venerdì 23 settembre 2011
Wine on the road: il racconto LA RICERCA DELLO SHIRAZ PERFETTO di Giorgio Macauda
La pubblicazione di tutti i racconti “segnalati” ci accompagnerà sino al 2 ottobre, giorno della cerimonia di premiazione del concorso letterario di Villa Petriolo “Wine on the road”.
Oggi DiVINando pubblica “La ricerca della Shiraz perfetto”. A Giorgio Macauda i nostri complimenti!
Giorgio Macauda è nato nel 1980 a Ragusa e vive a Pisa.
"Laureato in Informatica, spera - contro ogni logica evidenza - di diventare insegnante alle superiori. E' autore del sito di viaggi duepassiapiedi (http://duepassiapiedi.altervista.org). Si occupa anche di Commercio Equo e Solidale, scrivendo per la rivista 'Il Chicco di Senape' http://chiccodisenape.altervista.org/rivista/paginaweb/rivista2.html). Nel 2010 vince la seconda edizione del premio creativo per giovani viaggiatori 'Movimenti'".
Racconto “LA RICERCA DELLO SHIRAZ PERFETTO” di Giorgio Macauda
"Non esiste lo Shiraz perfetto" ammonì l'anziano vignaiolo, puntandomi i suoi occhi azzurro-limpido trasparenti addosso.
"Ma questo gli si avvicina" conciliò un istante dopo, più pacato, versandomene due dita. Rollai il bicchiere, annusai gli odori racchiusi dentro, odori di vigneto, ferro e ruggine -di terra australe -, e lo portai alle labbra. Dopo il primo sorso mi rilassai, lasciandomi ricadere sulla sedia. Si poteva dire che la mia ricerca era conclusa.
Avevo iniziato quel viaggio equipaggiato di uno zaino e un paio di scarponcini pronti a impolverarsi della terra rossa del centro Australia. Girai le foreste pluviali del Queensland, in motorino o a piedi, attraversai l'Outback con un passaggio a bordo di un van, raggiunsi il South sul leggendario Ghan. Avrei fatto ritorno a Melbourne costeggiando la Great Ocean Road con una macchina da riportare indietro per conto di un'agenzia di noleggio auto. Ogni fase del viaggio apportava nuove risposte alle mie domande, nuove conquiste, nuovi dubbi. Nuove storie, nuovi racconti.
Nella Mc Laren Valley, il mio obiettivo, il piano che mi ero proposto, era un altisonante "Ricerca Dello Shiraz Perfetto".
Ricerca iniziata a Melton, sobborgo rurale di Melbourne, il giorno dei settant'anni di mio padre che, per una coincidenza, capitarono in Australia.
Gino e Libera, per tre lunghi mesi, ci sistemarono in un vagone ferroviario adibito ad alloggio per gli ospiti. Vagone che Gino si era procurato nell'86 in cambio di una cassa di birra. Mentre loro e i miei trascorrevano assieme le giornate, improntate sui ritmi della campagna, io partii per scoprire il Paese, per conoscere -Ulisse postmoderno- tutto lo scibile australe (se non planetario), e trovare infine me stesso.
Witchmount, lo Shiraz più buono del mondo, e una vineria sull’orlo di una crisi economica.
Tony Ramunno, quel giorno del 2008, era rinchiuso assieme al padre ed al ragioniere nell'ufficio al piano di sopra. Avevano lasciato detto che non venissero disturbati per nessun motivo al mondo. Stavano tirando i conti dell'annata, e anche stavolta c'era da sciogliere l'usuale dilemma che li accompagnava ormai da anni: chiudere oppure no l'azienda.
Tra il terremoto delle cartacce sparse sul tavolo, dei conti, delle fatture, tra le bottiglie impolverate sugli scaffali, tra i telefoni sommersi dalle bolle d'accompagnamento, tra le matite scomparse sotto al marasma dei fogli, si insinuarono dei colpi bussati alla porta.
Dapprima li ignorarono, ma quelli si fecero più vivi.
Tony si alzò sconfortato, e andò ad aprire. La figura secca e sbiadita del capo-magazziniere gli si stagliò davanti.
"C'è una telefonata. Molto importante....". "Avevo detto che non ci siamo stamani, per nes..." "Mi creda, signor Tony. -lo interruppe l'anziano operaio- È molto, molto importante...". Fece una pausa per raccogliere forze e coraggio: "Viene dalla Francia".
A quelle parole Tony, anche se non ci credette, capì tutto.
Il giorno seguente, alla Witchmount, la calca delle persone aveva comperato una quantità di casse bastante per affogarci mezza Melton. Tutt'a un tratto il loro Shiraz era divenuto celebre (il "Miglior Shiraz del Mondo") e apprezzato. La riserva dell'annata 2004 terminò in una mattinata. I conti ritornarono in pari, anzi adesso eccedevano in positivo, e si poteva continuare a far nascere ancora del buon vino.
Così ci raccontava Tony, mentre degustavamo alcuni prodotti delle sue cantine, prima di tornare al compleanno del mio vecchio. Lo salutammo, malfermi sulle gambe, e prendemmo il viottolo per recuperare il furgoncino con un paio di bottiglie in mano, rassegnati all'idea del pranzo epocale che Libera e mia madre stavano preparando già dall'inizio della giornata.
Viaggiano i perdenti, e impiantano vigneti ovunque.
Nello stesso anno in cui Gino si imbarcava per Melbourne -era il 1952- emigrava verso l'Australia anche Menico Scarpantoni.
Sbarcò nel Sud, ad Adelaide per poi sistemarsi nella Valle McLaren. Lì cominciò a lavorare alla raccolta delle uve e alla produzione dei mosti. Nel 1958, mentre Libera arrivava anche lei al porto di Melbourne, comprò il suo primo appezzamento di terreno per produrre il suo vino. Oggi il nome della sua azienda compare nella Lonely Planet.
Le storie dei migranti mi hanno sempre emozionato. Non so esattamente cosa sia. Forse il riscatto degli umili, dei sans-papiers, degli esclusi (perché poi ai musei ci sono solo le storie di chi ce l'ha fatta. Chi viene respinto, chi affoga -letteralmente o metaforicamente- chi sparisce nel nulla, difficilmente trova posto in queste cassapanche della memoria). Forse mi piace l'idea che sia possibile convivere insieme sullo stesso suolo, che si possa costruire un mondo più decente, che l'umanità, in fondo, possa farcela.
Moissa e Modu, in Sengal, erano pescatori. Adesso vendono fazzoletti e accendini per le strade di Pisa. Quando li incontro, anche se so che fanno una vita dura, li vedo spesso sorridere. Ci facciamo due chiacchiere, parliamo di un po' di tutto, gli compro qualche braccialetto. Nel tempo siamo diventati amici. Anche loro due -seppur a prima vista invisibili- costituiscono la Storia di questo posto.
Seduto al banco della Scarpantoni Winery, odorando i vini versati nel bicchiere, pensavo e rimescolavo storie di migranti. Gli Italiani arrivati qui nel secondo dopoguerra, e gli Africani che sbarcano nel nostro Paese. Siciliani emigrati in Australia e Nordafricani emigrati in Sicilia. Venditori di frutta ai mercati, tornitori, operai. Raccoglitori di pomodori nelle serre, muratori, ambulanti.
Flussi. Di persone, di mestieri, di sentimenti, di memorie. Disseminati per mari e oceani, per cieli e per terre, attraversanti il pianeta in cerca di vite migliori. S'innestano nelle terre nuove, con un buco al cuore, una mancanza incolmabile e le radici a metà. Nell'arco di due generazioni sono già altro.
Ogni bottiglia contiene un racconto, e molti racconti nascono da una bottiglia.
Per raggiungere la Chapel Hill Winery mi toccò scavallare per tutti i saliscendi delle colline di McLaren Vale. Avevo affittato una bici per 5 dollari l'ora, e segnato sulla cartina alcune cantine da visitare. La ricerca dello Shiraz perfetto non era certo una cosa semplice.
Qui, odore di mosto e di chiostro, si avvinghiavano come sequenze di DNA, per creare sapori eterni. La voce suadente di Etta Jones accompagnava lenta il tramonto, mentre la banconista mi raccontava dei suoi viaggi in Italia, che io ricambiavo coi miei appunti australiani. Mi disse che le erano piaciute Napoli e Roma, mentre non era mai stata in Sicilia. Continuava a versarmi vini e a chiacchierare di luoghi visti e di luoghi ancora da vedere.
Io le narrai dei cammelli che avevamo rischiato di investire una notte nel Red Center, di come ci accampavamo nel bush con le tende, del Merlot e della carne di canguro cucinata sui barbecue delle aree di sosta, del mulgara che mi era entrato nei pantaloni, di Uluru che all'alba ti fa sentire parte del mondo, della terra rossa accumulata sul van, sugli zaini, sui taccuini, sui pantaloni.
Mi resi conto che attraversavo l'Australia alla ricerca degli altri. Non solo di storie o aneddoti da raccontare, di vite da raccattare e salvare dall'oblio, ma anche e forse più ancora di sentimenti, di emozioni. Ogni incontro poteva risolversi in un accenno di amicizia, di amore, di nostalgie future. Mi bastava un saluto un attimo più sentito, degli occhi lucidi, un abbraccio eterno. Incontravo persone e le perdevo poco dopo. Diventavano subito memoria.
Salutai la signora, invitandola ancora a visitare la Sicilia, inforcai la bici e cominciai a pedalare sotto al tramonto della McLaren Valley. L'Australia mi scorreva sotto ai piedi, il vino per il corpo. Per la mente correvano idee vaghe e felici di esistenze compiute, di vini perfetti, di viaggi indimenticabili.
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