venerdì 14 ottobre 2011

“UNA BOTTIGLIA D’ANNATA” di Claudia Barzaghi per Wine on the road, quinto concorso letterario di Villa Petriolo



Ancora un bel racconto per “Wine on the road”. Buona lettura!

Claudia Barzaghi è nata a Rho (Milano) nel 1980. Scrive di sé: “Claudia nasce un po’ alla volta, in date diverse. Impossibile ricordarle tutte. Scrive ascoltando Ludovico Einaudi e nel kit di primo soccorso tiene una bottiglia di champagne Goerg del 2002. Condivide la casa con Asia, proditorio felino mangiazucche, e Mary-Jo, poderoso lievito madre capace di rendere nuvola fragrante quanto viene panificato nel forno domestico. Sulla serenità dei tre veglia l’Abete-Dimora, saggio e solenne di fronte a quella casa arrivata dopo di lui e che se ne andrà prima”.

Complimenti a Claudia, che, con il racconto “Una bottiglia d’annata”, è stata segnalata al quinto concorso letterario di Villa Petriolo!

Racconto “UNA BOTTIGLIA D’ANNATA” di Claudia Barzaghi

Mi sono perso. Dannazione.
Ero lì. A pochi metri dall’arrivo. Ero lì.
E poi, d’improvviso, non c’ero più.
Prima il triangolino del navigatore si muoveva su una linea rossa. Ora galleggia nel nulla.
Il blackberry tossisce l’ennesimo trillo. Email di Anna: confermato appuntamento delle 15.
Non ce la farò mai a tornare per quell’ora. Cazzo.
Accosto a bordo strada, apro la portiera e scendo dall’auto.
Guardo a sinistra, mani sui fianchi. La strada scende. Sono arrivato da lì.
Proprio belle, queste Langhe. Soprattutto nei punti in cui non c’è un solo fottuto cartello indicatore. Mi volto a destra. La strada sale. Non si vede nulla oltre la curva della collina.
Discesa. Salita. Discesa. Salita.
Risalgo in auto, metto in moto e riparto.
Devo trovare Maletti, e anche alla svelta.
Barolo Maletti 1998: l’unico vino che posso far trovare al tavolo di Mr. Masai stasera. L’unico.
Quando me l’hanno presentato, Mr. Masai, appena saputo che sono italiano mi dice: Italia, Maletti, Barolo, 1998. Un’ossessione, cazzo. Come se in Italia non ci fosse altro. Avrà brindato con questo dannato vino quando lo hanno nominato presidente della Masai Fashion Group. E ora magari pensa che gli porti bene.
Certo che se non trovo la bottiglia, la cena parte in salita. E quando si parte male gli affari spesso saltano.
Da nove mesi nove, ci lavoro, a questo accordo con la Masai Fashion. La conquista del mercato giapponese appesa ad una bottiglia di vino. Assurdo.
Riprendo il biglietto su cui è segnato l’indirizzo. Anna l’ha recuperato per miracolo da un suo amico sommelier. Se vuoi il suo vino, devi andare da lui, le ha detto, non ci sono alternative. Ti vuole guardare in faccia. E poi, forse, te lo vende. Perché prima vuole vedere chi lo beve, il suo vino.
Questo fottuto Maletti non ha un sito internet, non ha un fax, non ha un cellulare.
Uno fuori dal mondo.
Uno che costringe anche te ad uscire dal mondo per comprargli una stramaledetta bottiglia.
Procedo lento su una strada stretta. Seguo la curva. Finalmente, una casa.
Devo chiedere informazioni.
Entro con l’auto nel cortile e parcheggio. Scendo, chiudo la portiera e mi guardo intorno.
Mi avvicino alla casa, punto la porta di ingresso. Accanto allo stipite, c’è una targa corrosa. Non riesco a leggere. Suono il campanello.
Aspetto qualche istante, mi sembrano minuti, poi ci riprovo.
Sospiro, arretrando di qualche passo.
Alzo lo sguardo verso le finestre, poi mi volto verso l’auto.
“Ha bisogno?”
Sobbalzo.
C’è un vecchio nel vano della porta.
Mi sta guardando dritto negli occhi. Puzza di mosto.
Sorrido.
“Buongiorno. Mi scusi il disturbo. Un’informazione. Cerco la cantina Maletti.”
“Nessuna cantina. Qui Maletti e basta. Cosa vuole?”
Gli sorrido. “E’ lei che vende vino?” domando.
Il vecchio mi trucida con lo sguardo.
Ancora il cellulare. Lo zittisco. Stiro le labbra in un sorriso.
“Mi servirebbe del Barolo del 1998. E’ per una cena importante, un ospite che viene da Tokio. Ne vorrei un paio di bottiglie.”
Il vecchio mi guarda, quindi guarda oltre le mie spalle.
Poi si volta ed entra in casa.
Mi guardo intorno, infine i miei occhi ricadono sulla porta. Oltre, il buio.
Faccio un passo ed entro in casa. Subito, ai miei piedi si apre una scala in pietra che scende.
Sento dei passi provenire dal fondo scala. Procedo a tentoni, seguo il rumore.
Dopo quella che sembra un'eternità di buio, arrivo in fondo.
Stringo le palpebre, cerco di riconoscere qualcosa nella penombra.
Nulla.
Vetri che sbatacchiano tra loro.
“Mi scusi, si potrebbe accendere la luce?”, domando.
Silenzio.
Poi la luce si accende, come da sé. Sbatto le palpebre.
E' una cantina quella in cui mi trovo, una meravigliosa cantina dai muri e i pavimenti in pietra.
Ovunque, cataste di scatole.
In fondo alla sala, intravedo il vecchio muoversi nella penombra.
“Barolo, ha detto.”
Mi scappa un sorriso. “Sì, sì”.
Mi guardo intorno. Alla parete sinistra c’è una credenza. Mi avvicino.
Sul piano stanno dei calici, nella parte alta, dietro il vetro, sono allineate una serie di bottiglie. Etichette bianche. Linee nere un po’ malferme.
Nadja, 15/11/03. Markus, 25/02/18. Riccardo, 31/10/52.
Istintivamente sfioro l’anta con la mano.
“Cerca qualcosa?”
Mi volto. Lo sguardo del vecchio mi trafigge per la seconda volta.
Sorrido per rabbonirlo.
“Cosa sono?”, domando, indicando le bottiglie.
“Ci vede, vero? Bottiglie.”
Cazzo, simpatico il nonno.
“Sì, certo. Ma che vino è? Si può assaggiare qualcosa?”
Il vecchio mi guarda. Io guardo il vecchio.
Lui si gira verso la credenza. Mi guarda di nuovo, poi apre l’anta. Prende una bottiglia.
Arisa, 15/04/78.
La appoggia sul piano della credenza e prende un bicchiere. Da una tasca dei pantaloni estrae un cavatappi. Apre la bottiglia. Versa un po’ di vino nel bicchiere. Lascia il bicchiere sul piano della credenza.
Mi avvicino. Prendo lo stelo del bicchiere.
Parrebbe un rosso, anche se non ci giurerei. Qui dentro si vede poco o nulla.
Faccio ruotare il calice. Lo avvicino al naso.
Fiori: margherite. Fiori: altri fiori. Fiori d’arancio, forse.
Inspiro il vino in bocca. Lo ingoio.
“Panna, sa di panna montata e bignè!”, esclamo.
Guardo il vecchio. Il vecchio mi guarda dritto negli occhi.
“Sembra di mangiare una Saint’Honoré”, aggiungo. Molto strano.
“Si può provare altro?”, domando.
Il vecchio mi guarda. Si gira verso la credenza. Prende un’altra bottiglia
Marcelo, 18/07/36.
Stesso rituale. Il calice ruota. Il vino segue il suo movimento. Poi all’improvviso si increspa senza che io faccia nulla. Sento sulla mano che regge il calice quel fremito oscuro che ha agitato il vino.
Porto il vino alle labbra. Lo sputo.
“Cazzo, sa di sangue!”
“Sangue”, ripete lui calmo.
Guarda oltre le mie spalle.
“Sangue, polvere da sparo, zolfo, sudore, terra.”
Il vecchio ha ragione. Guardo il vino che ancora ondeggia nel bicchiere.
Mi sono rimasti sulla lingua il sangue, lo zolfo, la polvere.
“E quella?” domando, indicando un'altra bottiglia.
Masha, 25/03/42.
Mi piace, il nome.
“Posso provare quella?”
“No, questa no. Non ancora.”, replica. “Non è ancora il suo momento.”
Il vecchio scruta la fila di bottiglie, poi le sue dita si soffermano su una Erik, 09/07/93.
La apre.
Vernice. Acquaragia. Tempera. Carboncino.
“Ma che roba è, questa?”, esclamo.
Il vecchio guarda oltre le mie spalle.
“Arisa”, sussurra, infine. “Indossava un abito di seta avorio. Un velo di pizzo. Teneva un bouquet di margherite tra le mani. I suoi capelli. Profumavano di fiori d’arancio.”
Oddio.
Questo è pazzo.
Meglio che me ne vada. Devo uscire di qui. Prendiamo il barolo e filiamocela.
Anzi, vaffanculo anche al barolo.
Se resto qui, questo è capace di mettermi a fermentare nell’uva con gli altri cadaveri.
Voglio andarmene, ma il vecchio sta proprio tra me e l’uscita.
“Guerra di Spagna”, continua il vecchio. “Aveva 17 anni, Marcelo. E’ bastato un colpo. Uno solo. Il 19 luglio per lui, non c’è mai stato. Erik. Quando ha compiuto due anni, suo padre gli ha regalato una scatola di pastelli. A 26 anni, espone le sue opere al Moma di New York.”
Il vecchio torna a guardarmi
Non fargli vedere che hai paura.
Respira, tranquillo, respira. Stare calmi. Mantenere la calma.
“Tenga, questa è per lei.”
Il vecchio mi porge una bottiglia. Quando l’ha presa dalla credenza?
“Cos’è?”, balbetto.
“La prenda.”
La prendo. E’ leggera. E’ vuota. Etichetta bianca. Linee nere un po’ malferme: Mauro, 15/06/10.
Oggi.
Guardo il vecchio.
“Che cos’è, questa?
Il vecchio mi guarda dritto negli occhi.
“Questa è la sua.”
Guardo l’etichetta. Poi, guardo di nuovo il vignaiolo.
Solo in quel momento mi accorgo del profumo. Lievito. Sole. Erba. Uva.
“Le va di vedere la vigna?”
Appoggio la bottiglia sul piano della credenza.

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