mercoledì 3 settembre 2008
l'osteria in via dei ricordi
Oggi si festeggia Alessio Viscardi, autore del racconto "L'osteria in via dei ricordi" per il concorso di Villa Petriolo "I giorni del vino e delle rose".
Blake Edwards, The days of wine and roses
Alessio Viscardi è nato a Napoli, dove risiede, il 3 settembre 1984. Laureato in Scienze della comunicazione, nel 2002 e nel 2004 si piazza tra i finalisti del concorso di poesia “A. Casanova”, vince il terzo premio del concorso di prosa “Vite di periferia”; nel 2005 suo è il miglior testo del concorso teatrale “Edenoscar”; nel 2007 riceve menzione d’onore al concorso letterario “L’arcobaleno della vita”.
Racconto
"L'OSTERIA IN VIA DEI RICORDI"
di Alessio Viscardi
Quando il quarto quartino di Chianti fu vuotato, il sangue di quei quattro arzilli anziani s'era fatto più alcolico di quello del Gesù che danno alla comunione. Ridevano contenti e ilari cantavano a gole levate verso nuovi boccali. La bella locandiera, donna matura di quarant'anni suonati, sorrideva sommessamente a vedere quanta vita c'era ancora in quelle anime d'aceto. Eppure una patina sottile, che si chiama nostalgia, velava gli occhi del più triste dei cinque (perché nel frattempo s'era aggiunto un altro).
“Compari – disse il vecchio agli amici radunati – è giunto maggio anche quest'anno e non me l'aspettavo. Io lo vedo e bevo come fossi giovane, ma giovane non sono. Vedo alberi che riprendono il fogliame verde, sono gli stessi alberi su cui da bambino mi arrampicavo nudo e urlavo al vento. Ora queste anticaglie sono più giovani di me e coi loro rami verdi si prendono beffa della mia barba bianca”. Corse fuori tutto rosso in viso, prese un'accetta dalla cantina e si mise a tagliare i fusti di alcuni cespugli. Non fermò la sua giusta furia.
Un altro dei quattro (l'ultimo arrivato), più in pace con se stesso, cominciò a parlare a sua volta: “Amici, ho visto molte primavere. Ogni anno passo davanti quest'osteria e vedo aiuole raffinate ricolme di rose rosse. Forse ora non le vedrò più, e non solo perché il nostro amico le sta falciando con tanta veemenza. Chissà se vedrò una nuova primavera all'anno venturo, ma com'era bella la stagione quando le ossa non mi facevano così male. Ero appena tornato dal soldato e qui fuori vidi una bella signorina. Era una di quelle figlie di buona famiglia, intendiamoci, così mi misi a corteggiarla come si doveva e chiesi la sua mano ai genitori. Per fortuna si fece la fujitina col cameriere, e così ho conosciuto mia moglie”. E giù di risate, tutti quanti si misero ad acclamarlo per il pericolo scampato di sposare una che se la intende col cameriere.
Smise di ridere quello più distinto, indossava una giacca col papillon e si lisciava i baffi umidi di vino. Sorseggiando, pian piano, la sua mente si perse tra i fumi dell'alcool e cominciò a blaterare: “La mia famiglia è sempre stata ricca, non mi è mancato nulla. Giocattoli da bambino, automobili da giovane, lavoro e stabilità fin'ora. Conobbi mia moglie un giorno di giugno di tanto tempo fa', e le regalai una rosa per vedere se potevano arrossire le sue guancia così chiare. Facevo la bella vita, però. In giro tutta la notte a far baccano nei casinò, e pure nei casini. Quante femmine son passate per queste mani, perché modestamente sono uomo e mi piacciono le donne. Una sola, però, mi ha rubato il cuore. E non era mia moglie; lei l'amai perché è cara buona, un cuore d'oro le batte nel petto di madre. Ma di femmine, di quelle che ti fanno perdere la religione, ce ne sono poche. Si chiamava Rosa e viveva in riva al mare. Quando l'andavo a trovare era sempre a fare il bagno come una sirena; cantava nuda tra le onde salate. Viveva con i fratelli piccoli e per riempire il loro piatto doveva riempire i letti di altri bambini un po' cresciuti. Qualche volta la vedevo piangere, ma non capivo se fossero lacrime di gioia o di dolore.
Lei mi accendeva, una tizzone dentro la pancia s'infilava tra le viscere e mi faceva venire la febbre. Lei mi guardava come i cuccioli di cagna che si rivolgono verso la madre, e con la stessa indifferenza d'una matrigna ero costretto a ripagarla. Non voleva essere la puttana di un signorotto, ma non potevo presentarla a casa mia. Per questo sposai mia moglie, con cui ebbi dei bambini. Oggi ho quattro figli e due famiglie. Rosa è morta l'anno scorso ed io sto ancora qui, con mia moglie che nulla deve sapere. La verità non ha una sola faccia, e nemmeno la felicità”.
S'era fatto un gran silenzio, davanti alla Nera Signora il lutto tace. Ma il tintinnare del boccale era un invito troppo goloso per opporre resistenza. Gole ruggenti ripresero a trangugiare il nettare rosso che animava quel baccanale. S'alzò quindi quello di cui il volto sembrava più vecchio, scavato da rughe come fosse un ruscello: “Questa sera di allegria che i pensieri fa volar lontano, mi riporta col cuore grave a vedere le mie colpe. Eppure son passati tanti anni da quella giovinezza che mi vide dissoluto seduttore. Molte erano le femmine che mi facevan la corte, attore ero e sapevo bene recitare. Tendevo i fili dei loro cuori con i miei complimenti e lusingavo la vanità che spesso sostituisce le loro menti. Ogni notte mi coricavo tra guanciali nuovi, per poi svegliarmi con dolci baci d'addio. Una vita d'avventure mi faceva sentire sempre accesso, come una fiamma che non si smorza. Come una candela brillavo su questo palcoscenico che è la vita. E come ogni fiamma, attiravo le farfalle dalle ali splendidamente decorate. Anche la mia Rosa era una femmina fatale, occhi così neri e pelle così chiara da fare innamorare. S'era versato sangue a fiotti per lei, duelli settecenteschi in grande stile. Accoltellamenti, sparatorie, schioppetate... Ma questa bella farfalla decise di avvicinarsi troppo alla mia fiamma. Feci come sempre, me ne andai il giorno dopo; non potevo prendermi una con tale reputazione. Lei mi cercò con insistenza, ma non tornai indietro. Poi un giorno mi mandarono a chiamare. La trovarono sul letto, aveva ingerito troppi sonniferi; stringeva un biglietto indirizzato a me. Piansi e le giurai che avrei dato il suo nome a mia figlia”.
Il silenzio s'era fatto più pesante, la tristezza non ha età. Ma col cuore stretto dal dolore, anche l'ultimo si mise a parlare: “Vegliai mia moglie sul letto di morte. Era incinta, ma il parto la stava atterrando. La vidi morire tra le mie braccia, ma era serena. Sorrideva...”.
La bella locandiera si avvicinò al boccale del vecchio e lo riempì di vino. Poi lo guardò e disse: “Bevi papà”. Lui rispose: “Grazie, Rosa”. Sorrisero tutti e tornarono a bere.
Eduardo De Filippo, Filumena Marturano
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