mercoledì 11 marzo 2009

Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi. Arte / mi / sia / Gentil / esca


Onore ad Artemisia Gentileschi per Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi, tre giorni dopo l’8 marzo, per festeggiare questa ricorrenza importante per tutte le donne con il ricordo della vicenda di un ben preciso percorso femminile, determinato e consapevolmente protagonista, stretto tra la soverchia di figure maschili inaffidabili ed i limiti patiti dalla condizione femminile nel Seicento. La storia esemplare di Artemisia, pittrice del XVII secolo, dallo stile originalissimo. Fervente, teatrale, quasi disperato, come sottolineano bene alcuni critici. La dimostrazione di come le doti artistiche possano aiutare a risanarsi, a esprimersi e a liberarsi da quanto interiorizzato con dolore.

Il suo giovanissimo corpo di donna, appena diciottenne e già orfana di madre dai dodici anni, porterà per tutta la vita l’impronta dell’abuso e la sua pittura ne ritrarrà costantemente le indelebili inquietudini. Agostino Tassi è un paesaggista e, col Gentileschi, padre di Artemisia, pittore a sua volta, porta avanti un progetto ambiguo: istruire la giovane ai segreti del dipingere e, da buon libertino, iniziarla anche ad altro. Violentata, terrorizzata, resa inoffensiva solo per la promessa di “riparazione”, si avventura in una sorta di relazione con il suo carnefice. Ma si può nutrire un qualsiasi reale interesse per qualcuno che ci ha così intimamente marchiati? Il Tassi, oltretutto, è già maritato. Orazio Gentileschi, a difesa dell’onore della famiglia, lo trascina in tribunale, macchiando la dignità della figlia: Artemisia è esaminata fin nei minimi particolari, umiliata, addirittura torturata attraverso lo schiacciamento dei pollici, per provare la veridicità delle sue accuse. L’indegno esemplare pare essere lei. Il mondo va alla rovescia e tanti casi drammatici di oggi sembrano testimoniare che non abbastanza è cambiato dal quel lontano 1611...

Nulla viene taciuto. Neppure da Artemisia che, alla gogna, racconta: «Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch'io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l'altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne».

Un mese dopo la fine del processo, il padre combinò per Artemisia un matrimonio riparatore con il fiorentino Pierantonio Stiattesi, con l’intenzione di restituire alla figlia, stuprata, ingannata e offesa dal Tassi, una bastante "onorabilità".

Dal momento della violenza, i dipinti di Artemisia prendono una forza che rasenta la violenza. “Giuditta che decapita Oloferne”, del 1612-13, racconta di una rabbia implacabile, ritratta in una luce caravaggesca bellissima, che dà alle figure una carnalità impressionante. Vendetta in effigie di Artemisia contro Agostino Tassi?



Il volto, le braccia compatte e grassocce, la corporatura morbida: è il suo corpo che ritrae. Artemisia si mette in scena come ad esorcizzare la tempesta interiore che la scuote. “Per guarirsi, per ricreare di sé un’immagine intera, integra e non violata nell’identità di persona e donna da quanto le è successo, dalla disapprovazione verso di lei, pittrice e femmina e forse dissoluta. La bellezza della sua arte si perde nella ferita che non guarisce, nel frantumarsi del proprio Io, difficile da ricomporre: i nomi biblici diventano, sotto il suo pennello, quasi feroci, ben poco spirituali – un’angoscia neanche tanto sottile che rende riconoscibilissimo il suo tratto. Anche nel proprio autoritratto si mostra di profilo, con la testa inclinata, tutta intenta a carpire il soggetto. Non mostra il viso, così ripreso altrove, ma solo se stessa nella posizione adatta a vedere, forse vedersi, una mano pronta a imprimere sulla tela probabilmente il viso che è il suo. Un’idea innovativa: non ripropone sé, ma se stessa mentre è intenta a scorgere o scorgersi”.



"Arte / mi / sia / Gentil / esca". La vera riparazione, il suo autoritratto: io sono la Pittura, nessuno lo può negare. Io sono. Nessun oltraggio può togliermelo.

12 commenti:

Antonio ha detto...

Buongiorno Silvia,
che commento mattutino oggi! O nottambulo forse....
Artemisia...ho visto la Giuditta decapitante quest'inverno agli Uffizi. C'erano con me anche alcune amiche e devo dire che sono rimaste (siamo rimasti) molto impressionati da quella tela. All'imbocco della sala di Caravaggio e del sacrificio di Isacco, altro coltello sguainato... e mi sembra anche di Medusa....altro capo, altra espressione terrificante...
Stessa luce teatrale sugli attori, stessi visi ammorbati...
Eppure la cosa che colpì maggiormente, strano a dirsi, fu proprio il vedere l'opera di una donna...perdipiù un'opera di una tale, esplicita, vendicativa violenza...

Antonio ha detto...

Leggendo il tuo racconto, mi vengono in mente 2 cose in particolare: l'arte come via di riscatto per una esperienza sociale marginale e drammatica; l'arte come "espolosione" irresistibile di seintimenti troppo potenti per essere contenuti, in un certo senso come sangue di una piaga sempre aperta, se non come vendetta personale e generale..
E penso a quanti artisti, di ogni tempo e genere, trovarono prestigio e riscatto in essa, magari postumi, dopo una vita insultante e disprezzata...
Penso a Ligabue ad esempio, la cui vita disgraziata ho appreso in uno scenbeggiato di quando ero bambino e che mi ha sempre scioccato..
Quindi la nostra Artemisia...affetti familiari prositori, onore, vendetta....vendetta...

"Essere o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile d'animo sopportare
gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna,
o prender l'armi contro un mare di triboli
e combattendo disperderli"..

Certo il cavaliere ideale sarebbe stato proprio Caravaggio (pittura simile per emulazione o, magari, per stesso itinerario spirituale?), ma, come avrai capito dai versi, mi rifugerò nella fantasia, ancora una volta, nell'amata letteratura, nel teatro...

silvia ha detto...

La decollazione del Battista di Malta, un'opera di Caravaggio...l'hai mai vista? qualche tempo fa (era il 1999???) è stata esposta nella Chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze in occasione del restauro del dipinto. Di fonte a queste visioni si viene investiti da tanta potenza. Quando poi sono creature delicate a muovere la mano...ci si meraviglia, ma la rabbia ha accompagnato spesso le donne e le loro storie, ahinoi...
A chi la accompagneresti Artemisia, caro Antonio?? Stessa veemenza o un tipo d'uomo più tranquillo, più accogliente?

silvia ha detto...

ci siamo scritti in contemporanea...nn ci siamo letti!!! ;-)))

silvia ha detto...

questo è feeling...;-DDDDD!! Caravaggio e Artemisia.

Antonio ha detto...

E che feeling, cara Silvia!
No, purtroppo non l'ho vista ma ora vado subito a cercarla..(sai che Santa Maria del carmine è l'unica chiesa di Firenze che mi manca?)..

Purtroppo per problemi tecnici avevo dovuto interrompere la scrittura..

Ma il mio cavaliere non sarà Caravaggio...ideale, ma..fin troppo....

Propongo niente di meno del principe di Danimarca...
Amleto!

La vendetta dell'arte, la vendetta della mano..entrambe sofferte, entrambe irresistibilmente vicino alla follia...

Stefano Nicoletti ha detto...

Ciao Silvia,
Flaubert disse: "Sii anonimo e ordinario nella tua vita, così da poter essere violento e originale nella tua arte".
E' un'affermazione che mi spiazza sempre, perchè, come nella bella storia che hai raccontato, siamo più abituati a veder trasporre nell'arte i drammi e le sofferenze della vita reale.

Antonio ha detto...

Cercata e trovata...
Sì, ora la ricordo....sarà il desktop della prossima settimana (questa settimana c'è la De Lempicka;-))

silvia ha detto...

Ciao Stefano, bentornato! una grande fortuna poter "sfogare" i propri drammi atraverso l'arte, non è vero? un balsamo che non a tutti è concesso, una sublimazione che avrebbe permesso di evitare tanti eventi spaventosi...in effige si può anche decollare...per tornare alla vita di tutti i giorni meno offensivi.
a presto!

silvia ha detto...

Ciao Stefano, bentornato! una grande fortuna poter "sfogare" i propri drammi atraverso l'arte, non è vero? un balsamo che non a tutti è concesso, una sublimazione che avrebbe permesso di evitare tanti eventi spaventosi...in effige si può anche decollare...per tornare alla vita di tutti i giorni meno offensivi.
a presto!

silvia ha detto...

Antonio...il Principe Amleto per Artemisia! Perché no... la messa in scena è una forma di esorcismo potentissimo, si sarebbero capiti bene con la mia dama.
Santa Maria del Carmine: da vedere assolutamente! E nei paraggi c'è pure Hemingway, noto caffé di Firenze dove servono cioccolata squisita in tazza, cremini scioglievolissimi, grandi distillati da accompagnre al cacao. Passaci se decidi di visitare questa zona bellissima di Firenze...
un abbraccio, buona serata.

ps: quale dei dipinti di Madame L. sul desk, per curiosità?

Antonio ha detto...

Buongiorno Silvia,
questa settimana, nella mia personale galleria d'arte (il mio desk, di cui peraltro sei codirettrice e sicuramente dea ex machina, è presente "la belle Rafaela".....
Una mia collega dice che è inquietante..io dico: terribilmente sensuale fra le sensualità della de L.
Sei d'accordo, cara codirettrice?