mercoledì 29 ottobre 2008

il calice di Tiziano


Tiziano Vecellio, I Baccanali degli Adriani, 1523-1525, Musée du Prado, Madrid




Ecco "Il calice di Tiziano" di Mabel Campagnaro, per "I giorni del vino e delle rose".

Mabel Campagnaro è nata a Cittadella nel 1978 ed abita a Rossano Veneto (VI).
Dopo il Diploma Magistrale ad indirizzo Sociopsicopedagogico, consegue la Laurea in Discipline dell'Arte, della Musica e dello Spettacolo presso l'Università degli Studi di Bologna. Impiegata presso la libreria Costeniero di Castelfranco Veneto (TV) sino all'aprile 2008, occupandosi anche di organizzazione di incontri letterari, suona il pianoforte da quasi vent'anni. La sua costante passione è sempre stata rivolta però alla lettura, dai quotidiani alla narrativa agli studi specifici nel settore artistico.


Racconto

"IL CALICE DI TIZIANO"

di Mabel Campagnaro



Cosa ti fa pensare di vivere realmente questo momento? Quello che vedi intorno a te? La sconfinata distesa di quieto e silenzioso verde intorno al tuo corpo, le sfrontate macchie cremisi chiassosamente adagiate tra quelle speranzose, accoglienti membra? Lasciati alle spalle i pregiati tesori invecchiati nel cuore ombroso dell’antica dimora, respira e conserva la sensazione di essere stata protagonista di un istante immobile ed irripetibile screziato di rapidi baluginii e fragranze lunghe ore, giorni, anni. Segui le tue dita, ora, disegnare il profilo della purpurea vita: se guardi attentamente quei petali vermigli riesci a cogliere, quasi di sfuggita, sottili sfumature bordeaux dalla linea corposa e ondulata, e per un attimo è come se quella perfetta creazione della natura si sciogliesse languidamente nell'intimo di un calice a tulipano lasciandosi abbracciare dalla sua morbida silhouette. Allunghi la mano per cercare di cogliere lo stelo cristallino ma intorno a te si delineano a poco a poco sagome dalle confuse nuance azzurre e gialle e verdi e rosse e grigie; figure allegre e gesticolanti che ondeggiano contraendosi nello scintillio di un’opaca trasparenza Bordolese. Fermi il gesto e chiudi gli occhi, perché, seppur con qualche dubbio, percepisci di non essere lì, nella dinamica e variopinta immagine: senti che ti è familiare e amica, senti che fa parte di te, ma forse non è ora, non in questo momento.
Questa realtà si offre impreziosita da fulgidi particolari ma ammantata di vesti più semplici: lo sconfinato protagonismo di una distesa erbosa dai contorni flessuosi e regolari riesce incredibilmente a convivere con la sicura presenza di siepi di tasso e rododendri quasi volesse imporsi dei limiti e delineare percorsi lungo i quali farsi guidare. Seguendo i sentieri di terra battuta che conducono talvolta a decorative fontane di granito grigio, si ha la possibilità di immergersi in un mondo costellato di piccoli, immensi dettagli: cangianti primule e campanule dal tocco ceruleo cedono il passo ad olearie e cardi rosati, concedendosi a discrezione del goloso osservatore, consapevoli del loro fascino legato in buona parte al piacere della sorpresa. Non ci sono spazi uguali, se giri l’angolo difficilmente ritroverai quello che hai lasciato: puoi scorgerlo ancora facendo qualche passo indietro, ma la nuova prospettiva ti permetterà di coglierne aspetti del tutto inesplorati. Cosa rende questo luogo diverso da quelli visti sinora, al di là di evidenti differenze paesaggistiche, linguistiche e ambientali? Cosa lo rende davvero unico?
In questo labirinto vegetale dall’apparenza indistintamente incorporea, i sensi vengono scossi e accarezzati al ritmo di un soffio d’aria; ad ogni passo la molle freschezza del pavimento d’erba sembra avvicinarsi alle zuccherose rotondità pigramente accoccolate all’orizzonte e lo scintillio di uno zampillo d’acqua in lontananza restituisce un delicato, intenso brivido lungo la schiena rinvigorito dall’alternante luccichio di boccioli colorati. Realtà diverse confondono ed esaltano la percezione a tal punto da fondere quegli azzurri, gialli, verdi, rossi e grigi con queste eclettiche consistenze: l’estasi silenziosa ai tuoi piedi lentamente cresce e si assottiglia per allungare verso l’alto una chioma folta leggermente sfiorata dalla primavera e rischiarata dal sole. Voci distinte rivolgono il loro interesse al movimento di braccia candide che accuratamente si adoperano sopra una sagoma dalle spalle pronunciate e screziata da bagliori iridescenti: dita sollecite avvicinano i calici campanulati dalle cristalline luminosità al collo corto e ombroso e indugiano, immobili. Con la leggerezza di un ruscello estivo sgorga un vino dal carico color rubino che dipinge la corolla trasparente di riflessi porpora e magenta; riverberi di luce creano a contatto col fiotto lisce ciocche rosate che vanno ad immergersi nel vigoroso raccolto brunito. L’odore intenso e vinoso dal lieve sentore di marasca si lega indissolubilmente ad una corposità tanto placida da scolpire tra le pieghe delle ondulazioni superficiali arabeschi così simili a petali di rosa da sembrare veri. Così reali da velare in viluppi a spirale le geometrie reticolate dei pilastri di un gazebo, e celare ad un curioso il disegno elegante della cupola sotto un tripudio di foglie smeraldine e bouquet scarlatti. Intrise delle ricche tonalità dell’amaranto, queste piccole rose vellutate al tocco e cosparse dal caso tra la rigogliosa vegetazione, hanno il potere di rivivere nelle saporite vestigia di essenze passate e richiamare al silenzioso presente, evocare melodie conosciute e forgiare piccoli angoli di paradiso. In questo minuscolo, perfetto prodotto della natura potrebbe specchiarsi il bello di aver vissuto, guardato e goduto di ogni momento reso così unico. Non è un semplice roseto, è un po’ un punto d’arrivo e uno di partenza,è il simulacro di giorni e luoghi e istanti trascorsi o ancora inesplorati: ha una storia, e un frammento di questa storia può avere i lineamenti umani di quattro amici sotto le protettive fronde di un uliveto coi bicchieri ricolmi di aromatiche, fluenti aspettative. Le venature scure del fiore possono nascondere la goccia di quel vino dall’aroma fragrante scivolata sbadatamente sul dorso della mano e restituita alle labbra con un sorriso; o svelare i pensieri e le parole che ne hanno accompagnato la degustazione. Come un sapiente artista, la memoria ha creato un’opera musiva di inestimabile valore: ha avvicinato le distanze, unito le immagini e amalgamato colori e odori. Dopo aver dipinto d’arcobaleno gli abiti delle persone raccolte per il sobrio baccanale, il novello Tiziano ha dato sfoggio della sua abilità coloristica attingendo alla screziata densità del calice traboccante per elargire in natura schizzi di porpora, rubino e granato; è riuscito a plasmarne i contorni e attribuire loro nomi e figure; infine ne ha capovolto la visuale e mescolato odori e significati dando origine ad una singolare ricetta la cui composizione offre, di volta in volta, mirabolanti inediti.

Richard Wagner, Tannhäuser - Baccanale

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