mercoledì 30 luglio 2008
il sapore della vita
E' con grande piacere che pubblichiamo i due racconti in concorso per "I giorni del vino e delle rose", scritti dagli alunni delle classi III A e III B della Scuola Primaria G. Carducci di Empoli, 1° circolo didattico.
Bravi a tutti!
racconto
IL SAPORE DELLA VITA
Un tempo non molto lontano gli uomini bevevano solo acqua e si erano proprio stancati perché, come adesso, l’acqua non aveva sapore. Desideravano una bevanda gustosa e colorata che a piccoli sorsi regalasse un po’ di sapore alla vita: sollievo per i momenti più tristi e difficili, allegria e gioia per le occasioni piacevoli e un po’ più frivole. Come avrebbero potuto ottenere questo tipo di liquido? Da che cosa? Provarono con una cipolla; la presero e la pigiarono finché non uscì del succo. Lo bevvero, ma l’odore e il sapore erano così forti che li fece piangere. Inoltre non aveva colore.
Bacche, vari tipi di erbe, frutti rotondi e sconosciuti furono ridotti in poltiglia per ricavarne altro succo. Tutto ciò che ottenevano continuava a non avere sapore e colore. Gli uomini pensarono di provare con l’uva, frutto non molto gradito e poco rinomato: credevano, infatti, che piluccare i suoi chicchi avvinghiati gli uni agli altri fosse di cattivo auspicio.
D’altra parte come gli uccellini beccavano i bei grappoli d’uva gonfi e invitanti per sfamarsi, così gli uomini avrebbero potuto dissetarsi con il succo di quel frutto. Strizzarono tanti grappoli rossi, ma non ebbero il coraggio di assaggiare il liquido ottenuto per paura di ricevere maledizioni ed essere vittime di disgrazie. Misero da parte il succo e assaporarono tante altre bevande. Nessuna era di loro gradimento. Passò del tempo e le persone, sempre più amareggiate, si ricordarono del succo d’uva. Decisero di berlo e di affrontare con coraggio quello che il destino aveva in serbo per loro. Il succo di sapore era buonissimo ed il colore rosso tenue appariva gradevole. Provarono a farlo un'altra volta e a berlo subito, ma il sapore era diverso. Non capirono perché e, avviliti, misero di nuovo da parte il succo d’uva: erano destinati ,forse, per sempre, a bere acqua incolore, insapore e inodore, così come era la loro vita. Il tempo passava e gli uomini si erano davvero stufati dell’acqua. Il bene prezioso da tutti invocato era una spina nel fianco; non a caso, intorno alle piante dove maturavano tanti grappoli, erano cresciute forti e imponenti rose rosse, profumate,regali, bellissime, ma con tante spine. Chissà se quello era un segno del destino! Nonostante tutto, gli uomini decisero di bere il succo d’uva che avevano messo da parte, anche se non era molto buono. Meravigliati, scoprirono che aveva proprio il sapore della bevanda che si erano procurati tanto tempo prima. Capirono che per fare diventare questo succo tanto buono, dovevano aspettare del tempo prima di berlo.
Ne prepararono tanto e lo chiamarono V.I.N.O.: V come vincitore, I come inebriante, N come nuovo, O come onorevole. Lo servirono sempre su un vassoio di legno con una rosa rossa accanto, perché non sempre le spine pungono e fanno male; a volte abbelliscono e arricchiscono il sapore della vita.
racconto
MONTEFALCO:
una storia fantastica intrisa di fuggenti attimi di realtà
Nella campagna senese la natura regnava sovrana, il sole trafiggeva le acque limpide dei piccoli ruscelli e il vento trascinava le foglie in un rocambolesco fruscio interrotto dai melodiosi canti degli uccellini. Nei lunghi filari allineati le viti aspettavano con impazienza il tempo giusto per maturare tanti bei grappoli e dare del buon vino. Da diversi anni, infatti, proprio lì, la vendemmia era scarsa e il vino prodotto di qualità scadente. I contadini erano preoccupati per il nuovo raccolto e chiesero consiglio al guardiano delle vigne circostanti. Egli era sì mortale, ma dotato di poteri sensoriali particolari. Un’ostinata volontà di riuscire e un forte impegno nell’aiutare il prossimo lo disegnavano come un protettore dell’umanità. Il ragazzo offrì il suo aiuto e giunse a destinazione cavalcando uno stallone dalla criniera di bronzo e dal manto di stelle ornato di rose rosse. Lasciò cadere sul terreno umido una rosa rossa dalle mille spine: la rosa doveva ridare regalità alla campagna senese, il rosso infondere fiducia nei contadini e amore per i frutti della propria terra, le spine servivano da calamita per attirare ed annullare influssi negativi, maledizioni, disgrazie, preoccupazioni. Passarono alcuni mesi e l’autunno bussò alle porte con un forte vento, le foglie degli alberi diventarono rosse, gialle e il tiepido sole, spesso, spariva dietro nuvoloni neri e tristi. I contadini non erano tranquilli, oppressi dal pensiero che senza vendemmia venivano a mancare il lavoro e di conseguenza i soldi per tirare avanti. Il guardiano delle vigne, di nome Falco, avvertì l’agitazione e lo sconforto che preoccupava gli uomini. Ritornò di nuovo con il suo cavallo in mezzo a quella campagna, più silenziosa e più monotona a causa della stagione. Vide un petalo di rosa rossa senza vita, ormai secco e aggrinzito; accanto luccicava un bellissimo calice d’argento sopra al quale era raffigurato un grande grappolo d’uva rosso rubino. Capì che la rosa lasciata cadere lì un po’ di tempo prima si era trasformata in un prezioso contenitore per servire il buon vino ottenuto da un’abbondante vendemmia. Era un presagio augurale per i poveri contadini delle campagne. Falco prese il calice e, galoppando, si diresse verso la montagna del piccolo paese dove si trovava la casa del fattore Guglielmo, amato da tutti perché non si perdeva mai d’animo e perché era un buon intenditore e produttore di vini. Falco salì la montagna con il calice in mano, oltrepassò un vecchio e buio bosco da dove provenivano un gracchiare misterioso di corvi e ululati lunghi di lupi bianchi. Arrivato all’abitazione di Guglielmo, lo trovò seduto davanti al camino spento, immerso nei suoi pensieri. Sembrava che aspettasse davvero la sua visita. Il ragazzo lo informò che quell’annata sarebbe stata ottima per il vino, perchè si era avverata la profezia della rosa dalle mille spine. Falco chiese a Guglielmo la chiave per aprire il cancello che conduceva alle vigne, infatti era giunto il momento di raccogliere l’uva, spremere i chicchi e fare del vino da servire nel calice premonitore. I contadini furono avvertiti della bella notizia e si recarono insieme a Falco e a Guglielmo nelle vigne della campagna. Tutti insieme raccolsero tantissimi bei grappoli rossi maturi, strizzarono i chicchi nel calice che trasformò il succo acido e insignificante in pregiato vino rosso. Guglielmo lo assaggiò e rimase incantato dal suo delizioso sapore. La bevanda prese il nome di MONTEFALCO, perché monte era il luogo dove abitava Guglielmo e Falco era il nome del guardiano delle vigne. Le spine della rosa trasformata in calice avevano davvero fatto sparire i mali della vita. Quando sarebbero tornate a pungere la realtà? Purtroppo, presto.
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