martedì 14 ottobre 2008

la vigna della signora


Fotogramma del film Un'ottima annata di Ridley Scott




E' di Raffaello Spagnoli il racconto "La vigna della signora", in concorso per "I giorni del vino e delle rose", l'edizione 2008 del concorso letterario di Villa Petriolo.

Raffaello Spagnoli
è nato a Castenedolo (BS) nel 1949 e risiede a Bovezzo (BS). Attualmente pensionato, dopo quarant'anni di lavoro svolto nelle più svariate attività, l'ultima delle quali come funzionario di banca, ha ripreso a scrivere da circa sei anni, riappropriandosi di una vecchia passione abbandonata per oltre trent'anni. Ha iniziato a partecipare a concorsi letterari che si svolgono nella parte centro-settentrionale dell'Italia, ottenendo un ottimo riscontro. Ripetutamente premiato ai primi posti in una serie di concorsi sia per la poesia italiana che dialettale, sia per la prosa, le sue opere sono presenti su decine di antologie nonché sul web.


Racconto

"LA VIGNA DELLA SIGNORA"

di Raffaello Spagnoli



Da un bel po’ stavano aspettando, nello studio che si affacciava sulla piazza, per conoscere le volontà della “Signora”. Il bellissimo cielo di quel giorno sembrava addirittura posticcio, tanto era pulito e azzurro ma lo spettacolo non bastava a calmare la tensione dei convenuti. Il notaio diede, infine, lettura al testamento che, in un incontro avvenuto pochi mesi prima, lei aveva stilato in sua presenza. Poche frasi secche, senza cattiveria ma anche senza amore, che avevano messo in subbuglio marito e figli. La signora non aveva avuto pietà per la famiglia, con le parole, ma aveva loro lasciato la casa nobiliare cittadina, denaro liquido e in titoli, gioielli. Molto. Ma quei quattro erano troppo abituati a vivere a carico del patrimonio della defunta e non erano tipi in grado di capitalizzare.
Il professore, in gioventù rinomato medico, aveva sprecato molto tempo e molto, molto denaro della moglie in investimenti azionari nati morti.
Giovanni, il figlio maggiore, era uno di quegli studenti a vita di cui le università sono piene. Wally... beh, Wally era sempre stata la spina nel cuore della madre, un bullo che riteneva di essere senza limiti, un ribelle, un viziato.
Poi c’era Chiara, una personcina splendida ma anche una “piaga” pazzesca, una che sembrava sempre in procinto di affogare.... in un cucchiaio d’acqua.
La defunta aveva stabilito che a quest’ultima venisse assegnata una estensione di terreno collinare coltivato a vigneto, in una zona rinomata per la produzione di uve splendide. Con questo aveva sostanzialmente messo in croce la figlia che, dolce e affettuosa, era anche stata un inatteso arrivo, il frutto mai dichiarato di un amore tardivo di cui tutti sapevano tutto fuorché il nome del suo partner...tutti fuorché il professore, che aveva ingoiato anche quel rospo per bramosia di denaro.
Per carattere, Chiara, era sempre stata fin da bambina la persona più vicina a quella madre dura e senza amore, senza mai demordere anche quando veniva respinta, mortificata, umiliata. Ricordava le sfuriate che la madre non le risparmiava di certo, gli schiaffi che si prendeva per le più banali marachelle infantili, l’impossibilità di fare il minimo capriccio per non rischiare di passare la giornata chiusa nella stanza dei libri. Chiara non avrebbe mai dimenticato l’odore di carta e di cuoio dei libri ma soprattutto la minuscola lucina rossastra di una lampadina troppo debole per illuminare ma sufficiente per creare inquiete ed inquietanti ombre in ogni angolo. Aveva pianto fiumi di lacrime, senza mai capire il perché della crudeltà di quella donna che, solitamente, terminava le sue rampogne con una frase tipo “E ricordati che faccio queste cose solo perché ti voglio bene.” Questo sembrava essere l’ultimo colpo infertole dalla madre, quello definitivo. Guardò gli altri componenti della famiglia, con una sorta di invidia che, specie i fratelli, non mancarono di deridere.
Uscirono dallo studio del notaio e si sparpagliarono, ognuno per andare nella sua stanza preferita a mettere in fila i soldi che la defunta aveva loro elargito. Lei si andò a sedere in un piccolo bar anonimo e nascosto, poco lontano dall’Università, ordinò un caffè e rimase ad osservare il multicolore e chiassoso andirivieni degli studenti. Lasciò che il senso ed il veleno di quella giornata la impregnassero bene. Poi lasciò che evaporassero pian piano lasciandole addosso una sottilissima patina. Ci era abituata da una vita. Sarebbe sopravvissuta.
Quando si recò a vedere la tenuta, si fermò a lungo a lato della strada, chiusa in macchina e, osservando la distesa dei campi e dei vigneti brillanti non poté trattenere le lacrime. Che se ne sarebbe fatta di quella terra, di quelle vigne di cui non capiva nulla, di cui non avrebbe mai capito nulla? Sua madre doveva averla veramente odiata….
Piangeva ormai a dirotto, quando sentì battere al vetro del finestrino. Cercò di asciugarsi le lacrime, prima di alzare gli occhi. Non vide nessuno, all’inizio. Incuriosita, terminò di asciugarsi gli occhi e fece scorrere il vetro verso il basso. Stava per metter fuori la testa ma si trovò una mano davanti al viso, una mano che stringeva una pesca succosa. Sussultò ma alzò la mano per afferrare il frutto. La portiera dell’auto fu aperta dall’esterno e lei scese, incuriosita. La accolse un uomo oltre la mezza età dalla faccia abbronzata. Aveva un sorriso rassicurante, affabile, mentre le chiedeva:- “Posso fare qualcosa per far smettere questa cascata che sta aumentando il tasso di umidità della campagna?”. La ragazza sorrise a sua volta. “Sono Chiara. – si presentò – Mamma mi ha lasciato in eredità la campagna e io ci sto prendendo confidenza... Non conosco la campagna. Non amo la campagna.” L’uomo le fece un gesto come per farla smettere. “Qual’é il problema, scusa?” Lei gli ribatté:- “Ho ereditato tutta questa campagna...”. Ci fu, da parte dell’uomo, un finto sussulto. “Perbacco, la padrona! Mi sono fatto beccare con le mani in mano. Cosa mai mi accadrà, adesso?”. La ragazza rise, dimenticando del tutto le lacrime di prima. “Chi é lei?” L’uomo non rispose. Si allontanò verso un carro agricolo che era parcheggiato tra due filari. La ragazza, un po’ irritata, non vide cosa stesse prendendo dal pianale ma, quando tornò, le porse un panino al salame, un bel pane grosso e dalla crosta croccante, avvolto in carta oleata ed un bicchiere di vetro piuttosto grezzo e capiente. La ragazza lo guardò interrogativamente e lui la invitò a seguirlo, verso un antico abbeveratoio in pietra bianca. C’erano, nei gesti di quell’uomo, una pacatezza ed una serenità che sembravano contagiare l’interlocutore, tranquillizzandolo. Sedettero sul bordo della vasca e scartarono i panini. La ragazza scoprì di avere fame e, dopo aver guardato l’uomo, diede un morso al pane, gustandosi il sapore succulento del salame. Lui le riempì il bicchiere di vino bianco che le versò da un fiasco. Mangiarono in silenzio, bevvero il vino, lei solo assaggiandolo, con piccoli sorsi prudenti, finché lui le disse:-“E’ stato fatto con quest’uva. Viene da questa terra.” Lei era, adesso, assorta. Dopo una pausa disse:- “E’ buono.” ma pareva lontana e triste.
L’uomo si alzò e si allontanò lungo la strada, con passo vigoroso e sicuro. Solo dopo un lungo momento la ragazza si rese conto di essere rimasta sola e lo inseguì. Lo raggiunse pochi passi prima di entrare in casa e varcarono insieme la soglia. La ragazza si trovò in un atrio grezzo ma, a suo modo, bello da cui si accedeva ad una cucina rustica. Si guardò attorno e, d’un tratto, le sembrò di essere già stata altre volte in quel locale, di ricordarlo con la pelle e con il cuore, più che con gli altri sensi.
L’uomo si era fermato:-“Sono il fattore. E questa é casa tua. Ti mostrerò il resto della casa e della tenuta.” Chiara si guardava attorno, quasi stranita, osservava la pendola in legno, la credenza di antiche assi levigate a mano, a suon di pialla, e lucidata a cera, il tavolo con le sedie impagliate. “A tua madre piaceva molto, questo posto. Ci veniva spesso, di nascosto da tutto il suo mondo, per ritemprarsi, ricaricarsi, nutrirsi di natura. Le piacevano i colori e gli odori, i suoni ed i silenzi, la semplicità un pò grezza della casa, il mutare delle stagioni. Casa mia è lì di fronte, a proposito.” Era di sua madre che parlava? L’uomo non aveva finito “E le piaceva venire in cantina a ficcare il naso.” “Posso venirci anch’io?” chiese Chiara e l’uomo le sorrise. “Non capiva nulla di vino ma voleva essere presente ad ogni fase della vinificazione, come per illudersi di essere anche lei artefice del miracolo dell’uva. Vieni..” le disse. Attraversarono il cortile e si avvicinarono alla grande porta della cantina. “Questo è il posto in cui viene conservato il vino della “signora”, la sua riserva personale. La cantina “vera” è da un’altra parte, non qui. C’è anche uno scaffale di bottiglie che lei mi aveva fatto mettere via, nel corso degli anni, per te. Vieni.” E lei seguì fiduciosa il passato e il futuro che erano contenuti in quell’uomo affascinante che era suo padre.

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