martedì 16 dicembre 2008

i colori del buio


Pietro Antonio Manca, Cantina con figure



Tanti auguri di buon compleanno a Maria Bellucci, autrice del concorso letterario di Villa Petriolo, edizione 2008.


Maria Bellucci è nata il 16 dicembre 1959 a Tarquinia, dove abita.
Dopo aver frequentato corsi di scrittura creativa (Il gattopardo), partecipa a numerosi concorsi letterari. Nel 2007 vince il premio speciale della giuria al concorso 2R e, nel 2008, ottiene un riconoscimento al Premio letterario internazionale Città Cava dei Tirreni XXV edizione. Un suo racconto è pubblicato sulla rivista Palomar.


Racconto

“I COLORI DEL BUIO”

di Maria Bellucci


Dischiuse le labbra portandole al bicchiere, un piccolo sorso e si abbandonò al fluire dei sensi, a quell’universo di sensazioni che la scuotevano quando degustava un vino nuovo.
Lo scorrere del liquido odoroso le accarezzava il palato e mentre si concentrava sull’analisi finale, una marea di ricordi ricoprì quel momento e la portò altrove.
Anselmo, suo nonno, contadino del Salento, ruvido come quella terra avara, la pelle intrisa di sole e fatica, le aveva insegnato che ogni vino esige attenzione, raccoglimento; una disciplina religiosa che aumenta il piacere del degustare.
La portava sempre con sé; ogni giorno una storia affascinante che narrava le origini dei vitigni dei quali imparava a riconoscere compostezza e struttura; le insegnava a raccogliere i grappoli gravidi di sole e aroma e a rimanere attenta di fronte all’ordine austero dei filari per ascoltarne il respiro.
Si sentiva protetta in un eden senza insidie, dove tutto era differente dall’oggi; dove le emozioni, le passioni e le sensazioni erano trasmesse con immediatezza.
Si era innamorata di quel mondo e sapeva che quello era il suo posto, la sua vita.
Il buio l’aveva avvolta rapidamente, senza darle il tempo di capire; erano spariti i colori dell’incanto, della sicurezza e della serenità.
Sola, lontana, il suo sguardo era rimasto appeso da qualche parte, non aveva anima, un muro grigio la isolava dal domani.
Nonno Anselmo non era cambiato: continuava a portarla tra i vigneti, le faceva toccare i grappoli umidi di succo, le raccontava il colore delle foglie tenere bagnate di pioggia in primavera e degli acini maturi in autunno.
La cecità non aveva ucciso la sua passione per il vino, lo stupore per il tempo sposato alle stagioni e aveva deciso di combattere.
Diventare sommelier sarebbe stata la sua rivincita.
La sua scelta caparbia aveva trovato la strenua opposizione dei genitori che l’avevano spedita in una di quelle scuole dove insegnano ai ciechi ad essere autonomi, ad inserirsi nella quotidianità dei “giusti”.
Nel labirinto scuro che non le concedeva respiro aveva continuato a cercare l’uscita, ad alimentare il suo amore per nonno Anselmo.
Durante il corso di sommelier aveva dovuto fare i conti con la stupidità dei “normali”, la crudeltà dell’intolleranza e la paura della diversità.
I sensi, dentro il tunnel, erano diventati affilati, vividi e capaci di riconoscere il carattere, la particolarità , la fragranza e la qualità di un vino.
L’infanzia era passata tra i profumi dell’Aglianico e del Piè di Rosso, in quella zona di Campania dove i vigneti mordono prepotenti il terreno e l’odore dei grappoli intonsi di zucchero, straripa gli argini dell’autunno maturo.
Aveva proseguito il suo cammino imparando a distinguere il calore e la corposità di un barbera dalla dolcezza, mai volgare, della malvasia bianca.
L’olfatto, il gusto ed il tatto la rendevano unica, capace di andare oltre i confini dei sensi ed ogni sorso era una esplosione di aromi, profumi nuovi; era inghiottita, ogni volta, dalla terra dove le radici delle viti prendono ragione; si trovava dentro i boschi, le vallate, attraversata dall’umore di zolle arse dal sole e spazzate dal vento.
Arrivavano alle narici bouquet suadenti, fini, colmi di fruttati di prugne, equilibri eterei e puliti, rose rosse leggermente appassite.
In bocca si schiudevano note morbide, vellutate e sensuali; prorompevano succhi ricchi di polpa, freschi, dolci e soavi.
Quel liquido che nasceva dal buio, che ne strappava l’odore mancava della musica del colore, della sua armonia.
L’oscurità le aveva rubato i colori: non aveva tavolozza e pennelli con i quali dipingere la giovinezza di una uva bianca e l’ irruenza di un grande rosso.
I suoi occhi erano stranieri alla vivacità dei raggi del sole annegati in un bicchiere, ignoravano le sfumature tranquille dei bianchi , i riflessi tenui del verde sino al giallo dell’ambra e del topazio, il crescere invadente dei rossi, petali di pesca o gemme preziose.
Non riusciva a sentirne i contorni, a coglierne la giusta essenza, emozioni senza vita.
Doveva ridisegnare la tavolozza, la teoria dei colori per farla diventare poesia e fascinazione.
Aveva provato numerose volte a frugare tra i ricordi, a rivivere i paesaggi dell’infanzia, le immagini dell’adolescenza.
Il buio aveva cancellato tutto.
Dentro di lei ombre lunghe le avvolgevano la coscienza e le rubavano la sabbia della memoria.
In cantina, nella penombra che cullava la maturazione del vino metteva alla prova il suo istinto e la sua passione.
Un Nero d’Avola le fece toccare l’orizzonte: chiuse gli occhi, strinse le mani, annichilì l’olfatto.
Il giallo ambra divenne il calore dell’estate piena, i rossi presero i toni della tempesta, dell’amore e del sesso.
Mescolò i brividi della pelle con il ritmo della terra, i tessuti di seta e broccato alla morbidezza di un rosso perlato, l’aroma della crosta del pane appena sfornato al giallo di un bianco secco.
Tutto si tinse di fuoco e vento, e il vino divenne intenso di sacrificio, sudore e lavoro.
Sorrise: il buio ora aveva i suoi colori.


Philippe Daverio, Lo spirito del vino

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