martedì 10 luglio 2012

Il racconto “LE COLLINE DI LEONARDO” di Maria Zimotti per WINE ON THE ROAD

Maria Zimotti è nata a Cagnano Varano (Foggia) e abita a Pessano con Bornago (Milano). Ha cominciato a scrivere circa dieci anni fa. Contemporaneamente alle prime pubblicazioni in vari siti di letteratura (Musicaos.it, Booksbrothers.it), ha ricevuto alcuni riconoscimenti nell’ambito del Concorso di Poesia “Poesie nel cassetto” presieduto dal poeta Ivan Fedeli nelle edizioni 2009 e 2010. Per “Wine on the road”, concorso letterario 2011 di Villa Petriolo, ha scritto il racconto “Le colline di Leonardo”. Racconto “LE COLLINE DI LEONARDO” di Maria Zimotti. Il paesaggio sinuoso delle colline toscane si guarda con occhi diversi quando si è bevuto un buon vino. Il pomeriggio i rumori si acquietano, il silenzio si dilata e uno strano languore accende i desideri. Rosso è il vino della passione, come il Chianti bevuto oggi a pranzo. Che meraviglia, che ebbrezza, mentre si scende con la macchina verso Vinci. Le case natali hanno sempre un fascino particolare, misto tra la nascita e la morte. Perché per definizione la casa natale diventa monumento di uno che è morto. Qui, in Toscana, pregnante di memoria storica, di questi lugubri mausolei ce ne sono molti, ma il top of the top è naturalmente la minimale casa rurale che la tradizione ha tramandato come quella che ha avuto l’onore di ospitare i primi vagiti del genio. Eccoci qui, nella vastità di questa radura in cui è piantata, come la casetta di un gioco da tavola, la casa natale di Leonardo, in un pomeriggio dal cielo velato che ancora di più induce alla pennichella. Invece una strana euforia mi prende non appena scendo dalla macchina e le gambe si fanno leggere. Il vento mi porta un odore di legna bruciata, potente afrodisiaco a causa di ricordi adolescenziali. Il sorriso che rivolgo al mio uomo tendente al sonno nella pace della campagna è inequivocabile, ma più che altro parlano gli occhi, scintillanti. Lui non ha bevuto, ligio al Codice della Strada, e questa temo sia una sfortuna per me. Ma questa euforia è anche qualcosa d’altro, qualcosa di alto. “ La sindrome di Stendhal coglie anche quando si guardano le case natali dei geni? “- chiedo con una voce dai toni eccessivamente alti. E’ quella voce esagerata che si ha quando si ascolta la musica in cuffia e non si sente la propria voce ed io in effetti sento la testa ovattata ma ronzante, la sensazione tipica della moderata sbronza. “ Qui nella vastità s’annega il pensier mio! “- Ormai straparlo. Sembro uno di quei poeti dilettanti che intasano gli innumerevoli concorsi letterari della penisola. Niente, non riesco nemmeno a farlo ridere, figurarsi farlo smuovere dal sedile della macchina che gli si è appiccicato al sedere. La testa è pericolosamente penzolante in avanti. Mentre l’aria fresca dirada i fumi dell’alcol mi avvio senza meta lungo il pendio a piedi scalzi. Sensuale è il contatto con la terra. Mi fermo e cerco il contatto. Nulla qui mi parla del genio. Non lo vedo bambino fare esperimenti o disegnare pecorelle sui massi. Ritorno alla macchina che il mio uomo sta già dormendo. Mi accoccolo a lui e ci addormentiamo in silenzio. La sera coglie il nostro risveglio, intorpiditi. Quanto sono belli i suoi occhi chiari e riposati. Un bacio fresco sulle labbra e si ricomincia il viaggio. La meta è Volterra e ci arriviamo quando la cittadina è avvolta nel buio e nel silenzio. Non c’è anima viva in giro, se non qualche disperato vampiro brillo. La saga di Twilight li ha fatti ritornare in auge e firmano autografi davanti alla locanda “Rosso sangue”. Ci avviciniamo curiosi. Eppure la sbornia dovrebbe essere smaltita ormai. Sto guardando senza alcun timore un gruppo di vampiri un po’ kitsch seduti davanti alla locanda che stanno lì impalati come ad una festa di Halloween. Dall’ingresso arrivano luce da “cave” e musica techno. Non farebbe per noi, radicalchic quarantenni del PD ma l’antro luminoso attira. Entriamo nella cripta e ci troviamo nel pieno di una festa tra le botti. “ Cosa ci siamo persi! “ – con la stessa voce esagerata che avevo io nel pomeriggio, un uomo con i capelli lunghi e la barba incolta, nonché una collana metallica su una tunica di velluto, alza un calice pieno a metà di liquido rosso e comincia a cantare, che con il vino è quasi automatico. - “ Libiamo, libiamo, libiamo…” -. Si è proprio la famosa aria lirica che ha cominciato ad intonare. – “ Stavamo lì, come zanzare anemiche a cercare prede senza saziarci mai, e non dormivamo, e non facevamo l’amore…saluti brevi e scostanti, quando c’era un succo molto più inebriante “ -. e sorseggia. Con gli occhi chiusi decanta le sensazioni che si sprigionano dal profumo e dal sapore del vino, quelle sensazioni che sciolgono la lingua in evoluzioni letterarie. - “Il sapore arriva insieme al profumo. Frutta ma anche spirito, vento e calore. Frizza nel cervello ma anche nel cuore. E’ calore di donna “. Nel momento in cui pronuncia queste parole il mio sguardo si incrocia con quello del mio uomo e scatta la scintilla. Scappiamo da quel sabba di vampiri redenti, senza neanche chiederci se ciò che abbiamo visto è sogno o realtà. Corriamo a perdifiato spinti dalla paura e dall’eccitazione e arriviamo esausti alla macchina dove lui mi blocca con un bacio infinito. Il mattino dopo il nostro viaggio prosegue in questa terra che sentiamo già nostra. Ci guardiamo con occhi diversi e con occhi diversi guardiamo il paesaggio unico della Toscana: sensuale, elegante, sibillino, come gli occhi di Leonardo. Non vogliamo perderci nessun angolo recondito di questo posto magico. Prima o poi Leonardo ci apparirà, magari dopo un bicchiere di buon rosso, di cui abbiamo fatto scorta nel bagagliaio dell’auto.

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