mercoledì 10 settembre 2008

primovino




La petite promenade du poète
Me ne vado per le strade
strette oscure e misteriose
vedo dietro le vetrate
affacciarsi Gemme e Rose.
Dalle scale misteriose
c'è chi scende brancolando
dietro i vetri rilucenti
stan le ciane commentando.

..................................

La stradina è solitaria
non c'è un cane; qualche stella
nella notte sopra i tetti:
e la notte mi par bella.
E cammino poveretto
nella notte fantasiosa
pur mi sento nella bocca
la saliva disgustosa. Via dal tanfo
via dal tanfo e per le strade
e cammina e via cammina,
già le case son più rade.
Trovo l'erba: mi ci stendo
a conciarmi come un cane:
Da lontano un ubriaco
canta amore alle persiane.


Dino Campana




Oggi si festeggia Gilberto Menghini, autore del concorso letterario di Villa Petriolo "I giorni del vino e delle rose" con il racconto "Primovino".

Gilberto Menghini è nato il 10 settembre 1976 a Castelfiorentino (FI), dove abita.
Inizia a scrivere poesie già dalla prima adolescenza, partecipando a numerosi concorsi letterari. Dopo uno stop artistico di alcuni anni riprende l’attività curando la produzione del poeta empolese Enrico Rovini e con lui pubblica tre raccolte in tre anni. Nel 2006, assieme a Rovini e Sparacino, fonda il gruppo teatrale ZioZio, per il quale scrive sceneggiature comiche. Con gli ZioZio organizza serate di intrattenimento nei locali del Circondario. Nel tempo libero scrive racconti.


Racconto

"PRIMOVINO"

di Gilberto Menghini


Passeggiava nervosamente per casa sbattendo di quando in quando uno sportello che non chiudesse bene, poi tornava di là in cucina a controllare che tutto fosse in ordine, che non avesse dimenticato qualcosa: un piatto nel lavello, l’asciughino sulla sedia, qualche briciola di pane in giro; ma era tutto a posto, era sempre tutto al suo posto… Da quando papà era morto, sei mesi prima, la mamma non faceva altro che riordinare e pulire, era la sua nevrosi. Io invece i primi tempi non uscivo da camera mia se non per mangiare, ma nelle ultime settimane qualcosa era cambiato, ormai ero solita trascorrere le serate alla finestra del salotto dopo il tramonto, per ascoltare Lui.

La prima volta che lo sentii cantare credevo fosse qualche buontempone in vena di scherzi fuori luogo, cioè, la primissima volta, a dire la verità, non avevo neppure capito che stesse cantando stonato com’era, poi sera dopo sera quel lamento sguaiato prese le sembianze di una… una serenata. Certo non corsi subito alla finestra quando capii di che cosa si trattava, piuttosto uscii silenziosamente dalla stanza e chiesi alla mamma cosa fosse quel rumore. Lei mi rispose in malo modo, dicendomi di andare subito a dormire che non erano cose da ragazzine quelle e che aveva già chiamato i carabinieri. I carabinieri, chissà perché? Chissà cosa stava facendo di così terribile quel tizio sotto la nostra finestra? I carabinieri naturalmente arrivarono quando Lui se n’era già andato, a dormire credo, ed alla mamma furibonda risposero ironici che non c’era nessuna legge che vietasse ad un uomo di fare una serenata ad una bella signora come lei, anzi. Non l’avessero mai detto, la mamma perse il controllo e andò su tutte le furie, tanto che per poco non arrestarono lei per oltraggio a Pubblico Ufficiale. Poi rientrata in casa si mise a piangere silenziosamente sulla poltrona di papà. Quando cominciava a piangere in quel modo era inutile farsi vicina, c’era solo da andare a dormire senza pensare a quanto tempo sarebbe restata così seduta: la faccia fra le mani e le pantofole di papà sul lato sinistro.
E così non sapevo niente di lui, solo che ogni sera, da quasi un mese ormai, si piazzava sotto la finestra del soggiorno, l’unica che dava sulla strada, e iniziava a cantare. Canzoni d’amore, struggenti, ma che biascicate nella parlata incerta degli ubriachi diventavano un insulso vocio. Spesso ripeteva per ore la stessa strofa e poi senza che nessuno facesse o dicesse niente se ne andava a dormire, ma non prima di aver sistemato una rosa rossa proprio sulla soglia di casa.

Le serenate continuavano ed io giorno dopo giorno ero riuscita a scoprire dalla mamma che Lui si era invaghito di lei incontrandola al cimitero ogni pomeriggio, e che aveva cominciato a corteggiarla garbatamente a quanto dice, ma assolutamente fuori luogo. Così si era fatta cambiare il turno alla casa di riposo dove lavorava come inserviente e aveva preso ad andare al cimitero al mattino nelle ore in cui non c’era pericolo di incontrarlo occupato com’era a smaltire la sbronza della sera prima. Questa cosa di non trovarla più al suo posto di fronte alla tomba di papà non gli era andata giù, perciò dopo una settimana appena dal cambio turno iniziò a venire sotto la nostra finestra, ogni sera barcollante e con la voce impastata a cantare le sue serenate.
Io me lo immaginavo molto alto, eh sì, me lo immaginavo perché la mamma non mi permetteva certo di affacciarmi alla finestra quando c’era Lui e così restavo a serate intere ad ascoltarlo di fronte alla persiana chiusa, così lo immaginavo: alto, due grandi spalle muscolose e una cascata di ricci neri arruffati e, ahimé, un poco sporchi.
Mi era rimasto però irrisolto il mistero di Lui che andava ogni pomeriggio al cimitero; non era certo un buon posto per sbronzarsi quello, e allora perché? Ormai mi appariva evidente che non potevo chiederlo alla mamma, così un pomeriggio che lei era a lavoro andai di nascosto a trovare lo zio Enrico, che proprio zio non era, ma un caro amico di famiglia, pregandolo di non dire niente alla mamma del mio interessamento. Lo zio rimase un po’ in silenzio a dare boccate alla sua grossa pipa prima di dirmi che non era una buona cosa che una ragazzina come me andasse in giro a far domande su un uomo così. Poi iniziò il suo racconto.
Primovino una volta era un gran bel giovane, con le spalle larghe appunto e la testa fiera. Era fidanzato con Rita, la ragazza più bella e ricca del paese, figlia del sindaco di allora. Una sera i due giovani erano stati ad una festa appena fuori città, ad un matrimonio, un compleanno o chi sa che cosa, fatto sta che dovevano aver bevuto troppo perché alla seconda curva a gomito Primo perse il controllo dell’auto e finì fuori strada. Fu una grande tragedia, in città ancora ne parlano del tumulto di quella notte; Rita morì sul colpo, Lui invece restò più di un mese fra la vita e la morte, poi una mattina d’un tratto si svegliò dal suo stato di morte apparente e tre giorni dopo era già fuori. Appena uscito dall’ospedale attraversò la strada ed entrò alla Casa del Popolo. Quella sera c’era il buon Carlone di turno, che se lo vide arrivare incerto e barcollante sulle gambe ancora troppo deboli. Non appena lo ebbe riconosciuto Carlone gli corse in contro per sostenerlo e salutarlo, si conoscevano da una vita:
“ Bah! Oh Primo come tu stai? Ma quando sei uscito dall’ospedale, gli amici non mi avevano detto nulla?!”
Lui si scrollò dall’abbraccio dell’amico e si appoggiò al bancone fissando il vuoto in silenzio con la testa di lato infilata nell’incavo del suo braccio, poi come se lo stesse chiedendo a se stesso disse: “Come mi chiamo io?”
“Ma come, come ti chiami o grullo, ma che hai voglia di scherzare?” Rispose Carlone.
“Come mi chiamo io?!” Urlò facendo il gesto di tirare su la testa, ma rinunciandoci quasi subito, come chi deve dire qualcosa e poi non trova le parole.
“Primo, tu ti chiami Primo, come il tu povero nonno, ma che hai?!”
“Dammi un bicchiere di vino!”
Iniziò a bere, così, appena dimesso dall’ospedale, con ancora le bende avvolte intorno alla spalla e al capo come un soldato, roba da rimanerci secchi.
Invano a turno gli amici cercarono di farlo smettere, tentando di farlo tornare a casa, ma a casa non c’era nessuno ad attenderlo e così lui continuava a bere e a gridare di volere altro vino; così per non fargli prendere un colpo lo lasciarono bere fino a tarda notte, che una volta sbronzo ben bene si sarebbe fermato da solo. Ma non andò esattamente così né quella sera, né la sera dopo e neppure quelle a venire.
La storia di Primo che era uscito di senno fece il giro dei paesi vicini e ben presto Primo divenne come era logico Primovino.

Quella storia su di me aveva sortito uno strano effetto, così nelle notti insonni passate a lottare con il dolore dei miei ricordi, mi divertivo ad immaginare di essere la sua bella Rita, con Lui giovane e forte a scalare la facciata di casa, entrando dalla finestra con un balzo, e una volta dentro mi stringeva forte a sé sussurrandomi all’orecchio le parole della più bella canzone mai scritta, anzi ancor meglio, di una sua canzone scritta a posta per me, e con questo pensiero mi addormentavo cullata dalle sue parole.
Una mattina poi feci una cosa ed il cuore mi batteva a mille. Mi alzai prima della mamma e scesi di nascosto a vedere se Primovino aveva lasciato lì una rosa anche quella volta. Era lì, rossa come sempre, rossa come la sua passione, rossa come il suo vino, rossa come il suo naso da alcolizzato. Mi sentii una stupida per tutte le volte che lo avevo immaginato nella mia stanza, stupida, a fantasticare così su un ubriacone puzzolente. Nel raccogliere la rosa da terra con la coda dell’occhio scorsi un movimento alla mia sinistra, ebbi un sussulto, pensai che fosse lui dietro la porta. Che spavento! Me ne tornai in camera in silenzio com’ero scesa e misi la rosa dentro ad un vecchio libro che mi aveva regalato papà, non credo che se ne sia offeso, piacevano tanto anche a lui le rose.


Bandabardò, Ubriaco canta amore

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