, lo sapevamo tutti. Era terrorizzata dalle mandorle. Ma come ha fatto a mangiare un dolce alle mandorle?
- Pensano che qualcuno l’abbia spinta con la testa nel dolce e quindi aspettato che non respirasse più
- Ma sembra un giallo di Ellery Queen!
Leggo l’articolo. Mi impaurisco quando leggo il mio nome come “avversaria” della vittima.
- Cosa c’entro io?
- Avete lavorato insieme, avete litigato anche pubblicamente a proposito di vini famosi e potenti e certo non sei stata tenera.
- Non penseranno mica che possa averla uccisa io. Magari posso aver sperato che picchiasse in un muro insieme al suo cagnolino da lecco.
- A chi?
- Quella specie di barboncino-fotografo che aveva fatto assumere e che si portava sempre dietro, Alvaro. Ma è stato tempo fa, prima di capire che smettere di lavorare alla rivista era in realtà una liberazione.
- Andrai al funerale?
- Non so, forse dovrei. Mi si noterà di più se non vado, se vado e resto in disparte…
- Stamani sei ovvia nelle citazioni.
- Forse perché è in fondo ovvia la situazione.
- Non pensi di chiamare il direttore?
Non fa in tempo, perché la chiama lui.
- Hai saputo? La odiavate tutti, sarete contenti
Rimango senza parole
- Odiavate? L’odio è un sentimento importante, a me stava antipatica, sul cazzo come diresti tu. L’odio è forte e silenzioso, con lei tutti abbiamo litigato, era solo una povera stronza. Ridicola, con quei seni sempre strizzati e il cagnolino al fianco. Non si uccide una persona ridicola, lo ha già fatto da sola.
- Non ha mai avuto un cane.
- Ascolta è morta in malo modo. Finiamola. Quando c’è il funerale? Vorrei esserci, nonostante tutto.
L’assassino è ovvio era il barboncino, sul punto di essere mollato per un fattore, come si chiamavano una volta, senza inutili inglesismi, ruvido e ricco. Chissà se lo aveva fatto per amore o per soldi.
Questo pensavo seduta in Sala Grande, al Lido dopo tanti anni, con nostalgia per gli amici perduti e felice di non aver perso tempo dietro al nuovo cinema italiano, felice di essere ancora una volta al cinema.

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